Oddarrang – Cathedral

Oddarrang - Cathedral

Texicalli Records OY – TEXCO115 – 2012




Olavi Louhivuori: batteria, percussioni, synth, piano

Osmo Ikonen: violoncello, voce, organo da chiesa

Ilmari Pojhola: trombone, rumori, voci

Lasse Sakara: chitarra elettrica, acustica

Lasse Lindgren: basso elettrico, contrabbasso, synth






La terra di Finlandia non dev’esser solo alci ruminanti e placide nevi perenni se ha offerto i natali ad incorreggibili guastatori del calibro, ad esempio, di Kimmo Pohjonen e Samuli Kosminen (ricercare qualche loro bravata discografica farà salutarmente male – o viceversa! – ad orecchie di buona famiglia), e le skylines imbastite tra cieli tersi e lineari architetture non escludono le sementi dell’inquieta curiosità: a seguire i passaggi del batterista-leader Olavi Louhivuori, ne ricordiamo certo l’operoso contributo al quintetto di Thomas Stanko, osando alquanto più le performance insieme a Braxton o Crispell, e stando alla sua produzione nel Sun Trio (insieme al creativo fratello trombettista Kalevi e al bassista Antti Lötjönen ) ne abbiamo apprezzato il confezionamento del complesso e colto (quanto disinvolto) avant-jazz che aveva segnato due valide incisioni.


Ma, come si ode, le lezioni apprese e i margini violati non hanno impedito che l’orecchio e la sperimentazione ruotassero verso forme ulteriori e differenti.


Presentato come “ritratto sonoro del più innovativo jazz finnico”, il Cathedral in oggetto è un album-sequenza di forme e stati umorali che fanno di primo acchitto pensare ad un titolato e corposo indie-pop, segnato da forti venature post-ambient, con un effettismo con ogni probabilità importato nello spendersi di Louhivuori anche nell’ambito colonne sonore.


Ebbene, Nel rivoltare le sonorità sacrali per evocare (con dimestichezza tutta nordica) la mistica della terra e del vento già dall’iniziale Prayer, scandita da un contemplativo misticismo progressive, lungo l’articolato materiale che ulteriormente va agglomerando i segni delle impressioni iniziali e – prescindendo dalle vicinanze formali del rauco gospel di Holy Mountain – fino alla conclusione, sancita dal vigoroso ibrido In Oamok, il dubbio al termine permane invariato, su: dove risiede il jazz, nella forma delle nove tracks di Cathedral?


Ma doveva ben esser lì: nello spirito vitale soffiante sul cristallo delle chitarre, nelle dissonanze appena percettibili, nelle slabbrature eufoniche del cello e del contrabbasso, nell’incedere russante della brass-section in levitazione, e così via per non aver bisogno di andare a ritroso con la memoria verso certi magnifici e avanzati “corpi estranei” lasciati sul terreno della visionarietà da Garbarek o Henriksen – che poi in tali operazioni potevano anche negarsi alcuna pertinenza di “genere”.


Insomma, nove piccole stanze di suono catalizzatore di forma, contornate dallo spirito del jazz… disturbante (e propulsiva!) assenza-presenza.


Ecco dov’era: replay!