John Surman – Saltash Bells

John Surman - Saltash Bells

ECM Records – ECM 2266 – 2012




John Surman: clarinetto alto, clarinetto basso, clarinetto contrabbasso, sax soprano, sax tenore, sax baritono, armonica, sintetizzatori





Emozione ed Astrazione vivono in antitesi?


C’è qualcosa di nuovo, in questo sound… anzi d’antico. Una discografia spesa lungo le partnership già piuttosto stagionate con John McLaughlin, Barre Phillips, Paul Bley, John Taylor fino ai più recenti organici (e non solo per ECM) quali l’ibrido e multi-stile ensemble Dowland Project, passando da un ingiustamente inosservato Ripple Effect (originale electro-world condiviso con Jack de Johnette e Mousa Suso) fino a un trascurabile progetto Nino Rota per la regia di Richard Galliano, hanno compiutamente definito i peculiari stile e carattere del sassofonista-clarinettista-compositore scozzese che, quando ripone la sua anima jazz più ortodossa (e nemmeno di questo saremmo certi), la estende e dilata nelle prove “solo” – come questa ennesima incisione peraltro conferma.


Distaccandosi alquanto dagli esiti un po’ formali alla Private City, ma certo sempre nella discendenza del seminale Upon Reflection, già più imbastito d’intimismo, Saltash Bell esordisce in potenza e fulgore introducendoci attraverso lo statuario portale di Whistman’s Wood, con il duettare della voce femminea, duttile e di grafite del clarino basso e quella più bronzea e virile di un più ancorato sax baritono, palesando di entrambe le ance la personale concezione, sostenute peraltro da elettroniche nervosamente plasmate.


Procedendo con decisione e forza tra diafane vetrate, eloquenti pulpiti e tenebrose navate, l’animo gospel s’incontra con una più archetipica sensibilità gotica di cui abbraccia insieme fioriture e austerità, svelate attraverso energie forti e controllate, su cui aleggia immanente una poco eludibile spiritualità fluente di misticismo intimo e naturale.


Il forte argomento biografico circa le peculiari e precoci fascinazioni infantili dei primi anni di vita dell’Autore verso le architetture sacre e i catturanti panorami a cornice non esauriscono l’album delle radici e dei tragitti dell’ispirazione surmaniana: ideale attraversamento di una personale sequenza di flashback sonori, mirabile per fascino, meno prevedibile per architetture, la promenade elettro-fiatistica del Nostro elargisce all’ascolto un orizzonte limpido, animato in forma scultorea ora da siderale severità (On Staddon Heights), ora tersa orazione laica di giovanile vigoria (Winter Elegy), polifonie di tono virile (Triadichorum, Glass Flower) e più rarefatte declamazioni nell’epica possanza di Saltash Bells, passaggio di estremo fascino tra le ance di tono più grave di Surman, fino all’uscita di scena nel tono più lieve di gaia marcetta in Sailing Westwards.


Concedendosi il lusso di una sapiente e immaginifica ingenuità, i passaggi dell’Emozione lungo le alchimie dell’Astrazione fondano la poetica intrisa di sapidi sentori di memoria e le visioni dalle originali geometrie, la catturante sequenza di austere melodie ci rassicura (ma non è poi una rivoluzione) su come e quanto l’Astrazione non sia antitetica (anzi in tal caso simbiotica) all’Emozione.