Ari Hoenig Punk Bop @ TRL Jazz 2011/12

Foto: Fabio Ciminiera





Ari Hoenig Punk Bop @ TRL Jazz 2011/12.

Macerata, Teatro Lauro Rossi. 25.11.2011.

Ari Hoenig: batteria

Will Vinson: sassofono

Jonathan Kreisberg: chitarra elettrica

Gabriele Pesaresi: contrabbasso


Durante il concerto di Ari Hoenig Punk Bop, mi sono chiesto a un certo istante in quale relazione questo quartetto fosse con la tradizione del jazz. La risposta che mi sono dato è che la formazione guidata dal batterista di Philadelphia sia nel pieno del mainstream. Tra groove, attitudine punk, riferimenti alle varie stagioni del jazz, derive metropolitane e citazioni divertite, Punk Bop avvicina l’essenza e la tradizione del jazz molto più di alcune riproposizioni rigorose e poco personali del materiale scritto nei decenni passati e interpretato come se il tempo non fosse trascorso. Nota di cronaca del concerto di Macerata – secondo del tour autunnale del quartetto – è stata la presenza al contrabbasso di Gabriele Pesaresi in sostituzione di Danton Boller.


La musica di Hoenig è complessa e articolata. La sua scrittura è puntuale in molti passaggi e molti dei brani di Punk Bop risultano dall’incastro di sezioni differenti. Naturalmente c’è, e molto, lo spazio per gli assolo dei vari musicisti: i brani tendono ad avere una durata lunga, come dimostrano sia il disco registrato dal vivo allo Smalls Jazz Club di New York che il concerto marchigiano. Allo stesso modo il gruppo ha l’agio di dialogare e costruire in maniera collettiva il concerto: le improvvisazioni di Hoenig con gli altri musicisti ad accompagnare il batterista ne sono un aspetto, ma in generale sia per la vicinanza tra i quattro musicisti, sia per la connessione stretta e rigorosa.


La parola punk nel nome del progetto richiama tutta una serie di influenze musicali da posizionare a partire dagli anni ’60: da Pat Metheny al rock, dal funky a Michael Brecker e a tantissimi altri riferimenti che entrano nelle frasi e nelle evoluzioni delle diverse tracce. Il tutto “frullato” e servito in maniera completamente rivista e, in particolare, alla luce di uno sviluppo ritmico e narrativo dalle diverse sfaccettature: lineare e canonico in alcuni brani, decisamente frastagliato in altri. I cambi nella scansione ritmica – sia nel tempo, che nel metro e nell’inflessione – vengono utilizzati in maniera simile alle successioni degli accordi e ampliano le possibilità espressive del quartetto. La vertiginosa seguenza di cambi di scena che anima Green Spleen, ne è la dimostrazione più esemplificativa: partenze swing inattese e fulminee, incedere groovy, break velocissimi all’unisono che rimandando al progressive si intrecciano all’interno di una struttura sempre controllata e sviluppata con ogni dovizia di particolari nel corso di quella che diventa a tutti gli effetti una suite con ampio spazio per le improvvisazioni di tutti i musicisti.


Il progetto, però, si chiama Punk Bop: lo sguardo al presente si unisce all’attenzione profonda per la tradizione e per il suo linguaggio. I primi brani del concerto, come a stabilire il punto di partenza del percorso, si rivolgono a una visione canonica, per quanto moderna, del jazz. Moment’s notice di John Coltrane e Work song di Nat Adderley, gli standard interpretati, rimandano al momento di passaggio tra il bop e le nuove tendenze che animeranno gli anni ’60. In particolare Work song è stata introdotta da un assolo “melodico” della batteria: Hoenig, utilizzando i mallet e fermando le pelli dei tamburi, ha lasciato emergere poco a poco le note del tema all’interno del solo, per poi ottenere dialogare in un vero e proprio call and response con gli altri strumenti a ribadire gli accordi al termine del tema.


Il quartetto realizza tutto quanto detto sopra con grande perizia tecnica e con veemente determinazione: l’intenzione incalzante e vigorosa della formazione ne diventa il tratto distintivo e la sua musica trascinante, a volte aggressiva, sempre condotta con grande controllo si pone come una delle possibili rivisitazioni in chiave odierna della tradizione del jazz.