Stefania Paterniani – Pentagocce

Stefania Paterniani - Pentagocce

Koiné – KNE 014 – 2012




Stefania Paterniani: pianoforte e voce

Massimo Morganti: trombone

Samuele Garofoli: tromba, flicorno

Marco Di Meo: chitarra acustica

Michele Vagnini: viola

Mauro Lorusso: campane tibetane






Per niente facile, imbattendosi in un lavoro discografico di fattezze contemporaneamente semplici e spiazzanti, farsi guidare da un filo conduttore piano e unitario all’ascolto (e secondariamente alla valutazione), anche in considerazione delle valenze, dichiarate e non, dell’opera in oggetto.


Non staremo ad addentrarci nelle multiple implicazioni, o il semplice speculare lungo la tematica del “doppio”, della Gestazione (reale e maternale in questo caso) e della Creazione (artistica e musicale nello specifico), essendo comunque molto privata la preparazione ad una nuova vita, dedicataria dell’operato del presente album, pur potendo andare con la memoria ai disparati analoghi esiti creativi della maternità, vedansi le Patty Smith e consorelle toccate da questo significativo stato vitale.


Per niente facile (proseguendo nel parafrasare un grintoso cantautore nostrano) l’identikit stilistico di questa canta-compositrice dichiaratamente jazz, la cui non poi così ovvia né troppo scorrevole limpidezza formale lascia ulteriormente aperta la morfologia del jazz quale ambito “aperto” per intrinseca natura.


La vocalità sulle prime elementare e accessibile di Stefania Paterniani mostra una meccanica simbiotica con la dimensione della poesia, in apparenza non privilegiando quella fisionomia rassicurante (vuoi: scontata) delle porte aperte sul Sogno, azzardando piuttosto evocazioni a ritroso nelle nebulose del tempo, sfiorando l’inquieto e seduttivo mistero del canto delle Sirene.


Per niente facile – ma in questo caso auspicabile e compiuto – lo smarcamento dai tópoi di certe superficiali vedute “musicoterapiche” e dalle melensaggini di un certo ambient anti-stress, per darsi ad un camerismo-jazz auto-interrogativo e atipicamente limpido; conferendo agli strumenti il ruolo di fantasmatiche immagini in dinamico ma composto confronto con una curata dimensione pianistica, questa rielabora dilatazioni oniriche alla Satie e animate figurazioni alla Debussy, ad esempio, imbastendo peraltro le forme con il coraggio di una dominante dissonanza, mantenendo una soluzione non del tutto facile (e magari per niente, per onor di coerenza), suggellando una dimensione strettamente privata che la ripetizione dell’ascolto non priva delle sue quote ermetiche.


Confortevole senza mai esitare in forme banalmente piane, adottando morbidezze e liquidità progressivamente meno “amniotiche” per affidare ai fiati linee via via più oblique, il lavoro si svela con gradualità nelle evocazioni di pulsazione profonda (Who will take my dreams away, Il canto delle onde) passando per la dimensione del Mistero ancora più sensibile (Il suono e i sogni) giocando a più riprese e a varie guise con la cellula melodica elementare, che però apre momenti ad andamento e corpo piuttosto differenziato; chiudendosi nell’orgoglio squillante di Parole del silenzio, l’anima ripresa dalle seminali ninne-nanne è primariamente di respiro notturno, come conformato dai colori bruniti degli strumenti d’ottone e dal metallo sottile di viola e chitarra.


Per niente facile, indi, orientarsi lungo un tragitto rettilineo o limpidamente coerente entro un labirinto solo in apparenza a bassorilievo e lineare: le atmosfere di irregolare fruibilità di Pentagocce senza troppo esagerare vantano parentele con quei percorsi cantautoriali apparentemente semplici ma in filigrana ben più tortuosi ed oracolari alla Juri Camisasca (per chi avesse ancora in memoria autori di tale caratura) – ma le analogie potranno essere formulate a piacimento, se si condivide l’àmbito:


“Delle mie canzoni direi che hanno una forma molto personale (tale il commento introduttivo donatoci da Stefania). Esse non rispettano i canoni della forma tradizionale perché quando scrivo un testo lo scrivo in TOTALE silenzio, lontano dal piano o altri strumenti. La musica è l’energia senza la quale quelle parole non potrebbero parlare”.


A suo modo semplice nell’impianto ma resistente a più riascolti, e mantenendosi mai completamente aperto a letture convenzionali, questa collana di nove piccole perle è per caso anche un invito e volendo anche una sibillina sfida?


Non immediata la risoluzione – azzarderemmo poi: per niente facile.