In Situ – IS 244 – 2011
Jean-Pierre Drouet: percussioni, voce
Fred Frith: chitarre
Louis Sclavis: clarino basso, sax soprano, voce
Pochi dubbi sul potenziale di sorpresa insito nella presenza di Fred Frith, già tra i padri naturali del Canterbury-sound: da sempre caratterizzato da verace eclettismo, questa pensante testa di ponte di un personale avant-rock continua a condurre iperattivamente una traiettoria avanguardistica curiosa e multi-stile. Sensibile ed eloquente solista d’ance, il clarinettista-saxofonista Louis Sclavis persegue più che apprezzabilmente il proprio corso visionario ed estetico stagliandosi tra i massimi “grands-seigneurs” dell’ancia europea ma non soltanto.
Parallelamente alle rispettive produzioni (rispettivamente per Intakt ed ECM), chiaro che i due, non certo parchi in atti ed incisioni simultanee e d’ulteriore crescita, volessero affrontarsi in trigono con il gran veterano percussionista-compositore Jean-Pierre Drouet (più probabile artefice dell’incontro), già voce percussiva dei grandi fondatori della contemporanea post-bellica (Stockhausen, Xenakis, Berio etc.) e al contempo artigiano dell’evoluzione della strumentazione etnica.
“Tre bambini cresciuti giocano ad inventare una musica senza intralci e pastoie. Si è presi entro un lungo filo che si dipana lentamente alle nostre orecchie abbacinate: alla fine, agganciato lo spirito agli ultimi suoni appena evaporati, si gusta in serenità questo momento improbabile. E poi, vi si ritorna…”
Non che il programma sia futilmente velleitario o vanamente esposto: avviandosi lungo una cerimoniosità solenne ed un incedere di orientale lentezza, le sonorità indistinte e arcane qui si articolano disegnando le atemporali tattiche dell’istantaneità e tratteggiando un arazzo sonoro cangiante che garantirà un’esperienza di libertà e a quadri mobili per l’ascolto.
La chitarre di Frith guadagnando densità molecolare giungono a toccare il “naturale” ruolo leaderistico da acid-rock band, tornando poi a sciogliersi su un comune medium di contatto e fusione, ove i tasti di Sclavis sospingono una tensione ipnotica e oracolare, agitando movenze lungo il legante istantaneo e a programma del percuotere di Drouet: le tensioni s’agglutinano con drammatica esposizione articolandosi nell’ineffabile disegno che agogna a pause di ristoro tracimando con sublimata ed inerte mollezza entro la dimensione onirica.
Captata on-stage al Festival di Musica Improvvisata all’Opéra-Théatre di Besançon, corredata da un originale libretto cui non manca surreale ed umoristico senso della teatralità, la prestazione del trio ad elevata riserva d’incognita e padroneggiato rischio, che con chiara e vibrante voce bilancia spazi del silenzio e oscillazione acustica non esitando certo in un trionfo d’incertezza e reticenza.