Sebastiano Dessanay. Songbook Volume Two

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Sebastiano Dessanay. Songbook Volume Two.


Sebastiano Dessanay è un nostro valente contrabbassista e compositore di stanza in Inghilterra. Ha dato alle “stampe” il suo primo, e riuscito, disco da leader a capo di una formazione composta da Alessandro Di Liberto al piano e Pierpaolo Frailis alla batteria. Si avvale anche, come guest star, dell’intervento in alcune tracce del trombettista Fulvio Sigurtà.



Jazz Convention: Sebastiano, tu vivi in Inghilterra. Parlaci di questa tua scelta e delle esperienze artistiche, le collaborazioni fatte oltre Manica.


Sebastiano Dessanay: Ho rimuginato sulla scelta di vivere in Inghilterra per tanto tempo prima di metterla in atto effettivamente. Ho sempre sentito una qualche affinità con la cultura inglese, non solo quella musicale del rock e pop col quale sono cresciuto, ma anche sotto altri punti di vista. Mi piacciono il senso dell’innovazione ma anche di conservazione e valorizzazione del vecchio, la ben collaudata integrazione culturale, il rispetto della meritocrazia e l’offerta di opportunità che questo paese offre. Da quando sono qui, inizio 2009, ho decisamente accelerato il ritmo con cui ho prodotto musica, in forma di composizioni, performance e collaborazioni. Non solo in ambito jazzistico, ma specialmente in ambito contemporaneo. Attualmente sto ultimando un dottorato di ricerca in composizione al Birmingham Conservatoire. Partecipo attivamente a molte attività del conservatorio. Le più stimolanti sono lavorare con i compositori “in residence”. Ho lavorato con importanti compositori contemporanei quali Louis Andriessen, Heiner Goebbels, Frederick Rzewski, Oscar Eldestein, Howard Skempton. Suono regolarmente con l’ensemble Decibel del compositore irlandese Ed Bennett, col quale abbiamo registrato un importante cd con Paul Dunmall, un incredibile sassofonista della scena improvvisativa radicale inglese. Sempre con Paul in autunno uscirà un cd per l’etichetta SLAM insieme al pianista sardo Sebastiano Meloni e al batterista Mark Sanders.



JC: Songbook Volume Two è il primo tuo disco da leader…


SD: Sì, è arrivato un po’ tardi, considerando che ho quasi 40 anni, meglio tardi che mai! Prima di questo disco ho registrato in diversi progetti di altri artisti, alcuni dei quali contenevano comunque delle mie composizioni.



JC: In quanto tempo e dove è stato realizzato?


SD: Nell’estate 2010 io, Alessandro Di Liberto e Pierpaolo Frailis ci siamo incontrati regolarmente per suonare alcuni brani miei. In breve tempo si è creato un buon feeling e ho capito che con loro avrei potuto finalmente registrare un bel po’ di materiale che avevo nel cassetto. Vivendo io in Inghilterra e loro in Sardegna, ci siamo incontrati il più possibile durante l’inverno 2011. Il disco è stato registrato durante quattro giorni di sessioni al Birmingham Conservatoire nel giugno 2011. Come studente ho avuto accesso agli studi del Conservatorio e ho avuto il supporto tecnico di Matthew O’Malley, fonico e responsabile degli studi, e di Emma Chilton, studentessa di nuove tecnologie nello stesso conservatorio.



JC: Il gruppo è formato da musicisti sardi a cui si aggiunge il trombettista Fulvio Sigurtà. La comune appartenenza etnica ha condizionato dal punto di vista musicale il disco? Cosa c’è di sardo nel tuo jazz?


SD: Una domanda molto difficile in un mondo dove ormai i confini culturali sono difficilmente tracciabili. Come sardo vissuto in Sardegna negli anni della globalizzazione, ho respirato inevitabilmente stimoli da ogni parte del mondo e quindi nella musica presente in questo disco si possono probabilmente identificare tante influenze che comunque sono state metabolizzate e riassemblate in Sardegna, sotto forma di composizioni di un sardo, e suonate da musicisti sardi. La musica sarda contemporanea è anche questa, nonostante l’assenza di launeddas…



JC: I brani sono inediti e sono tutte tue composizioni. Come sono nate?


