Schlippenbach Trio – Bauhaus Dessau

Schlippenbach Trio - Bauhaus Dessau

Intakt Records – CD 183 – 2011




Alexander von Schlippenbach: pianoforte

Evan Parker: sax tenore

Paul Lovens: batteria





Se è vero che non è immortale il contingente, è anche necessariamente vero che la sua vitalità si esplica nell’essenza dell’espressione, naturale senza artifici, intrinseca non esterna, costantemente in divenire e dunque presente in quanto temporalmente assente, sfuggevole, sempre in itinere e mai al punto di arrivo.


Alexander von Schlippenbach (pianoforte), Evan Parker (sax) e Paul Lovens (percussioni) in trio, al Bauhaus Dessau, celebrano quarant’anni di musica insieme, ed è l’improvvisazione immanentemente incostante che balugina irriducibilmente, a renderli tanto uniti.


Note trasversali dal pianeta del free, come ci presenta la stazione Intakt, ormai proverbialmente orbitante in una costellazione discografica pressoché da primato. Free percepito e razionale e al contempo fugace e asimmetrico, messo in opera da veterani che sanno fronteggiare i propri alter ego strumentali, mossi da menti e dita certamente non intorpidite e senza velature di cali creativi. Improvvisazione sintomatica, prepotentemente allegorica e tuttavia primitiva e disadorna, poiché svanente e inafferrabile come le verità preistoriche. L’abbattimento delle barriere non equivale alla distruzione dei legami, bensì vuol rappresentare, o meglio, “sente di essere” quindi è, creatività stravolgente, sovversiva, che tuttavia dista anni luce dall’anarchia sensoriale, ponendosi come scoperta di terre nuove o immersione nei mari dell’inconscio, ignoti e temuti ma non per questo da non conoscere o da paventare aprioristicamente. La narrazione musicale è alterata e alterante, riverbera su chi ascolta come novità nella novità, rimanendo fedele al principio dell’infedeltà che è proprio dell’istantaneo.


Il punto nevralgico della creatività è molteplice e, come energico logos, si dirama per le indeterminate vie dell’invenzione, non unilaterale (poiché negherebbe se stessa), bensì multiforme e in movimento proprio come i quaranta minuti del disco che, liberi e aleggianti, nonché vulnerabili, procedono con indisciplinata grazia, erompendo in non-unisone e contraddittorie forze.