Foto: Fabio Ciminiera
Young Jazz 2012.
Foligno – 24/26.6.2012.
La crisi c’è… si potrebbe cominciare così ogni articolo riguardante festival, concerti e manifestazioni varie programmate quest’estate sul territorio italiano. La differenza, però, sta nella risposta alle istanze causate dalla situazione economica e dai tagli portati dalle amministrazioni pubbliche alle sovvenzioni concesse ai festival.
La risposta di Young Jazz, pur ridimensionando in maniera sensibile alcune sezioni, è stata propositiva e ha puntato alla ricerca di nuovi spazi anche all’interno del centro di Foligno.
Andiamo con ordine. Tra le novità di questa ottava edizione sono sicuramente da annoverare il progetto Via del Jazz. L’idea già in nuce nelle scorse edizioni è stata pensata per coinvolgere il centro cittadino e, in particolare, i locali di Via Gramsci, l'”arteria principale” del festival dal momento che unisce Piazza della Repubblica e l’Auditorium San Domenico, i poli della rassegna. E, in particolare Piazza Don Minzoni con il palco dove si sono esibiti gli Slivovitz, con il passaggio della P-Funking Band e con lo spazio ricavato nella Corte di Palazzo Deli è stata, per così dire, conquistata alla causa del festival.
Come si diceva prima sono state ridimensionate alcune sezioni come Jazz Community e Jazz Museum. La prima ha prodotto un solo evento quest’anno – Giezzisti in collaborazione con le associazioni “Liberi di Essere” e “La Società dello Spettacolo” – per affiancare poi altre iniziative ai concerti del cartellone. La seconda si è manifestata attraverso una serie di visite guidate, aspettando tempi migliori. In entrambi i casi si tratta di sezioni importanti, capaci di innescare un dialogo con il territorio e con le diverse realtà che operano su di esso, in entrambi i casi ridimensionare è stato il modo per mantenere una continuità e di proseguire, prima, nelle attività invernali e in seguito nelle prossime edizioni.
Naturalmente, al centro di tutto questo ci sono stati i concerti. Anche in questo senso la risposta alla crisi è stata molteplice. Se il cartellone principale ha portato sui vari palchi Dave Douglas & Keystone, A10A10, la formazione celebrativa dei 10 anni di Auand, la Unknown Rebel Band capeggiata da Giovanni Guidi, la ricerca di luoghi ha completato il programma con la serie dei piano solo nella Taverna del Rione Ammanniti, gli Slivovitz in Piazza Don Minzoni, Streetmates, il duo formato da Adriano Viterbini ed Enzo Pietropaoli, nella Corte di Palazzo Deli.
Young Jazz da sempre ha ospitato all’interno del proprio cartellone concerti non consueti in altre rassegne. E non è un caso che, dopo la prima data newyorchese, il debutto italiano di A10A10 sia avvenuto a Foligno. La creatura promossa da Marco Valente per celebrare il decimo compleanno di Auand propone nella sua formazione molti protagonisti delle varie edizioni del festival: Francesco Bigoni, Francesco Lento, Beppe Scardino, Francesco Diodati, Gabrio Baldacci, Francesco Ponticelli, Ermanno Baron sono stati presenti diverse volte nella rassegna folignate, portando i propri progetti personali. In questo caso insieme a Emanuele Cisi, Giancarlo Tossani e Andrea Ayassot, tra gli altri alfieri dell’etichetta di Bisceglie, hanno proposto il programma di brani originali – composti per l’occasione o riarrangiati per la formazione ampia – che costituisce il repertorio del tentetto. La varietà è la cifra caratteristica e la qualità della formazione: visioni e approcci stilistici differenti vanno a sommarsi nella maniera di interpretare e di improvvisare sulle partiture proposte dal compositore di turno, un dialogo in musica, nato con l’intento celebrativo, ma in grado di raccontare lo stato dell’arte di una scena nazionale emergente – sia per l’età, ancora giovane, di molti protagonisti che per la sperimentazione delle intenzioni – e di mettere in luce la consapevolezza e la maturazione raggiunta dai suoi componenti.
Anche la Unknown Rebel Band di Giovanni Guidi tasta il polso alla stessa scena, con l’ottica però di un repertorio proposto dal leader e pensato con l’intenzione di dare risalto alle ribelli di tutte le latitudini. Libertà, improvvisazione radicale e collettiva, ma anche ritmi sudamericani e melodie struggenti. La costruzione semi-orchestrale del nonetto, con le mini-sezioni di fiati create e dissolte a seconda delle necessità dei brani, con le stratificazioni sonore ottenute agli incroci dei musicisti e con la capacità di ridursi numericamente fino al minimo negli spazi lasciati al solo contrabbasso o al solo pianoforte, rendono vario il filo narrativo della del concerto.
Dave Douglas & Keystone portano sul palco un set solido, privo di sbavature. Il quintetto si muove a seconda dei casi su un groove inteso in senso metropolitano e contemporaneo, su dimensioni rarefatte e su derive sperimentali. Una sezione ritmica di grande impatto permette ai solisti di tracciare le proprie linee senza problemi in ogni direzione e dare corpo e spessore alle composizioni originali portate dal trombettista in questo contesto. Douglas è tra i musicisti che meglio interpretano le tensioni del jazz di oggi, capace com’è di spingersi avanti pur mantenendo un contatto forte con le tradizioni e di incuriosirsi per quanto accade intorno a lui. Keystone rispecchia in pieno questo atteggiamento con la miscela intelligente ed eclettica che esce dall’incontro di tromba, sax tenore, Fender Rhodes, basso elettrico e batteria.
Young Jazz rivela ancora una volta il suo marchio di fabbrica nell’invitare ad esibirsi all’interno del suo programma formazioni che ancora devono giungere alla prima uscita discografica. Streetmates nasce dall’incontro tra Adriano Viterbini e Enzo Pietropaoli. La felice convergenza di suoni acustici, atmosfere blues, tensioni espressive e grande interplay, applicata a canzoni provenienti da repertori disparati come Nothing compares to you, Sittin on top of the world o Black hole sun è la scoperta che viene svelata ai tantissimi spettatori che hanno cercato di essere presenti al concerto nello spazio intimo e raccolto della Corte di Palazzo Deli: una “sala” purtroppo troppo piccola per l’occasione, ma di sicura suggestione e capace di dare respiro alla musica di formazioni dall’organico contenuto e naturalmente rivolte all’attenzione per i suoni.
Una parola infine per la scelta delle esibizioni in piano solo organizzate presso la Taverna del Rione Ammanniti. Francesco Grillo e Manuel Magrini, i due giovani interpreti, devono sicuramente ancora definire completamente il linguaggio per quanto riguarda il solo, che resta peraltro una prova tanto ardua per ogni pianista da costituire una sfida sempre in evoluzione nella sua intera vita artistica. Stili diversi, incroci con la musica classica, scrittura e abilità tecnica, in una sala difficile per organici ampi oppure dai forti volumi che ben si presta però alle dinamiche del piano solo: il festival ha comunque offerto loro uno spazio di rilievo, una ulteriore prova di come si possano sfruttare spazi e risorse in un momento economico come quello che stiamo conoscendo per mantenere vivo e vitale un festival.