SD: Tutti i brani sono stati scritti in un periodo compreso tra il 1999 e il 2009, un decennio in cui ho approfondito lo studio del jazz. Molti brani sono nati come dei veri e proprio esercizi di creatività, delle piccole sfide: Nora ad esempio è nata come armonizzazione di una scala cromatica ascendente sul contrabbasso, la sfida era di sovrapporgli una melodia interessante. Inoltre ho provato a mettere in pratica quello che ho assorbito dai grandi del jazz in forma di brani originali. Ho tentato di mantenere una certa originalità, nonostante molte influenze sono probabilmente avvertibili dagli amanti del jazz. Mi riferisco a Bill Evans, Kenny Wheeler, Dave Holland e tanti altri. Ho dato molta importanza all’aspetto della scrittura: un brano come Neve è quasi interamente scritto come una piccola suite in tre parti, dove all’interno trovano spazio dei brevi momenti improvvisativi. Non manca però l’interesse per la pura improvvisazione: Intermission è un brano completamente improvvisato che divide idealmente in due le composizioni nel disco.



JC: Parlaci della casa discografica?


SD: Sono entrato in contatto con la F-IRE tramite email nel momento in cui cercavo una etichetta disposta a produrre il lavoro. Dopo aver ascoltato la registrazione, il comitato artistico ha deciso di produrre il lavoro, con mio grande piacere. F-IRE è in realtà un collettivo londinese di artisti, creato per promuovere le attività dei membri lasciando una grande libertà artistica. L’etichetta è nata successivamente per produrre i lavori dei componenti stessi. Non ha scopo di lucro, perciò ci sono immensi vantaggi, dal mantenimento totale del copyright e delle edizioni, alle minime percentuali che ritengono dalla vendita dei dischi fatte sul loro sito. Inoltre hanno una grande distribuzione, la Proper. Questo fa si che i dischi siano in vendita non solo nei principali negozi di jazz inglesi ma anche sulle maggiori piattaforme digitali.



JC: Ci sarà un seguito a Songbook Volume Two?


SD: In realtà c’è un predecessore…come il titolo suggerisce, ci dovrebbe essere un Volume One, contenente composizioni un po’ più vecchie, al quale sto lavorando da parecchio tempo con un altro trio sempre di musicisti sardi, ma per questioni logistiche non ha visto la luce prima del Volume Two. Ho deciso di pubblicare comunque il Volume Two, pensando che dopo tutto George Lucas fece uscire il suo Star Wars – episodio IV prima di tutti gli altri…



JC: I tuoi interessi artistici sono legati solo al jazz o vanno oltre?


SD: Il jazz è solo un aspetto del mio essere musicista. Come ho detto prima, collaboro regolarmente con un ensemble di musica contemporanea, sia come contrabbassista che come compositore. Lavoro al Birmingham Junior Conservatoire come tutor orchestrale e quindi mi occupo anche di musica classica. Inoltre da quando sono in Inghilterra ho composto musica per diverse coreografie e collaboro regolarmente con artisti multimediali.



JC: Che “aspetto” ha il jazz italiano visto dall’Inghilterra?


SD: Mi hanno da poco fatto notare quanto sia “italiano” il mio disco. Credo si riferiscano al fatto che sia molto melodico. Noi italiani non possiamo prescindere da un senso melodico che ci deriva dall’opera e dalla canzone italiana, tanto meno io che sono cresciuto in una famiglia dove l’opera era sempre presente. Mio nonno fu il primo sovrintendente dell’Ente Lirico di Cagliari. In questo senso sono stato felice di avere Fulvio Sigurtà nel mio disco, credo che sia una buona rappresentazione del jazz italiano di oggi all’estero.