Slideshow. Denis Longhi

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Slideshow. Denis Longhi.


Jazz Convention: Così, in breve puoi anzitutto parlarci del tuo lavoro artistico?


Denis Longhi: Pensare di avvicinare le parole “arte” e “lavoro” è sempre stato difficile, soprattutto per un filantropo della musica che ha investito incondizionatamente amore e passione, trascurando volentieri il “diabolico” aspetto remunerativo. Ovvio, da un piccolo ed innocente gioco tra amici, siamo giunti a dovere soddisfare le esigente e le aspettative di 5000 persone, naturale conseguenza di una professionalità necessariamente acquisita, quasi a imporre un vero modello “lavorativo”. Mi piace continuare però a pensare che sia un grande gioco, tanto gratificante, quanto pericoloso (ed ecco il rischio imprenditoriale!), continuare a perseguire quel semplice desiderio di “scoprire e regalare”, un alibi per condividere un grande sogno in una provincia, una finestra sul mondo che possa stimolare anche i più pigri e disillusi.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


DL: In famiglia non c’è mai stata molta musica. Solo un piccolo ricordo ricorrente, di viaggi verso il mare, dove il mangiacassette dell’automobile di papà, girava il solito nastro di Phil Collins, Concato e Dire Straits, nulla di formativo, ma forse sarebbe potuta andar peggio. È dalla famiglia però che incomincia inconsapevolmente la grande scoperta, una di quelle magie al confine tra il mistico ed il visionario. Mamma infatti nota il mio acquisto “consapevole” ancora 14enne di una raccolta di Charlie Parker, credo sia stato per lei commovente, di fronte alla più banale ed evidente esposizione adolescenziale alla Dance anni ’90 (con il temibile Deejay Time di Albertino), o al circuito Rock/Grunge/Metal, tipico di quel periodo, osservare una così eclettica attenzione musicale, soprattutto senza un background di ascolti ne in famiglia ne fra le amicizie. Fu così che in un viaggio in Friuli, quale omaggio della vacanza, mamma e papà mi portarono a casa un Compact Disc, ai loro occhi coerente con il mio nuovo percorso musicale intrapreso, apparentemente una fumosa compilation celebrativa del Jazz: Guru Jazzmatazz Vol.1. Tutto incominciò quel giorno, ascoltando Loungin e No Time to Play, scoprii che c’era qualcosa di così incredibile che ancora non conoscevo, l’Acid Jazz, ovvero l’Hip Hop, il Funk, il Jazz, il Soul e l’Elettronica, tutti condensati in un solo suono. Fortunatamente, non era la compilation Jazz che avrebbero voluto regalarmi!



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a organizzare un festival importante come Jazz Re:found?


DL: Beh, dovremmo rispondere in parecchi a questa domanda. Il più grande testimone di tale “missione” è l’inseparabile amico fraterno Andrea Varini. Con lui e gli altri compagni storici della Crew Noego, è stato così naturale osservare in giro per l’Europa un movimento, un fermento, per tanti e tristi motivi ancora inesplorato in Italia, da rendere spontanea la necessità di fare qualcosa. Gli innumerevoli viaggi per festival e concerti a Londra, Berlino, Amsterdam, Barcellona, Bristol, hanno illuminato così tanto i nostri occhi da volere almeno tentare di trasferire un pezzo di quella cultura, di quel modo di intendere e vivere la musica, ma soprattutto quel meraviglioso modo di stare insieme. Nel piccolo “microsistema” Noego, si è ripetuto quel modus vivendi, amicizie forti e complici, finalizzate a creare, sostenere e promuovere l’arte dell’intrattenimento. Siamo semplicemente cresciuti per tipologia di produzione e mole di numeri, ma Jazz:re:found, come dice Stefano Montefusco, l’altro grande testimone della storia Noego, non è nulla di più che una delle prime visionarie feste in “casetta” ora rivista in grande. Lo spirito, le regole, l’intensità, sono sempre stati le stesse…



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


DL: Credo abbia avuto sempre lo stesso significato. Sopravvalutato da alcuni, sottovalutato dai più. Le varie accezioni o interpretazioni della stessa parola Jazz (caccia, energia, ritmo, fare rumore, fare sesso) lasciano una tale libertà di interpretazione, che mi viene spesso da pensare sia davvero la “Libertà” il suo intrinseco significato. La libertà di esprimere un suono, convenzionale o non convenzionale, ma che abbia un significato, la comunicazione di un lamento, di una gioia, di uno stato emotivo, ma sempre e comunque il desiderio di esprimere qualcosa. È proprio Guru Jazzmatazz nelle sue liriche, ma soprattuto il buon Miles Davis che hanno forse interpretato al meglio la definizione, spesso vengono interpretati come aforismi, ma sentenze come: “Prima lascia che io lo suoni, poi più tardi te lo spiegherò” oppure “Non suonare quello che c’è. Suona quello che non c’è” o meglio ancora “Non esistono note sbagliate” credo possano rappresentare al meglio il concetto di una qualcosa che per pure convenzione ha un nome, ma rappresenta qualcosa di molto più complesso, uno stile, un modo di vivere.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


DL: Come disse il maestro Ranghino, dopo lunghe sedute nemmeno fossi in analisi, ho una visione della musica decisamente modale; forse si era lasciato scappare addirittura nel suo giudizio l’attribuzione di un colore per caratterizzare il mio gusto: Blu Modale. A dir la verità, per quanto visionaria, la trovo assolutamente coerente come visione. Il senso è che nel Jazz più che una forma armonica cerco davvero un colore, un gusto, non è la progressione degli accordi o la melodia, ma il tema stesso, il mantra che evoca intensità e profondità a suscitare in me emozione ed interesse. Amo inoltre pensare e ritenere sia Jazz tanto l’accordo di settimana sul Pianoforte del maestro Ranghino, quanto la magica voce di Christopher Ghidoni, lo scratch sui giradischi di Alessandro Possis quanto i piatti della batteria di Claudio Saveriano. Credo il senso del Jazz sia riuscire a fare stare insieme tutto questo, con gusto e grazia.



JC: Oltre Casa Noego quali sono i musicisti e gli artisti con cui ami collaborare?


DL: Sono ricorrenti le gite all’estero a cercare nuovi amici e contatti, per coinvolgere musicisti e cantanti. Oltre alla numerosa schiera di possibili collaborazioni sul fronte di West London (Vanessa Freeman, Heidi Voegel, Sharlene Hector), di recente sono stati intensificati i rapporti di amicizia e collaborazione con Alessio Manna (già bassista di Casino Royale) e con The Sweet Life Society (Torino), autentica sorpresa a J:R:F premiata come migliore band/producer. L’idea è quella di tentare il maggior numero di collaborazioni possibili, sconfinando su territori musicali diversi, sfruttando le sane magie del paradosso! Di base comunque il rapporto di collborazione si basa su un presupposto di amicizia e condivisione, per questo con tutti gli artisti viene sempre intrapreso un percorso di fidelizzazione, che va dall’essere coccolati per il Monferrato a suon di percorsi enogastronomici alla partecipazione reale del Noego Lifestyle vivendo per qualche giorno la realtà cittadina, gli amici, le dinamiche e i protagonisti del nostro circuito “famigliare”. Come dire, per fare qualcosa insieme a noi, devi fare parte del nostro mondo, o almeno conoscerlo!