Slideshow. Gigi Cifarelli

Foto: A. Gottardelli










Slideshow. Gigi Cifarelli.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Gigi Cifarelli?


Gigi Cifarelli: Beh mi viene da dirti che questo è Gigi! Una persona semplice qualunque, un amico di tutti, un entusiasta della Vita, un eterno bambino che guardandosi allo specchio si accorge che gli anni sono volati e che il bambino è invecchiato, ma non è ancora adulto e tante tante cose di questo tipo. È l’unica cosa che mi viene in mente a bruciapelo come tu mi dici.



JC: E – quasi a bruciapelo – puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?


GC: Il mio ultimo cd ha già quattro anni dalla realizzazione e tre dall’uscita: è stato un cd dal vivo. Non ho nuovi lavori discografici in ballo, perché registrare cd di livello in Italia è praticamente come vendere sabbia nel deserto: la nostra realtà artistico-musicale equivale al nulla, anzi forse meno che nulla. Non serve a niente fare belle cose o grandi cose, non interessa a nessuno e soprattutto, ti fa andare in depressione il farlo: in assenza totale di stimoli e di riconoscimenti, il mio unico vero motivo di stimolo e di sopravvivenza è costituito dalla gente che mi segue e mi vuol bene. Senza di loro forse non sarei nemmeno andato avanti nel tempo, artisticamente parlando. Non ho nuovi progetti discografici perché non ci sono nemmeno progetti a livello di concerti, non si suona più in Italia e come in altri ambiti “chiusi” in certi contesti suonano solo gli appartenenti a determinate cosche e son sempre gli stessi.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


GC: È un bellissimo ricordo: avevo forse tre-quattro anni, mio padre comandava la stazione dei carabinieri di Gropello Cairoli, in provincia di Pavia, e mia madre mi raccontava che all’epoca ero capace di passare ore ed ore sotto la finestra di una vicina nel cortile della caserma ad ascoltare la musica che usciva dal suo grammofono, imparando a memoria tutte le canzoni per poi ricantarle in continuazione simpaticamente con tutte le storpiature che un bimbo può lessicalmente fare. E infatti arrivarono anche a farmi fare uno show nella sala del teatro locale dove riproponevo un po’ di hit del periodo…



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista?


GC: La consapevolezza a un certo punto della mia vita di non poter fare altro: sinceramente il mio obiettivo a un certo punto – avevo ventitré anni ed ero già sposato – era di fare qualcosa che comunque mi legasse alla musica. Avrei fatto volentierissimo, come feci tra l’altro per sette-otto anni l’insegnante di educazione musicale alle scuole medie, oppure avrei fatto il rappresentante di strumenti musicali o il rivenditore: insomma qualunque cosa pur di essere vicino alla musica. Questo sull’orlo di un esaurimento nervoso dopo aver fatto prima l’istituto per geometri che odiavo e poi aver lavorato per sei anni in un centro di calcolo come operatore/programmatore: cose di cui comunque son felicissimo, senza le quali non avrei mai dato un determinato valore alla gioia e alla fortuna che tuttora credo di avere nel vivere come vivo.



JC: E perché proprio la chitarra?


GC: Sai, la mia prima grande passione fu il canto e la chitarra fu allora il mezzo per accompagnarmi. Ho un dolcissimo ricordo delle cose di cui mia madre è stata grande e meravigliosa custode: la mia letterina a Babbo Natale del 1962 – che colpevolmente e sciaguratamente mi son persa e cosa che non mi perdonerò mai – in cui scrivevo esattamente questo: “Caro Babbo Natale se quest’anno sono stato sufficientemente bravo, mi piacerebbe che tu mi portassi una chitarra e una pistola col fodero…”: Insomma la chitarra era il mio strumento preferito e dirti il perché non lo so, infatti non c’è stato un guitar-hero per cui ho tifato. Prima ho preso la chitarra in mano perché l’amavo e poi ho avuto i miei punti di riferimento. C’è anche da aggiungere che con tutto l’amore che nutro ancor oggi per i miei genitori che non ho più da 11 anni esatti, nessuno di loro e nemmeno altri familiari mi hanno mai stimolato e sostenuto. AL contrario, vedevano la mia come una passione malsana da cui tenermi lontano, quindi vessazioni di ogni tipo e sopratutto guai a farmi trovare con la chitarra in mano a casa: equivaleva a ricevere sanzioni punitive degenerate anche con la distruzione fisica del mio strumento, fatto che, considerando la nostra realtà economica di sottoproletariato, significò per me il fatto di rimettere insieme le briciole, rincollandole di un qualcosa che poi io potevo solo chiamare una chitarra. Ma anche di questo ho ricordi bellissimi legati alla conquista alla passione e ai dolci sentimenti che queste cose mi riportano alla mente.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola musica?


