Filippo Tuena: racconti intorno alla musica.

Foto: La copertina del libro





Filippo Tuena: racconti intorno alla musica.


Nel suo nuovo libro di racconti, Stranieri alla terra (Nutrimenti, 2012), Filippo Tuena si concentra su alcune figure in conflitto con il contesto in cui vivono. In particolare, lo scrittore riprende la storia – leggendaria, per quanto realmente – del “viaggio” di Bix Beiderbecke all’obitorio newyorchese di Bellevue. Il racconto segue poi la pubblicazione di Quattro assoli per cornetta jazz, usciti sul numero 9 di Satisfiction, dedicati anch’essi a quattro personaggi della prima stagione del jazz, come Buddy Bolden, Joe Smith, Bubber Miley e Bix.



Jazz Convention: Come si scrive “sul” jazz? Come si utilizzano i personaggi e le vicende del jazz come spunto per opere di fantasia, dialoghi, ambientazioni e via dicendo…


Filippo Tuena: Sul jazz si scrive non parlando di musica, essenzialmente. Non credo che sia possibile descrivere a parole la musica. Puoi scrivere vite di jazzisti, episodi, situazioni. Puoi scrivere in maniera musicale, mimando con la scrittura il tessuto musicale; puoi scrivere saggi di teoria musicale – penso a Gunther Schuller – ma se usi la narrativa per esprimerti, non puoi descrivere la musica. Racconti quello che le sta intorno. O quello che ti suscita.



JC: Tu hai inserito Bix all’interno di Stranieri alla terra, il tuo nuovo libro di racconti. Partirei dalla scelta del personaggio e dalle motivazioni che ti hanno portato a Bix per parlare di come è nato il volume.


FT: In Stranieri alla terra parlo di figure in conflitto col mondo che le circonda. Che affrontano situazioni estreme. Bix mi sembra emblematico di questo conflitto. Parlo anche di persone andate in pezzi per quel conflitto. E anche in questo caso Bix ne è un esempio molto evidente. Nella nota finale aggiungo che Bix mi ha insegnato a raccontare storie e che gli sono debitore di un certo modo di costruire la mia frase. Ricordo, anni fa, che lessi su Musica Jazz un’intervista a Enrico Rava. Diceva che quando ascoltò Bix per la prima volta si rese conto che quella cornetta raccontava una storia, e che lui capiva quella storia. Lo stesso è capitato a me.



JC: Il jazz delle origini è avvolto di per sè in un’aura più indefinita. È questo il motivo della tua scelta o c’è anche una vicinanza di gusti?


FT: Mi ha sempre interessato quel jazz, punto d’incontro tra la musica europea e le tradizioni dei musicisti di colore. La polifonia prima e poi la nascita dell’assolo, variazione sul tema che nobilita anche i motivetti più banali, sono due aspetti importanti di quelle esecuzioni, per niente dozzinali o facili. Dozzinale o facile è stato poi il ripetere quello stile oltre il suo tempo e ora fa un po’ ridere, sentire band contemporanee eseguire jazz tradizionale. Ma le incisioni originali mostrano musicisti eccellenti, pieni d’idee innovative. I tre minuti delle incisioni a 78 giri e le poche battute che sono concesse ai solisti costringono i musicisti a una sintesi eccezionale.



JC: Il racconto sulla notte all’obitorio di Bix era stato preceduto dai Quattro assoli per cornetta jazz sempre legati a personaggi della prima stagione del jazz.


FT: I Quattro assoli erano dedicati a trombettisti e cornettisti maledetti: Buddy Bolden, Joe Smith, Bubber Miley e lo stesso Bix. Ho studiato la tromba da giovane e nutro ancora una grande passione per quello strumento. E, tornando al racconto, Bix e Jack Teagarden che visitano la notte di San Valentino l’obitorio del Bellevue, beh, era una storia troppo forte per non doverla affrontare.



JC: Uno spunto un po’ provocatorio. L’immaginario del jazz, in generale, vive dei luoghi fumosi, viene ritratto in bianco e nero, si anima di storie e personaggi maledetti: non sarebbe il caso di ampliare lo spettro, anche per portare al pubblico altre “immagini” e possibili letture del jazz…


FT: Esistono jazzisti borghesi? ovvero jazzisti in perfetta sintonia col mondo che li circonda? Può darsi. Anzi, certamente. Ma avrebbe senso raccontarli?



JC: I tuoi lavori si prestano ad essere presentati sotto forma di reading, di incontri musicali. Oltre naturalmente alla pagina scritta, qual è il tuo approccio con il pubblico?


FT: Ho fatto diversi happening e letture con musica soprattutto per lavori che avevano come protagonisti Michelangelo o Robert Schumann. Durante i reading di Michelangelo facevo eseguire alcuni madrigali composti per lui da Giacomo Arcadelt o Bartolomeo Tromboncino. Su Schumann ho scritto una pièce che veniva alternata all’esecuzione della Kreisleriana. Mi piace molto mischiare parole e musica. Un altro mio libro, Le variazioni Reinach, ricostruiva la figura di un compositore morto ad Auschwitz, recuperando l’unica sonata per violino e pianoforte da lui pubblicata in vita. L’ho fatta eseguire innumerevoli volte e credo ormai sia entrata in repertorio di un paio di formazioni. Poi ho avuto una bella esperienza come autore dei testi di un’opera jazz composta da Massimo Nunzi. Rappresentata nel 2003. A Roma e al festival di Roccella Jonica.



JC: Le tue prossime pagine sul jazz, quali direzioni prenderanno?…


FT: Era da trent’anni che volevo scrivere di Bix. Ora non so se ci saranno altri incontri jazzistici. Ma chi può sapere quel che accadrà domani?



JC: Parliamo dei tuoi ascolti: quali sono i musicisti e i generi che ascolti?


FT: Ascolto musica rock, jazz, sinfonica, cameristica, operistica. Di tutto. Forse non tanta musica etnica. Del rock e del pop, sono un po’ nostalgico. Roba degli anni ’60 e ’70. Animals, Rory Gallagher, Blood, Sweat and Tears, Bob Dylan e tanti altri. I musicisti che amavo allora, soprattutto. Dei jazzisti ascolto soprattutto trombettisti, da Armstrong a Lee Morgan; da Berigan a Miles Davies; da Bobby Hackett a Clifford Brown. Mi piacciono anche Flavio Boltro e Fabrizio Bosso.



JC: E, in particolare, quali sono i tuoi ascolti legati alla lettura e alla scrittura dei tuoi lavori?


FT: Potrei ascoltare all’infinito la musica di Rossini. È come il jazz: ritmo puro. È come la letteratura: ritmo puro.