Young Jazz 2009

Foto: Fabio Ciminiera





Young Jazz 2009

Foligno – 29.5/2.6.2009

Come ogni anno Young Jazz, il festival organizzato a Foligno dall’Associazione In Blue con la direzione artistica di Giovanni Guidi, pone domande e interrogativi sulle nuove direzioni del jazz e su quelle che sono le possibilità sonore ed espressive della musica di improvvisazione. Quest’anno gli estremi sono stati rappresentati dal sestetto di Christian Wallumrød e dalla presenza in cartellone dei Matmos, dj set proveniente da San Francisco ai quali si sono affiancati, come ospiti, Gianluca Petrella e Michele Rabbia. All’interno di quest’arco, come di consueto si è svolta tutta la serie di declinazioni possibili dei significati delle parole jazz e giovane. Giovani musicisti, suoni freschi, sperimentazioni, incontri variopinti e ensemble larghi.


E, in effetti le interpretazioni sono state varie e hanno seguito direzioni anche estremamente differenti tra loro. Un primo filone è stato quello rappresentato da Mauro Ottolini e le sue diverse manifestazioni. Il trombonista, presente in quattro giorni su cinque, ha portato tre delle sue formazioni, come Sousaphonix, il DOC Trio, con Daniele D’Agaro e Titti Castrini, e Lato Latino, oltre ad essere presente nella Special Edition di Enrico Rava. Tradizioni, sintesi e inventiva: le formazioni di Ottolini hanno dato estremo risalto sia alla sua guida eclettica che alle potenzialità dei singoli solisti. In particolare, il materiale scelto per Sousaphonix e per il DOC Trio porta sul palco la visione eclettica che si ritrova anche nei dischi del trombonista: la curiosità e le combinazioni dei suoni, la ricerca di accostamenti personali sono diventati una delle cifre caratteristiche dello stile di Ottolini e danno ai suoi progetti un tratto sempre originale.


Altra linea è stata quella rivolta alla vicinanza con la musica contemporanea. Christian Wallumrød, ma anche l’intenso concerto del duo composto da Fulvio Sigurtà e Federico Casagrande e alcune derive del set dell’irlandese Morla Duo, hanno giocato su una dimensione sonora contenuta e rarefatta in alcuni casi. Da notare come alla stessa dimensione sonora abbiano guardato tre formazioni con un rapporto totalmente differente con l’improvvisazione e le dinamiche normalmente legate al jazz: quasi completamente prestabilito il percorso del sestetto norvegese, rivolto al free il duo irlandese, i due italiani in una dimensione intermedia dove temi, atmosfere e interazioni si sono avvantaggiate di un meccanismo aperto e capace di integrare obiettivi stabiliti a priori e voglia di sfruttare la libertà dell’esibizione dal vivo.


Forte componente europea, grande spazio all’improvvisazione e alla ricerca sonora, una visione del jazz meno radicata alle tradizioni afroamericane sono stati i denominatori comuni ai due concerti in programma nella seconda serata, durante la quale si sono esibiti i giovanissimi finlandesi del Sun Trio e Downtown, trio guidato da Roberto Cecchetto con Giovanni Maier e Michele Rabbia. Risposte diverse per età, latitudine e sonorità a questioni simili: rapporto tra improvvisazione e scrittura, rapporto tra libertà, interplay e direzioni prestabilite. Entrambi i trii hanno potuto contare su batteristi fantasiosi e melodici, in grado di accompagnare i solisti con soluzioni sonore mai scontate: se gli appassionati italiani già conoscono la vena poliedrica di Michele Rabbia, anche Olavi Louhivuori ha saputo diversificare l’accompagnamento usando le mani, le diverse bacchette e i tamburi per creare uno spazio sonoro dalle tante possibili implicazioni. Differente invece l’approccio dei due bassisti: più libero Giovanni Maier, intento a sfruttare ed espandere le libertà ritmiche offerte dal lavoro di Rabbia, più metronomico Antti Lotjonen, vero e proprio fondamento strutturale del suono del trio. I due solisti hanno saputo finalizzare il lavoro svolto dalle ritmiche, sia nella dimensione sonora, aperta alla manipolazione del suono, sia nella direzione armonica, lievemente sottolineata da entrambi, sia, soprattutto, atrtraverso la capacità di mettere in luce, con i temi e le improvvisazioni, una visione melodica e interpretativa di grandissimo spessore.