GC: Sarebbe drammatico se non fosse così, la musica è e sarà sempre una cosa eterna per chi la ama per chi la suona con amore per chi la ascolta con passione per chi ha il desiderio di impararla di viverla e di crescere emotivamente e culturalmente con essa. È un linguaggio universale non potrà mai non avere un significato a mio modesto parere.



JC: Ma cos’è per te la musica?


GC: Per me è stato sogno, impegno, abnegazione, amore profondo, ricerca ossessiva, curiosità, stimolo, mezzo fondamentale di espressione e comunicazione: un campionato eterno nel quale non ho mai vinto una partita, ma nonostante questo, col desiderio di giocarne sempre una nuova subito pur sapendo di perdere ancora, dolce ragione di vita e di gioia come di sofferenza, ma soprattutto un grande dono della Provvidenza… credo sia questo per me.



JC: Sai suonare di tutto: jazz, pop, rock, funk, blues, fusion; ma come ti consideri: un jazzista, un rockmen o altro?


GC: Dici? Io invece credo di non saper suonare davvero nulla e te lo dico sorridendo, ma cosciente di ciò che dico e senza eccessi di modestia, siamo troppo piccoli per una cosa così grande. Ho smesso da tempo di farmi martirizzare da questa sofferenza e ho accettato di buon grado il fatto che neanche stando 24 ore al giorno a studiare vivendo milioni di volte potrei riuscire a suonare come penso io. Da allora ho smesso di vivere maniacalmente lo strumento e la musica da molti molti anni, mia moglie potrebbe dirti di non avermi mai visto con la chitarra in mano a casa… Quindi sai come mi considero: uno che più suona, scrive e canta e più si accorge di non saperlo fare. Ma sopratutto e di certo non un jazzista – non so cosa significhi questa parola – e anzi direi che mi infastidisce per gran parte di chi si in questa si identifica: è un mondo in cui non mi vedo e soprattutto dove ho sempre trovato grandi chiusure, manierismi e atteggiamenti snob, dove prendere in giro la gente è molto facile e dove pullulano personaggi che son riusciti a far credere di essere, ma non sono, e dove trovi mediocrità alla ribalta e grandi qualità ai margini, come in tutti gli ambiti dove l’emozione è direttamente proporzionale al grado di evoluzione… ma questo discorso ci porterebbe in un ginepraio dove troppe volte mi sono addentrato e con risvolti da labirinto.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ al jazz?


GC: Innanzitutto non essendo una cultura che ci appartiene e non essendo una forma espressiva che ci ha attraversato emotivamente nella nostra vita se non da un certo punto in poi grazie alla passione stessa per il genere, la mia idea è che nessuno qui può fregiarsi di certe cose, per questo motivo da anni la mia forma espressiva sia esecutivamente che compositivamente è sempre più legata alla nostra cultura e alla musica più o meno pop che mi è appartenuta – come ad esempio Beatles e simili. E infatti mi fan ridere quelli che si prendono troppo sul serio vestendosi da jazzisti o assumendo atteggiamenti di un certo tipo esprimendosi con inglesismi tipo “man”, “questo è jazz” e via dicendo. Siamo musicalmente a livello di terzo mondo in Italia, pur avendo musicisti di gran spessore e dei talenti straordinari, come dei grandi virtuosi del proprio strumento. Il sentimento che associo a questa parola, che ripeto non amo perché trovo sia una di quelle parole che dicono tutto e niente, non dando una vera e oggettiva idea di ciò che significano, sia quello della libertà, ma quella libertà che si può ottenere solo con la grande conoscenza, il grande impegno e la grande cultura, cose che però portano poi inevitabilmente alla sofferenza. Per quanto riguarda i concetti… credo non esistano, i concetti seguono all’operato dei talenti creativi e alle loro manifestazioni pratiche, grazie a chi cerca di dare spiegazioni razionali e logiche al loro estro e alla loro creatività. Dico spesso ai miei allievi: pensate di poter scrivere una poesia solo perché conoscete perfettamente la grammatica e la sintassi? Queste cose si possono studiare: la poesia devi averla e devi trovare il modo di alimentarla e quindi di accrescerla, ma spesso questa cosa succede nostro malgrado, per fortuna, ma al contrario può non succedere pur facendo di tutto e di più per alimentarla…



