Ingrid Laubrock Sleepthief – The madness of crowds

Ingrid Laubrock Sleepthief - The madness of crowds

Intakt Records – CD 189 – 2011




Ingrid Laubrock : sax tenore, sax soprano

Liam Noble: pianoforte

Tom Rainey: batteria






Oggetto sonante non (agevolmente) identificabile è quello che circolerà nelle orbite del nostro CD-player (improbabili e inortodosse sarebbero più amorfe fruizioni) nelle introduttive e inusuali forme dello zither, quindi del piano preparato ed eviscerato di Liam Noble, via via fiancheggiato dalle membrane più vitree della batteria di Tom Rainey, dispiegandosi quindi le acidule e guizzanti le note di tenore di Ingrid Laubrock, facendo così acquisire crescente forza e concretezza all’elaborato e “thriller” brano introduttivo Extraordinary Popular Delusions; ancora, gioco rumoristico-effettistico in acustica pura per frattaglie e parti non-organiche di batteria e pianoforte, fungenti da spigoloso vassoio per il sassofono, in questo caso assai più grave e disteso, nella decisamente notturna e libera You never know what’s in the next room.


Torna insomma Sleepthief, il suggestivo trio capitanato in rosa dai tasti di Ingrid Laubrock, Saxophon-Spielerin migrata dalla Germania negli anni della formazione a Londra, ove fece un fulminante apprendistato quale musicista di strada, per divenire in breve tempo (non di poca rilevanza l’influsso personale di Dave Liebman) tra gli animatori del F-IRE Collective e del nonetto free Nein (non mancando istruttive frequentazioni maintream, pop e fusion) e adesso una delle più visibili e sempre più operose esponenti dell’avant-jazz ma più in generale di un variamente attivo e altamente presente free di aggiornata concezione, cui devolve adesione genuina e spontanea.


“Già a dodici anni ascoltavo, da un’enorme radio a valvole regalatami dal nonno, della stranissima roba free, per lo più tedesca o est-europea: non pensavo a quello in termini di musica – ma mi portava lontano. Scoprire quanto io ami l’improvvisazione è stata una rivelazione di questi ultimi anni, aiutata in ciò dal discutere e suonare da musicisti con cui in molti casi tuttora suono”.


Non è tipo da rimirarsi allo specchio, Ingrid, benché di fattezze nient’affatto spiacevoli: l’iperattiva tenorista e sopranista, tra le due sponde dell’Atlantico (prevalentemente tra la scena newyorkese e quella londinese), è animatrice e parte integrante, oltre che del presente trio ad ella intitolato, del collettivo Anti-House (ancora col consorte Tom Rainey, oltre alla chitarrista Mary Halvorson, Kris Davis e John Hébert), del Tom Rainey trio, del Mary Halvorson septet, di Paradoxical Frog (in trio con Tyshawn Sorey e Kris Davis) e dei collettivi Sol 6 e Catacumbo, un ottetto free coinvolgente oltre a partner abituali una seconda metà britannica, oltre al quartetto attualmente in tour con Mat Maneri.


Assai sensibile alla diffusione mediatica (ed in questa occasione, graziosamente partecipe quale “estemporanea consulente” alla stesura di tale recensione), la giovane sassofonista evidentemente molto coinvolta nella schiera degli esponenti più responsabili e colti tra i suoi omologhi, ha non troppo curiosamente preso spunto nella gestazione di questo lavoro da un classico trattato di socio-economia di Charles Mackay, “Extraordinary Popular Delusions and the Madness of the Crowds”, che non è stato utile soltanto nel trarre titolo e brano d’apertura, ma che nel suo trattare la “naturale paura del contatto con l’Ignoto”, della “naturale tendenza delle masse verso il panico” e dei “suoni che preannunciano la catastrofe” ha fornito, intuitivamente, materiali di preliminare meditazione.


Album che alterna e lascia convivere tensioni ed energie estreme da free indignato e argentee preziosità d’istantaneità creativa, procedendo ora su assetti più ritmati e “marziali” (South Sea Bubble) o pulviscolari “assenze e vuoti” drasticamente orientati verso la facies più silente e destrutturata della musica (Haunted Houses), e di esso Laubrock ci ha comunque sottolineato l’assenza di “direzione musicale in questa musica.


Tutto è totalmente improvvisato e l’unica cosa prestabilita è stata quando ho voluto suonare un brano minimalista impiegando diversi rullanti e due rudimentali zither. In questi ultimi anni abbiamo suonato tantissimo insieme ma anche continuato a crescere indipendentemente, cosicché vi è sempre un qualche elemento di sorpresa” in tale partnership così sperimentata, ma evidentemente anche così tanto istintiva.


Se Ingrid non si rimira allo specchio, è certo che nemmeno Intakt Records dorme, e non da ora continua ad arricchirsi un catalogo di qualità da parte dell’etichetta elvetica, che attualmente riunisce grandi esponenti di tre generazioni del jazz fertimente e in varia combinazione attivi quali sempre più forti nomi del pianeta musicale.