Silta Records – SR 1103 – 2011
Gianni Lenoci: pianoforte
William Parker: contrabbasso
Gaetano Partipilo: sax alto
Marcello Magliocchi: batteria
Dopo il “gemello diverso” per Silta Records (in un trio italiano differente e con ospite il grande Steve Potts) del pianista che aveva già segnato altre, e recenti, collaborazioni con Parker, questi si conferma non sembrare tipo da lasciarsi intimidire da certi estri avanzati: è noto come Gianni Lenoci abbia appreso i modi del free da Paul Bley e Mal Waldron, frequentato pesi massimi, (o affine categoria) quali Don Moye, Joëlle Léandre, Han Bennink e via provocando, oltre ad aver curato la rappresentazione pianistica di tipi coriacei alla John Cage o Morton Feldman.
La serata pugliese recentemente captata non troverà nella fumosa ripresa sonora deficit o deterrenze di sorta ad attestarsi come un momento sentito e, superfluo precisarlo, nobilitato dalla voce polposa e nitida di basso dell’enorme contrabbassista newyorkese, attore (come c’è da attendersi) non di una comparsata a cameo bensì di parte molto attiva e integrante, dando l’incipit all’estesa Secret Garden, il cui pervasivo senso della danza è segnato dalle armonizzazioni difficili e dal denso interplay, che trova ristoro nella sensibile A Palindrome Life, che mantiene turbolenze e drammaticità sotto la superficie imbastita dalle trame apparentemente più fragili e cembalistiche del piano preparato di Lenoci, che pur attribuendosi nel corso del programma ampi momenti espositivi, non pone in ombra elementi assai vitali quali la trance serpiginosa del sax di Gaetano Partipilo e il drumming giocato all’offensiva di Marcello Magliocchi.
Clima più luminoso e revival di una pulsante scena Golden Age articolano l’ancor prolugato momento Two days in Amsterdam, avvicendato dalle energie infuocate e dalle spiazzanti vertigini, spese al massimo nella breve vita della concisa Splinter, trovano temporaneo ristoro nel dialogo animista e nelle vibrate tensioni africaneggianti di Mbira (che agevolmente immagineremmo posta in opera da una formazione all-american), che lasciano il posto alle energie di più aperta rivolta della conclusiva, lungamente agitata assemblea di Variations.
Raccolta qualitativamente non poi così lontana per esiti, concentrazione ed efficacia da ammirati lavori parkeriani quali ad esempio un Petit Oiseau, per quanto può venirci alla memoria, e i momenti tutti a firma del pianista esitano in una prova abbastanza completa per umori e gamme formali, passando da più robuste coralità a climi più centellinati e cospirativi: insomma vari sentori del post bop e risonanze dal free storico a quello dei cantieri contemporanei, non paghi di farsi carico degli umori della strada, ma tuttora operosi anche nell’esposizione estetizzante e nel gusto della citazione.
E il Secret Garden, l’incisone in oggetto, giunge così un po’ superflua nel convalidare la caratura dei nostri autori-solisti, ma almeno testimonierà di un momento dalle energie concentrate e spese con attivo impegno, in piena interazione con la partecipazione (dovuta) dell’ascoltatore.