ECM Records – ECM2198/99 – 2011
Keith Jarrett: pianoforte
Keith Jarrett ha scritto nella sua carriera alcune delle pagine più importanti per il piano solo: Rio celebra il quarantennale del rapporto decisamente fortunato del pianista con la pratica del solo e lo fa con un disco doppio, registrato dal vivo nel Theatro Municipal della megalopoli brasiliana.
Con la registrazione di Facing you, nel 1971 appunto, Jarrett ha avviato un percorso corposo e prolifico nel piano solo. Una decina di dischi, titolati il più delle volte con il semplice riferimento geografico della città dove la performance è stata catturata – Brema, Losanna, Colonia, Parigi, Londra, La Scala di Milano, la Carnegie Hall di New York e, infine, Rio. Dischi diversi tra loro sia per l’attitudine stilistica che per il formato scelto e l’organizzazione del materiale. Soprattutto, di volta in volta, sono stati diversi il modo di concepire e lasciar fluire le improvvisazioni dalle lunghe e articolate suite di The Koln Concert, di Paris Concert o de La Scala agli episodi compiuti in sé dei lavori più recenti. Rio si colloca in questa seconda direzione e si compone di quindici parti di lunghezza contenuta – esclusa la prima parte della durata di 8 minuti e 40 secondi, le altre vanno dai 3 minuti e 20 secondi ai 7 minuti abbondanti – per un totale di novanta minuti di musica. Il pianista, nel primo CD, pone spunti e intenzioni in maniera più concettuale, mentre il secondo CD, più lungo e articolato, è anche il più estroverso e aperto all’ascoltatore tra i due. Come se, uno volta stabiliti i punti di riferimento del concerto, il flusso sonoro potesse librarsi in maniera più rilassata.
Jarrett punta in ogni direzione musicale nel disco, dalla ballad al gospel, dalle reminiscenze classiche alle derive modali. Lo scibile musicale viene attraversato in maniera ripetuta e molteplice con l’intenzione di non escludere nulla dal proprio percorso. La scelta di proporre tracce brevi – parti, come sono giustamente definite nel titolo – permette di saltare da un’atmosfera all’altra senza il vincolo impositivo della coerenza stringente sull’immediato ma di mantenere, con la tensione e con le intenzioni, l’integrità generale e complessiva del lavoro.
Rio contiene perciò Jarrett in tutte le sue sfaccettature. Le delicate e liriche linee melodiche delle ballad, lo sguardo alle radici classiche del pianoforte, la dimensione orchestrale, la capacità di trascendere i generi e di approdare a una forma musicale pura, l’andamento ricorsivo e ipnotico di alcuni brani e la solare atmosfera di altri. La forza, soprattutto, di uno stile riconoscibile immediatamente, condito anche dagli immancabili mugolii che accompagnano il concerto. Lo stile di Jarrett nasce dalla curiosità, dall’esplorazione di linguaggi diversi e, di conseguenza, dalla sintesi profonda operata dal pianista, sintesi che nel piano solo trova forse il suo terreno di massima applicazione. Il concerto in piano solo come rituale, se si vuole, con tutte le accezioni che si possono dare alla parola, comprese le esplosioni di applausi alla fine dei brani: certo, la tensione catalizzata dalla presenza sul palco di Jarrett è sempre alta e, come è noto, il pubblico sa di dover dare corpo alle proprie esternazioni nel momento convenuto, ma spesso la foga dell’approvazione sconvolge e travolge l’atmosfera creata dal brano appena eseguito.
Certo, è stato detto molto nel piano solo e Jarrett ha senz’altro fornito un contributo determinante: Rio offre una nuova esposizione – elegante e raffinata, non certo rivoluzionaria, ma non pretende nemmeno di esserlo – di una pratica conosciuta e affrontata comunque con grande forza espressiva da uno dei suoi più rinomati interpreti.