StoneBird Productions – SBP T002 – 2011
Han-Earl Park: chitarra
Bruce Coates: sax alto, sopranino
Franziska Schroeder: sax soprano
Progetto rumoristico, destrutturato, ad elevato tasso di provocazione e insieme di ispirazione ed ascolto “altri”, io 0.0.1 beta ++ salta il preambolo ed esiste d’emblée nelle iperacide note della distorta chitarra di Han-Earl Park che di getto aprono le lievitanti turbolenze di un trio minacciosamente sensibile (o viceversa) e forte, peraltro, di una piuttosto enfatica auto-presentazione ” Sul palco: due uomini, una donna e un artefatto, un mélange sospeso di hardware industriale, militare e domestico. Gli umani reggono oggetti lucidi e graziosi, ma il marchingegno si regge solitario; e mentre la donna e gli uomini producono suono (vibrando l’aria) toccando e diteggiando i graziosi oggetti, l’artefatto suona senza esser toccato affatto. Esso e gli umani improvvisano insieme, rispondendo alle reciproche gestualità musicali”.
Le corde tese di Park imbastiscono un plateau scabro ma di lungo e persistente respiro, vivente nelle articolazioni e nella tessitura della sua fisica elettroacustica; mentre sul versante “meccanico” dell’instrumentarium i modi performanti di Franziska Schroeder arricchiscono l’altra metà del sax (a fianco delle Matana Roberts, Alexandra Grimal, Ingrid Laubrock etc.) di una voce sperimentante e nuda, in sintonia e insieme dissonanza con i flussi paralleli e convergenti del free-player purosangue Bruce Coates, e il tutto si dipana entro uno svolgimento a canovaccio libero e istantaneo, lungo il suo deviante svolgimento interrogandosi (senza eccessivo paradosso) se l’autentica “alienità” sia rispettivamente appannaggio della cosa o, piuttosto e viceversa, dell’ “umano”.
E ancora così prosegue la sofisticata presentazione (peraltro abbastanza sinergica agli intendimenti dei tre): “io non ha inclinazione melodica e non ha addestramento narrativo per prevalere: vi è, però, un definito sentimento di connessione in ciò che Park chiama: gestualità non-periodiche, che nondimeno evocano periodicità”.
Ennesimo esempio di post-avanguardia “desiderante” (com’era in voga insinuare nell’era della sperimentazione più politicizzata – almeno negli intenti), io 0.0.1 beta ++ vive di ascolto trasmissivo e di performance aperta, che si abbevera nell’istantaneità, e nell’interplay sdogana il segno ed il polso strutturante dell’aleatorietà.
Insomma, l’avanguardia è tornata: non che fosse mai stata davvero latitante, ma gli interrogativi sonori, lacerati e critici, del trio pongono come oggetto radicale la disumanizzazione progressiva e le implicazioni del sempre più preponderante avvento della macchina, forse retrodatando le intenzioni alle prime decadi del secolo scorso e alle relative allarmistiche dottrine, ma riprendendole lungo le forme acutamente nervose e l’attenzione creativa dei medianici e cyborghiani performers e del loro interplay attrattivamente imperfetto.