Slideshow. Gianni Dosio.

Foto: da internet










Slideshow. Gianni Dosio.


Jazz Convention: Maestro Gianni Dosio, se la sente di fare un bilancio della sua carriera artistica?


Gianni Dosio: Finora non mi ero posto il problema, ma considerando che il tempo passa forse devo dire che è giunto il momento di trarre delle conclusioni. La mia avventura musicale comincia negli anni Cinquanta, prima, tra il 1940 e il 1949, mi dedico allo studio, cominciando alla fisarmonica con il Maestro Comici, poi con il Maestro Figliolini. Ma il mio sogno era il sassofono, ho quindi cambiato insegnante passando a studiare con il Maestro Nino Borra grande sassofonista dell’epoca, dimenticato ormai da tutti.



JC: Ma non c’era solo il sassofono…


GD: Un giorno, dunque, parlando con un amico musicista, Gino Balbo, discutendo delle nostre esperienze mi dice ‘ma guarda che per suonare il sassofono, occorre studiare il clarinetto, perché non ti iscrivi con me al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano? Da quel momento fino alla fine del 1949 ho studiato a Milano. Come dicevo, il mio primo ingaggio è nel 1950 nella grande Big Band di Gaetano Gimelli dove ho avuto l’occasione di suonare con grandi musicisti già affermati come Gianni Basso, Oscar Valdambrini, Carlo Sola, e molti altri. In quell’epoca l’orchestra Gimelli vantava un repertorio di 550 standard americani, si può immaginare che esperienza importante e stata per me, l’orchestra si è esibita anche al Festival della Canzone Internazionale a Venezia, accompagnando personaggi famosi come Teddy Reno o Lelio Luttazzi.



JC: Poi, se non erro, c’è l’esperienza con Zuccheri?


GD: Nel 1952 il Maestro Luciano Zuccheri mi propose di entrare nella sua Big Band, l’offerta era allettante accettai. e rimasi con lui fino al 1958. Nel 1959 avevo trovato parecchi ingaggi, ma nessuno di questi mi dava la possibilità di suonare il genere che piaceva a me, cioè il Jazz. Alla fine trasferitomi a Torino ho trovato un gruppo di ragazzi con le mie stesse idee e da quel momento abbiamo lavorato a Torino ,in seguito tramite impresario abbiamo trovato ingaggi, in Olanda, in Germania, in Svizzera, all’epoca le orchestre italiane erano molto richieste all’estero.



JC: Come nasce invece, sempre in quegli anni, il vostro celebre Quintetto di Torino?


GD: Al ritorno in città nel famoso bar di via Po frequentato da tutti i musicisti Torinesi in cerca di lavoro ma anche per scambiare quattro chiacchiere, incontro Dino Piana e Gianni Coscia, avevamo una offerta di lavoro per un locale torinese, diretto dal famoso Ernesto Bonino. Di buon grado accettammo era una formazione di tutto rispetto dove potevamo fare tutto quello che volevamo. E da questa formazione che nascerà il Quintetto di Torino che nel 1960 parteciperà alla Coppa del Jazz indetta dalla RAI, arrivando secondo assoluto. Da qui al 1974 la mia attività procede molto intensa, trasferitomi a Milano,sono stato ingaggiato dell’orchestra di Cesare Marchini, e nel frattempo ho collaborato molto con un altro vercellese famoso, Giulio Libano, all’incisione di dischi per numerosi artisti.



JC: Quali sono i motivi che l’hanno spinta a diventare un musicista jazz?


GD: Quando ho iniziato la mia avventura musicale nel 1950, sono stato ingaggiato nella grande Big Band del Maestro Gaetano Gimelli, mi sono trovato a lavorare accanto a musicisti già affermati, la Big Band era una delle più apprezzate del momento, avevo 18 anni, e da questa orchestra ho avuto una grande esperienza per il mio lavoro. Quando sono arrivato a Genova per la prova generale, mi hanno messo sul leggio una cartella con 550 standard americani dell’epoca, è stata una bella fatica, ma mi è servita come trampolino per arrivare alla musica Jazz.