JC: Tra i molti dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


GC: Beh i dischi credo siano come i figli, non si può essere più affezionati ad uno o all’altro, perché rappresentano comunque una parte di noi stessi e in ognuno di loro c’è qualcosa della nostra vita e del nostro profondo. Mi piace molto invece sentire da chi si è affezionato ai miei brani che qualcuno si è innamorato, sposato, ha viaggiato e mi ha portato con sé per il mondo oppure ha vissuto momenti bellissimi della propria vita come una nascita o l’uscita da una malattia o da un brutto periodo col colore e l’atmosfera della mia musica, queste sono le cose a cui sono particolarmente affezionato.



JC: E tra i dischi (di altri) che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


GC: Uno solo o diversi? Uno solo mi metterebbe in grave difficoltà perché dovrei tirare a sorte fra i molti che amo e ho amato. Dovendone sceglierne solo uno, di certo opterei per un disco rappresentativo a livello emotivo della mia vita, ancor più che a livello musicale: la musica colora le nostre giornate e i nostri momenti come le immagini e gli odori, stimola e pizzica le corde delle nostre emozioni quindi anche la musica più stupida e banale può farci vibrare profondamente fino a commuoverci perché associata a momenti estremamente forti e significativi della nostra esistenza… quindi un disco dei Beatles ad esempio mi farebbe rivivere sull’isola deserta sensazioni meravigliose legate alla mia infanzia alla nostra crescita economico-culturale e al mio vissuto familiare splendido di quegli anni per me meravigliosi che furono gli anni Sessanta e mi fermo perché andrei veramente a scrivere papiri su una domanda così!



JC: Ci sono brani che fischietti in casa o canti sotto la doccia?


GC: Altroché! io canto e fischietto da sempre: addirittura pensa che canto mentalmente anche durante gli allenamenti e anche in gara e canto di tutto da O sole mio a Lush Life o da Malafemmena a Sophisticated Lady. E, comunque, sempre e senza soluzione di continuità, nella mia testa girano sempre melodie e musica.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella chitarra nella musica, nella cultura, nella vita?


GC: Nella chitarra il mio primo grande amore e stimolo fu Jimi Hendrix, che tuttora rimane un artista che reputo uno dei più grandi geni dello strumento, soprattutto perché nonostante la sua espressione musicale sia stata assolutamente pop e priva di aspetti tecnici e culturali, basata su ciò che potrebbe fare chiunque senza il minimo studio musicale ma solo con l’applicazione del proprio istinto e della propria pratica, riesce tuttora a farmi rimanere inebetito davanti a tanta bellezza a tanta creatività e a tanta innovazione, soprattutto considerando che rimase in vita solo fino a 27 anni, ti confido anche che c’è una cosa molto particolare nella mia vita anche se triste, che mi lega a lui, infatti il 18 settembre è la data della scomparsa di Hendrix e anche la data in cui vidi per l’ultima volta in vita mio padre, come il 27 novembre, data di nascita di Jimi e la data in cui vidi per l’ultima volta in vita mia madre.



JC: E per tornare ai maestri?