Il festival è stato aperto dal concerto del Cristian Calcagnile Chant Trio: libertà e sperimentazione a confronto con la dimensione canonica del trio pianoforte-contrabbasso-batteria. Il trio si dirige soprattutto verso gli aspetti ritmici e sonori, giocando sulle possibilità acustiche degli strumenti: si intrecciano ritmi e scansioni di diversa provenienza per approdare a una sintesi ricca di stimoli, aperta ad uno spettro di soluzioni differenti, che partono dal jazz per arrivare alle avanguardie e al rock progressive.


Se nelle passate edizioni, il festival non è mai stato aiutato dalle condizioni meteorologiche, quest’anno in pratica ha piovuto per quasi tutta la durata del festival: non ne sono stati penalizzati i concerti, spostati all’interno dell’Audtorium San Domenico, quelli serali, mentre al pomeriggio i concerti si sono tenuti nella Taverna del Rione Mora, già designata come sede delle jam session notturne. Questa premessa per dire come il festival sperimenta anche per quello che riguarda i luoghi dove svolgere i concerti e avrebbe sperimentato ancor più se le condizioni fossero state favorevoli. L’edizione 2009 aveva scelto nuovi luoghi come la già menzionata Taverna del Rione Mora, la Libreria Carnevali con la sua festa di Primavera e, soprattutto, il Parco Fluviale Hoffman per l’esibizione, realizzata in collaborazione con Dancity, dei Matmos.


Questi ultimi, nonostante lo spostamento al coperto, hanno messo in luce in modo estremamente netto la loro filosofia espressiva. La dimensione interna ha reso l’esibizione molto più simile a un vero e proprio concerto – con gli spettatori in pratica seduti ad ascoltare e non liberi di scatenarsi. Certo una dimensione lontana dal jazz, inteso in senso classico, che però del jazz ha sfruttato sonorità e inventiva, la voglia di mettersi in discussione. Certo i puristi avranno notato la distanza dallo swing e da strutture ritmiche e tematiche proprie del jazz, ma l’apertura e la ricerca sonora del gruppo hanno reso senz’altro interessante l’esperimento di inserire il concerto all’interno della rassegna.


I concerti pomeridiani e le jam session hanno portato tra le mura della Taverna del Rione Mora, gruppi più legati alle tradizioni del jazz e alle sue sonorità più canoniche. Formazioni giovani alle prese con repertori originali e aperti a soluzioni personali. Tra tutti, emerge la grande coesione e la lucida forza espressiva del quartetto di Daniele Tittarelli, ma anche le altre formazioni, il Giorgio Ferrara Quartet (unico a beneficiare del sole e dell’ambientazione originaria dell’Ostello Pierantoni) e il Raffaele Casarano Locomotive Quartet hanno messo in luce soluzioni valide e una buona proprietà di linguaggio.


A conclusione della rassegna, la festa musicale offerta dall’Enrico Rava Special Edition. L’idea della formazione era nata alcuni fa con la denominazione Under 21, trasformata poi, per superati limiti d’età, in New Generation. Dall’idea di partenza che concluse la prima edizione del festival folignate, sono rimasti il pianista Giovanni Guidi e l’idea di fondo di confrontare il repertorio e lo stile di uno dei riferimenti del jazz italiano con i musicisti delle generazioni più giovani. L’ensemble ampio – un settetto. in pratica – e lo spettro più ampio delle età dei musicisti rendono il concerto sempre interessante: assolo di grande intensità e partecipazione evidenziano i diversi stili dei musicisti nell’ambito della coerenza stilistica e dell’atmosfera generale dei brani di Rava. Il trombettista si rivela attento alle nuove leve e mette in luce, ancora una volta, come da sempre sia stato un abile scopritore (e “suscitatore”) di talenti.