JC: è lì che è scattata la molla per il jazz?


GD: Per quanto mi riguarda ha sempre avuto un’attrazione incredibile su di me, passavo ore e ore ad ascoltare i grandi maestri dell’epoca, Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Stan Getz, Lester Young. Oggi disponiamo di qualsiasi metodo o spartito, di tutto e di più, ma in quegli anni ogni musicista si doveva arrangiare trascrivendo melodie e armonie; in questo modo però si sviluppavano la lettura, l’orecchio e la creatività: ciò per un Jazzista era manna dal cielo e dopo tutto questo, la mia scelta, non poteva che essere il Jazz, l’unica musica per me che ha ravvivato tutto il Novecento.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


GD: Da sempre ho sognato e sperato che la musica jazz potesse diventare una musica alla portata di tutti, ma mi sbagliavo. Tra gli anni ‘50 e ‘60 la gente ballava e ascoltava le musiche di Duke Ellington, Count Basie, Glenn Miller, Benny Goodman, queste grandi orchestre, avevano creato un ponte con l’ascoltatore, la gente si divertiva ascoltando buona musica. Secondo il mio parere non si vuole far ascoltare questa musica, io ho lavorato in molti paesi come la Germania, l’Olanda, la Svizzera, nei momenti di relax si ascoltava la radio e si poteva scegliere tra vari programmi di Jazz, di Classica, di Rock trasmessi 24 ore su 24, diciamo che tutta la musica bella è cultura.



JC: Da noi invece la questione sembra un po’ diversa…


GD: In Italia dopo 50 anni la musica jazz viene trasmessa solitamente tra le ore 23 e 24 in modo che a quell’ora la gente dorme. Oltre ai vari inconvenienti descritti, abbiamo nel Jazz anche le avanguardie, che con le loro incredibili esibizioni e spericolati suoni hanno allontanato ancora di più gli appassionati; l’ascoltatore ha bisogno di sentire dei bei suoni, delle belle armonie e il Jazz deve creare emozioni: per questo motivo grandi nomi del Jazz hanno fatto un bel passo indietro ottenendo il consenso di molti appassionati. Io penso che il Jazz abbia ancora molto da dire, specialmente con le varie forme uscite tra il 1950 e il 1970.



JC: Ma cos’è per lei il jazz?


GD: Per me il Jazz è stato il primo amore, per questo ho rinunciato a comodi ingaggi tipo la RAI. Ho sempre cercato di far parte di gruppi che condividessero le mie idee. Il Jazz oltre essere una musica stupenda, offre all’esecutore libertà, creatività, ogni esecuzione è unica, e crea emozioni incredibili, per questo occorre impegno, preparazione e una buona conoscenza dell’armonia, tutto questo e altro si chiama Jazz. Ho sempre rifiutato le comodità che offrono i patterns, anche se devo ammettere cha raggiungono lo scopo, preferisco usare le sensazioni che ci sono in un concerto dal vivo se si improvvisa in piena libertà, l’atmosfera diventa limpida, e si sviluppa la creatività.



JC: Tra i dischi che ha fatto ce ne è uno a cui è particolarmente affezionato?


GD: Durante la mia carriera ho avuto modo di registrare diversi album sia a mio nome sia per altri musicisti, ma uno in particolare – per la passione e per il divertimento – è un 33 giri realizzato nel 1982 con Piero Pollone, dal titolo “Uno in due” per la Esagono del gruppo Ariston.



JC: Quali sono stati i suoi maestri nel sax, nella musica, nella cultura, nella vita?


GD: All’inizio ho studiato sassofono a Vercelli con il Maestro Nino Borra ma in seguito mi sono iscritto al conservatorio Verdi studiando clarinetto con il Maestro Giampieri, con l’obbligo del pianoforte, in seguito per esigenze di lavoro,sono passato al sax tenore,durante il militare a Vicenza ho studiato per 18 mesi il clarinetto presso il Liceo musicale. Sicuramente una grande lezione di vita, l’ho avuta quando nel 1952 sono entrato a far parte della grande orchestra di Zuccheri, sono stato accettato come un figlio, il Maestro era sposato ma non avevano figli, io all’epoca avevo 20 anni per me è stato come un papà. Con l’orchestra Zuccheri ho lavorato fino alla fine 1958, ed è stata una grande esperienza. Un’altro grande Maestro a cui devo molto è stato il compositore villatese Giuseppe Rosetta, quando per un certo periodo decisi di approfondire i miei studi in armonia, da grande didatta che era lui mi fece capire tante cose che mi hanno permesso di arricchire la mia cultura.