GC: Nonostante io poi abbia fatto studi ufficiali come il Conservatorio e abbia anche dedicato un lungo periodo della mia vita allo studio profondo del linguaggio e dello strumento, mi hanno sempre affascinato gli artisti che pur sbalordendo i cultori o comunque meritando in pieno il loro rispetto e apprezzamento riescono ad arrivare anche al cuore di gran parte della gente con la loro musica, vedi per fare qualche esempio Stevie Wonder, i Beatles, Ray Charles, Duke Ellington e così via. Parlando di compositori oltre che di interpreti e poi i grandi interpreti come Nat King Cole, Frank Sinatra, Chet Baker, George Benson, Aretha Franklin, ma non basterebbe un anno per elencarli tutti e ne dimenticherei di certo. Forse si deduce che amo molto i cantanti ed è vero, perché reputo la voce lo strumento più diretto in assoluto. Per me i maestri son stati davvero tanti e tutti sui dischi, l’altro mio grande amore è stato indubbiamente Wes Montgomery grande punto di riferimento del mio linguaggio, come Charlie Parker, John Coltrane e Bill Evans.



JC: E nella cultura?


GC: I miei maestri nella cultura trovo che siano stati ovunque, a scuola da studente e poi da insegnante, la gente della strada, la strada stessa, il cinema come il teatro, nei quali ho adorato su tutti Totò, Eduardo De Filippo, Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Vittorio De Sica, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi e tutti quegli attori di quell’epoca gloriosa e fantastica. Non posso dimenticare di citare con affetto l’unico maestro avuto Filippo Daccò, che quando già suonavo e anche in grandi contesti, ma non sapevo davvero nulla mi iniziò allo studio dell’armonia e della teoria musicale volendomi davvero bene come se fossi un figlio.



JC: Nella vita?


GC: Nella vita assolutamente i miei genitori, Francesco ed Emilia che con il loro esempio e la loro dignità, unite a una grande capacità di amare associata a una severa coerenza, sono sempre stati presentissimi e sono tuttora il mio punto di riferimento principale in qualsiasi comportamento e decisione. Poi naturalmente qualunque persona o esperienza noi si incontri o si viva può essere maestra di vita: basta saper aver voglia di ascoltare e prendere lezione da chiunque.



JC: Qual è stato per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


GC: Ce ne sono stati grazie a Dio tanti e difficilissimo sceglierne uno, ma credo che il momento più bello sia stato quando ho iniziato a rendermi conto che potevo iniziare a vivere di ciò che amavo e che quindi non avevo bisogno di chissà quali guadagni, perché ogni giorno mi sentivo ricco di ciò che facevo e di ciò che iniziavo a rappresentare per molti. Poi materialmente parlando potrei raccontare di quando Brian Auger mi volle con sé. Lui uno dei miei idoli adolescenziali, oppure quando nella mia segreteria telefonica trovai il messaggio di Massimiliano Pani che mi convocava per il mio primo lavoro con Mina sul disco Uiallalah del 1989: lei, la Dea italiana della canzone, la mia preferita nell’infanzia e nell’adolescenza. Oppure quando fui nominato miglior chitarrista italiano la prima volta o quando Alberto Radius mi telefonò per produrre il mio primo disco Coca e Rhum o quando squillò il telefono e in francese mi dissero: “Monsieur Gigì Cifarelì? vorreste essere presente al festival “La nuit de la Guitare” con Mike Stern, John Scofield, Phlippe Caterine, Bireli Lagrene, Toots Thielemans, Robben Ford che si terrà a Luglio in Corsica”; stavo già svenendo quando aggiunsero: “France 2 farà un servizio di un’ora su di lei”. Insomma potremmo sbizzarrirci a raccontare momenti e sensazioni splendide: grazie a Dio ce ne sono davvero state tante e spero possano essercene ancora, ma soprattutto che io possa sempre vivere sereno e in grande armonia con Adriana mia Moglie e con chi mi vuol bene, come con il mondo che mi circonda.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


GC: Quelli che amano ciò che fanno e si sta facendo insieme, che lo fanno non per quanto guadagneranno, ma per ciò che stanno vivendo, che non guardano mai l’orologio quando si suona, che hanno sempre il sorriso stampato in faccia e la stessa voglia di giocare suonare e girare solo perché amano farlo, che non si prendono troppo sul serio, che trovano e apprezzano negli altri musicisti i pregi prima di criticarne i difetti – come nelle persone – e che non si etichettano, quelli che hanno la consapevolezza di avere una grande fortuna nel sapere di essere remunerati per fare ciò che molti altri pagherebbero per fare.



