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Slideshow. Alberto Mandarini.
Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo progetto discografico?
Alberto Mandarini: Attualmente non ho progetti a breve scadenza per una semplice questione di mancanza di tempo… Ci sarebbe però in attesa la realizzazione del DVD di “Astratte Mutazioni”, l’opera andata in scena al Teatro Civico di Vercelli nel 2010 con me, Maria Pia De Vito e un’orchestra ritmosinfonica. Si tratta di un’opera che ho scritto lo scorso anno quale evento conclusivo dell’esposizione dedicata all’Astrattismo e curata dall’Arca di Vercelli in collaborazione con i Guggenheim di Venezia e New York. Purtroppo la lavorazione del materiale audio e video richiederebbe una notevole disponibilità di tempo che al momento, ahimé, non ho.
JC: Ci sveli ora il primo ricordo che hai della musica?
AM: Non ho un vero e proprio “primo ricordo”, piuttosto dei flash che non riesco nemmeno a collocare con una datazione precisa, e che potrebbero essere avvenuti vent’anni fa o dopodomani. Forse il più antico, che presumo sia stato anche lo stimolo ad iniziare a suonare, si può ricondurre alle sfilate e ai concerti della banda del mio paese (Trino Vercellese). Devo dire però, che oltre alla musica, anche il berretto, il cordone sulla spallina e soprattutto i pantaloni con la riga dorata, hanno avuto (credo) una buona parte di responsabilità nel far si che intraprendessi gli studi musicali.
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a fare musica?
AM: Oltre quanto ho detto prima, c’è stata sicuramente una forte esigenza assolutamente spontanea, alla quale non saprei dare una giustificazione, abbinandola ad esempio, a qualcosa che mi sia accaduto o ad un ascolto particolare. Era semplicemente, ma assolutamente necessario suonare la tromba. E solo la tromba. Degli altri strumenti era come se non ne conoscessi l’esistenza. Era, insomma, la mia “passione feroce”.
JC: E la spinta in più?
AM: La motivazione determinante che mi ha fatto decidere definitivamente di dedicare la mia vita alla musica, e di procedere quindi ad un approfondimento vero e proprio, è stata una scala di Re minore. Credo che questo sia successo tra il 1978 e il 1979, quando Franco Perone – si, proprio lui, il direttore della Scuola Vallotti! -, all’epoca direttore della gloriosa Filarmonica di Vercelli oggi guidata sapientemente da Gianni Dosio, musicista che non ha certo bisogno di presentazioni, mi suggerì di utilizzare su un’improvvisazione proprio una scala di Re minore. Per quanto possa sembrare strano, io non avevo la più pallida idea di che cosa fosse un Re minore, ma, ancora peggio, non sapevo nemmeno che cosa fosse una scala! Il suggerimento naturalmente, mi fu dato in presenza di tutta l’orchestra e la figuraccia fu tale che non potei sopportare l’imbarazzo e la vergogna di fronte a tutti quei musicisti. Fu così che decisi, senza indugio, di risolvere quella lacuna e le mille altre che sicuramente si sarebbero fatte vive di li a poco, nel modo più semplice e logico: iscrivendomi al conservatorio. Credo quindi di poter tranquillamente affermare di aver scelto il mestiere di musicista grazie a Franco Perone e ad un Re minore.
JC: Ha ancora un significato oggi la parola musica?
AM: Per me moltissimo. Non credo che avrei ragione di esistere se non esistesse la musica, faccio questo dal mattino alla sera!
JC: E la parola jazz?
AM: Beh, questo invece lo faccio dalla sera alla mattina…
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla tua musica?
AM: Cerco di esprimere sentimenti di passione, di amore, odio, serenità, ansia. Ma in particolare di ricerca, di libertà e di rispetto del Pensiero. Prendendo a prestito una frase della quale non sono assolutamente degno, direi: “aborrisco i tiepidi” e, di conseguenza, faccio di tutto per evitare di esserlo io stesso.
JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
AM: Ogni persona che ho incontrato nella mia vita mi ha insegnato qualcosa, dai bimbi delle scuole materne ai grandi docenti universitari. Per quanto riguarda l’ambito musicale ci sono state persone dalle quali ho attinto maggiormente, come Giorgio Gaslini, Giancarlo Schiaffini e Paolo Conte oltre che, naturalmente, dal mio maestro di tromba Luigi Sechi. Ci sono state però anche molte persone, assolutamente sconosciute al grande pubblico, che mi hanno impartito delle sonore lezioni, spesso a loro insaputa, semplicemente con il loro comportamento e con la loro totale disponibilità ad aiutare il prossimo – me, ad esempio – in difficoltà. Spontaneamente! Infine ci sono alcuni carissimi amici – due o tre come sempre – che oltre ad essere molto importanti a livello affettivo, sono anche straordinari intellettuali per passione (non per mestiere) coi quali si parla con la stessa foga della ricetta del Bunet (= budino piemontese) piuttosto che della grande crisi di identità che sta investendo il nostro paese. Credo che questi carissimi amici non faranno alcuna fatica a riconoscersi tra le righe di ciò che ho detto.
JC: Qual è stato per te il momento più bello della tua “carriera” di musicista?
AM: Astratte Mutazioni. Mi rappresenta completamente.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
AM: Per l’immediato futuro mi sto accingendo a realizzare una serie di arrangiamenti per orchestra sinfonica sul tema del tango. Andranno in scena a dicembre con ballerini, solisti e via dicendo. E poi ci sarebbe un nuovo quartetto, un’orchestra media (tipo Gil Evans), fare l’astronauta, il pilota di jet, di elicotteri, il subacqueo…
JC: Il tuo giudizio sulla situazione della cultura oggi in Italia?
AM: Per fortuna c’è gente che procede a testa bassa anche in momenti difficili come questo dove si crede che l’investimento in istruzione e attività culturali sia solo uno spreco di risorse economiche. Sia chiaro, io la penso in modo diametralmente opposto, ma non perché sia un pazzo visionario, tutt’altro! Semplicemente perché è stato dimostrato ampiamente in più parti del mondo, che un investimento in questa direzione – intendo, istruzione, cultura e così via – non solo genera profitto, ma fa crescere meglio la nazione sotto ogni profilo e prepara le nuove leve, che saranno la nostra classe dirigente del futuro, ad affrontare la vita con un sano spirito critico, il gusto del bello, il rispetto “vero” del prossimo e quanto di meglio si possa sperare. Certamente i risultati non sono immediati, ma credo che sia arrivato il momento di smettere di pensare solo all’uovo oggi, anche perché a forza di uova ci si spappola il fegato…
JC: E come trovi oggi le condizioni della musica e dei musicisti in Italia?
AM: Voglio essere positivo! Credo che la situazione musicale a Vercelli come a Canicattì, Milano, Torino o Roma non sia differente rispetto a quella di tutte le altre città italiane. Semmai bisogna dire che accade proprio poco a livello medio, ovvero a livello di quei musicisti che, pur avendo raggiunto risultati musicali eccellenti non hanno ancora accesso ad un ambito lavorativo di livello superiore. Mi riferisco al circuito delle tournée e delle registrazioni per i musicisti Pop o dei grandi festival per i musicisti Jazz. Una parte di responsabilità però ce la dobbiamo prendere anche noi. Non possiamo continuare ad aspettare che le occasioni cadano dal cielo e credo proprio che sia ora di darsi una scrollata e smetterla di pensare che le cose ci siano dovute: non è “mai” stato così. Anzi, i musicisti spesso sono visti come perditempo bohémien con poca voglia di lavorare (è tipica la domanda: “ma che lavoro fai di giorno?”) ed è ora di dimostrare che non è assolutamente così, proprio per ottenere maggior rispetto e dignità. Se però il nostro unico obiettivo è bere birra gratis nei locali dove si suona, allora otteniamo esattamente ciò che ci meritiamo. Io però non ci sto. Dobbiamo darci da fare, diventare imprenditori di noi stessi e porci ai committenti al pari di un’azienda qualsiasi. Noi non vendiamo oggetti, ma emozioni, quelle vere che non si dimenticano, che non si usurano e che non invecchiano mai. Mi auguro vivamente che da un momento difficile come questo possa partire un nuovo impulso, una forte spinta in avanti. Per dirla come negli anni settanta: “un movimento culturale” che serva a smuovere le coscienze e a farci uscire migliorati e più forti da questo nuovo Medio Evo.