JC: Qual è stato il periodo più bello della sua carriera di musicista?


GD: Quello che va dal 1960 al 1963: la Coppa del Jazz aveva portato molto lavoro e molte soddisfazioni, la nascita di mio figlio Maurizio molta gioia nella mia famiglia, e anche la collaborazione con l’orchestra di Cesare Marchini e con Giulio Libano. Da quel momento inizio con la casa discografica Jolly, che mi ha offerto di suonare in molti dischi, partecipando in seguito al festival della canzone di Zurigo e a colonne sonore per alcuni film cantati dalla grande Mina.



JC: Poi purtroppo, per un po’ s’è dovuto fermare…


GD: Devo dire che dopo un periodo di sosta forzata per una grave malattia, nel 1979 con alcuni amici abbiamo costituito la prima Big Band del Piemonte, dove oltre vari concerti abbiamo partecipato al prestigioso Euro-Jazz Festival di Ivrea. In seguito alla fusione con la Vercelli Jazz Filarmonica una delle band più imitate del Piemonte, comincia una intensa attività concertistica, supportata dai migliori solisti della RAI, che ci porta in tutta Italia, con l’onore di aprire i Mondiali 1990 all’idroscalo di Milano, davanti ad un pubblico di 15.000 persone. In 31 anni di attività abbiamo fatto più di 300 concerti, e portato il nome di Vercelli in tutta l’Italia.



JC: Quali sono i musicisti con cui ama collaborare?


GD: In questi ultimi anni ho collaborato, spesso e volentieri, con molti amici e colleghi non posso fare a meno di elencarne alcuni senza soffermarmi sui pregi di ciascuno: Piero Pollone, Ivano Maggi, Stefano Profeta, Alberto Mandarini, Paolo Maggiora; con Piero abbiamo realizzato per la Ducale il CD Preludio e Fuga; questo per quanto riguarda i piccoli gruppi. Nella Big Band tutti i più grandi nomi del jazz italiano hanno collaborato con noi a partire da Emilio Soana, Pippo Colucci, Rudy Migliardi, Luca Calabrese, Sergio e Renzo Rigon, Paolo Tomelleri, Carlo Sola, Glauco Masetti, più i collaboratori della filarmonica, quasi tutti vercellesi. In ultimo con il CVM abbiamo rifatto un po’ la storia di Fred Buscaglione con Roberto Sbaratto, Luigino Ranghino, Claudio Saveriano, Claudio Bianzino, Roberto Seccamani, Francesco Cilione, Stefano Profeta.



JC: Un piccolo ricordo di Piero Pollone, grande misconosciuto chitarrista jazz morto nell’agosto scorso e suo grande amico?


GD: Per me Piero è stato come un fratello, le nostre idee musicali erano perfettamente allineate e anche al di fuori della musica c’è sempre stata una intesa perfetta. Dopo la realizzazione dei due dischi registrati in collaborazione, si pensava di registrarne un terzo: sarebbe stato il numero perfetto! Infatti stavamo entrambi preparando il materiale necessario, purtroppo il destino non ha voluto, comunque io metterò tutto il mio impegno per cercare di realizzarlo alla sua memoria. Quando da Trino passava a Vercelli veniva in negozio da mio figlio, è li che facevamo progetti per il futuro oppure si combinava per qualche serata jazz. Vorrei dire molto di più ma sintetizzo dicendo: Piero Pollone, un grande amico e un bravo musicista che mi mancherà molto.



JC: Cosa sta progettando Gianni Dosio a livello musicale per l’immediato futuro?


GD: Come ho già detto, cercherò di realizzare un CD da dedicare alla memoria di Piero Pollone.