JC: Come vedi la situazione della musica oggi in Italia?


GC: Purtroppo la vedo malissimo anzi, drammaticamente triste, gli spazi per suonare, che una quindicina d’anni fa erano tantissimi e Milano ad esempio, come Roma o Palermo pullulavano di posti dove si faceva musica dal vivo, infatti ricordo che negli anni Novanta riuscivo a suonare anche 26/28 volte in un mese nel raggio di 100/150 km, ora non hanno più nulla da proporre in tal senso e credo che gli appassionati e i ragazzi che una volta trovavano modelli e stimoli nel vedere e ascoltare grandi interpreti ora non sanno più dove andare e sopratutto dove loro stessi fare tirocinio ed esperienza, ormai a Milano oltre a un paio di club dove però si fa musica da “carbonari” perché si è davvero rimasti delle mosche bianche, cosa c’è? il Blue Note… ma dai! posti chiusi a quattro nomi, i soliti, oppure a chi più che di musica sa curare le public relations oppure stranieri, stranieri e ancora stranieri e siccome l’italiano ama essere colonizzato, non spende dieci euro per vedere un grande nostrano, ma magari ne spende cento per uno meno forte, ma con il nome estero altisonante. Questo è sinonimo di non-cultura e anche la tragica conseguenza di produzioni come Amici o X Factor: se la Tv non dà lustro all’arte o alla cultura autentica, da dove si prendono i “modelli”?


GC:


JC: Vuoi fare qualche nome in proposito?


GC: Non voglio fare nomi, ma basta prendersi i depliants di qualche festival importante italiano e leggere… sono sempre quelli. Ma sai quanta gente di grande livello e valore c’è e che deve fare altri lavori per sopravvivere, ma qui, come in altri ambiti, si può affermare: questa è l’Italia. Sei un grande attore? chi se ne frega! Sei mediocre ma sei figlio di quel vecchio grande attore: ok! Basta un buon lavoro di marketing e col tuo nome – già forte – facciamo credere a tutti che sei almeno come tuo padre. E quando sento chi dice: la gente non è stupida come sembra perché sa riconoscere il talento e non la prendi in giro facilmente, mi viene il voltastomaco dalla rabbia. Siamo circondati di mediocrità e viviamo nell’era in cui conta assolutamente e solo ciò che si riesce a far credere di essere e non ciò che si è: prova a mettere su una bancarella dei capi firmati, ma di scarso valore mettendoci un prezzo alto e di fianco la stessa roba non firmata, ma di qualità splendida a bassissimo prezzo. È inutile che io ti dica quale sarà la merce più venduta. Questa a mio parere è la situazione della musica in Italia, come di tante altre forme artistiche e culturali.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


GC: Come si fa a progettare qualcosa in questa realtà appena descritta? Io da tempo ho purtroppo perso stimoli, motivazioni e obiettivi e solo il gran bene e la dolce stima di tanta gente che mi segue e ama il mio modo di far musica e di pormi mi tiene in vita, musicalmente parlando. Ti assicuro che spesso riesco a passare anche un mese senza toccare lo strumento e da anni ho smesso di studiare e di progettare, è triste dirlo, ma come diceva mia nonna “neanche gli asini lavorano per niente: senza una carezza o uno zuccherino arriverà il giorno che appena gli giri dietro ti ammollanno un calcione.”



JC: Però qualche idea nel cassetto ce l’avrai?


