Slideshow. Lara Iacovini

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Slideshow. Lara Iacovini.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?


Lara Iacovini: ‘S Wonderful nasce da una forte passione per due grandi artisti del Novecento: George Gershwin e Stevie Wonder; nasce dal desiderio di immaginare un incontro tra loro, durante il quale essi si scambiano stile, idee, modi di interpretare, mantenendo però quella linea comune, che per noi è stata il trait-d’union del progetto: il gusto jazzistico.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?



LI: Quando ero bambina, mi addormentavo la sera con il sottofondo del pianoforte che mio padre suonava: non faceva il musicista di professione perciò poteva studiare soltanto in quelle ore. Un brano in particolare… Waltz for Debby, era la nostra (mia e di mia sorella) ninnananna… pardon, lullaby.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantante jazz?



LI: La sensibilità verso il jazz l’ho sempre avuta anche perché, come ho già spiegato prima, lo ascoltavo da bambina. Più tardi, però, è venuta la decisione di cantarlo. Il percorso musicale che ho seguito è stato classico: pianoforte e canto lirico; poi ho iniziato con la musica leggera, ma sempre con una predilezione verso gli standard. Fino a quando, raggiunta l’età matura (ma sappiamo qual è? ride), ho deciso che potevo permettermi di cantare solo ciò che era nelle mie corde. Non so se mi spiego…



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?



LI: Certo che ce l’ha! E vorrei proprio evitare quelle espressioni come “Il Jazz è finito” o “Il jazz ha detto tutto ciò che aveva da dire”, eccetera. L’arte è sempre in evoluzione: allora lo potremmo dire anche del cinema, che del jazz è praticamente coetaneo, della letteratura, della pittura. Credo piuttosto, che il jazz stia cercando nuove strade per esprimersi: alcune sono a percorso chiuso, ma se pensiamo al jazz del nord Europa, direi che stiamo andando alla grande.



JC: Ma cos’è per te il jazz?



LI: Che domanda impegnativa! Scherzo, dai. Per me il jazz è libertà, principalmente. Un po’ come dire: ho studiato e studio tanto, ma quando canto esprimo ciò che sento senza remore e in tutta spontaneità. Racconto e mi racconto, lontano dalla contingenza. Del resto, se pensiamo alla storia del jazz e al destino degli afroamericani, quali altri modi avevano di esprimere se stessi, i propri sentimenti, di comunicare liberamente se non mentre suonavano o cantavano? Il resto della loro vita era tutto restrizione e discriminazione. Era il palco che li rendeva liberi. Credo che questo “mood” sia rimasto in ogni jazzista autentico.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?



LI: Credo di aver risposto in parte nella domanda precedente: autenticità, anima, libertà, che non escludono anche un impegno intellettuale.



JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?



LI: Questo non lo so, ma so che c’è tanto desiderio di suonare e cantare musica jazz: lo vedo in conservatorio, dove insegno. Gli studenti aumentano, fanno sacrifici enormi, sia economici che di tempo, per seguire i corsi, Ore di viaggio per non perdere le lezioni: il futuro è anche nelle loro mani. Spero che i tempi diciamo così…difficili…lascino loro lo spazio che meritano per esprimersi.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella voce, nella musica, nella cultura, nella vita?



LI: Tanti. Non posso accennare a tutti. Senz’altro all’inizio Ella Fitzgerald: il suo swing, la sua voglia di vivere, la sua energia, mi hanno conquistata subito. È stato un amore a “primo ascolto”. Poi sono venute: Carmen McRae, Betty Carter, Satchmo, Chet Baker, e infine, Shirley Horn, Norma Winstone (per parlare di jazz nordico), ma l’elenco è ancora lungo… Essendo una ex professoressa di italiano, sono molto sensibile all’accostamento letteratura-musica e il testo di un brano ha per me altrettanta importanza dell’aspetto prettamente melodico-armonico.



JC: Qual è stato per te il momento più bello della tua carriera di musicista?



LI: Un momento solo non ce l’ho, ma senz’altro quando sono entrata nello studio di registrazione per realizzare il mio primo Cd, Everybody’s Song, ho provato un’emozione fortissima. “Ci siamo, Lara – mi sono detta – ora tocca a te”.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?



LI: Senz’altro con Riccardo Fioravanti ho un’intesa artistica particolare, dal momento che abbiamo realizzato due progetti insieme. Ma tutti coloro con cui ho lavorato hanno lasciato in me un segno positivo. Ho imparato molto dal groove di Giovanni Falzone; la classe di Mario Rusca è inconfondibile, l’estro di Massimo Colombo, che è anche un guest di ‘S Wonderful, mi ha suggerito molte idee. Francesco D’Auria è un fantasista del ritmo. E che dire di Andrea Dulbecco? Grande è il primo attributo che viene alla mente. Poi ci sono musicisti con i quali mi piacerebbe lavorare, vedremo…



JC: Resta difficile essere donna nel jazz?



LI: Si! ma non vorrei essere uomo (sorride – n.d.r.)!



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?



LI: Adesso mi dedico alla promozione di ‘S Wonderful. Poi ho un sogno nel cassetto, ma non ne parlo per scaramanzia, così t’incuriosisco. Comunque tanta buona musica: le idee sono molte; con il tempo poi si definiscono fino a concretizzarsi in un progetto compiuto. Certo, tanta voglia di fare e di apprendere ancora.