GC: In testa avrei tante cose da fare da proporre e spero da dire, ma è come se uno che corre in bici ad alto livello oltre ad allenarsi a fare sacrifici curando alimentazione, orari e tutto il resto dovesse pensare a farsi i massaggi, a controllarsi la bici da solo, a lavarsi il materiale tecnico, a proporsi alle squadre e ad iscriversi alle corse e chi più ne ha ne metta: da noi è così, devi suonare, scrivere, cantare, proporti, promuoverti, cercarti dove suonare. Il risultato quindi, come dicevo prima, vince chi sa curare di più queste cose, non chi ha valori assoluti: come se un atleta che ha vinto una gara, aprendo il giornale del giorno dopo, vedesse il nome di un altro al posto suo. Sai che mi è successo anche questo? e ne ho la prova tangibile che ho accuratamente conservata per avvalorare questa mia tesi che peraltro mi sembrerebbe comunque facilissima da vedere e sostenere, che invece poca gente considera.



JC: Hai qualche esempio concreto in merito?


GC: In una tale provincia – che non nomino – lo scorso anno vinsi da primo assoluto dominando e arrivando solitario al traguardo. Nel gruppo dietro di me giunse un atleta di quella provincia – tale Scascitelli – che arrivando quinto o sesto, non ricordo, vinse la gara della sua categoria, tra l’altro più giovane. Invece di scrivere che il “vecchio Cifa” aveva staccato i più giovani e vinto alla grande la corsa, mettendo – mi sembra giustamente – la mia foto sulla pagina sportiva del giornale con il mio nome nel titolo, cosa apparve? “Giovanni Scascitelli vince il Gran Premio X o Y a 43 di media… Certo, sull’ordine d’arrivo scritto a caratteri lillipuziani nell’angolino in basso c’era il mio nome, ma nessuno faceva cenno al vincitore assoluto e quindi reale, mettendo il mio nome solo sulla categoria specifica. Quindi dico: se si riesce a far apparire una cosa e a manipolarla a proprio piacimento pur trattandosi di una cosa così oggettiva, vi rendete conto sulle cose in cui gli appassionati danno tantissimo credito ai mass media cosa può avvenire? Ti cascano le braccia e ti passa la voglia di progettare e di fare perché sai di predicare nel deserto.



JC: Questo esempio ci permette di collegarci a un tuo hobby che i jazzofili non conoscono, perché tu sei anche un provetto ciclista per una società di Borgo d’Ale in provincia di Vercelli: ci parli in breve anche di quest’esperienza?


GC: La parola provetto ciclista è impegnativa: sono un buon amatore che va in bici come quando suona, ovvero con passione, intensità, determinazione e carattere, gareggio da due anni per il “Pedale Borgodalese” con ottimi risultati, ma lo vivo come un gioco e un modo di impegnarmi a fondo, cosa che purtroppo per i motivi di prima ho molto perso nella musica. Sarà un mio limite, ma per me l’obiettivo è sempre un grande stimolo, così come il riconoscimento, non quello banale e fittizio, ma quello autentico e per me vedere riconoscere artisti che non lo meritano – a mio modesto parere – perché non valgono, vedere guadagnare popolarità e riconoscimenti da dei mediocri e non vedere quasi mai il contrario mette molta tristezza e toglie energia e grinta.



JC: Ma il ciclismo non è l’unica tua passione sportiva, vero?


GC: Infatti da diversi anni sono spesso ospite della trasmissione Novastadio diretta dal bravissimo Gianni Visnadi dove faccio l’opinionista dal cuore rossonero e dove ho potuto anche lì vivere delle bellissime emozioni relative alla passione che quasi tutti noi da bimbi e anche da adulti abbiamo nell’immaginario, ovvero il calcio di cui sono da sempre un grande amante e cultore con una grande memoria storica. Per me fare, e bene, diverse cose è anche un modo di stare in ambiti completamente differenti e di divertirmi a osservare come in ogni mondo ci siano cose identiche e come ogni mondo spesso sia frequentato da chi sembra non veda altro e non viva altro che per il suo ambito e ciò mi aiuta moltissimo ad aprire la testa e ad essere curioso e desideroso sempre di imparare cose nuove senza limitarmi al mio orticello. Purtroppo la bici nella sua bellezza, porta sempre con sé l’ ombra della caduta e dell’incidente che possono sempre essere dietro l’angolo e che io ho più volte dolorosamente vissuto sulla mia pelle e che certo non bene si sposano con la salvaguardia dei miei arti, ma la passione è sempre più forte e irrazionale della ragione.