Foto: la copertina di Dropout
Slideshow. MU.
Jazz Convention: Volete dirci anzitutto chi sono i MU?
MU: Una felice realtà, nata tra boschi e laghi in un ‘loco’ ameno e avverso del Nord Italia (Verbania), in cerca di una musica altra che possa trasmettere forti emozioni.
JC: Perché proprio questo nome?
MU: MU è il nome di un fantastico continente inabissatosi nel Pacifico migliaia di anni fa, molto probabilmente una bellissima storia nata su antiche scritture Maya. La scelta di questo nome è legata alla magia che risiede in esso, lo sconosciuto, l’incompreso, il forte legame con la natura… ci sono questi elementi nella nostra musica.
JC: Cosa ci dite del vostro nuovo album?
MU: Nel libretto di Dropouts (questo il titolo dell’ultimo album) abbiamo voluto inserire una frase di Tiziano Terzani che pensiamo incarni il nostro pensiero, o almeno ciò che ha mosso i nostri primi passi. “Mi resi presto conto, appartenevano anche loro a una casta, quella dei Drop Outs, come in America si chiamano quelli che sono saltati giù dal treno in corsa della modernità, quelli con dubbi, quelli con dentro l’aspirazione a qualcosa di più alto delle solite mete materialistiche della società dei consumi.” La copertina stessa è l’immagine di ciò che facciamo, cerchiamo di dar valore alla nostra unicità e al nostro pensiero.
JC: In effetti la copertina dà l’idea al contempo del grande e del piccolo, del collettivo e del singolo… Dropouts ha anche una piccola madrina spirituale che è la mia piccola bimba Camilla a cui sono dedicate le ninna nanne e i brani più dolci. MU sono una famiglia allargata e quindi questa nostra esperienza è stata condivisa e vissuta fra quattro preziosi sodali: Davide Merlino (vibrafono, glockenspiel, batteria), Dario Trapani (basso e chitarra elettrica), Simone Prando(contrabbasso e basso elettrico), Riccardo Chiaberta (batteria, armonium).
JC: Quali sono i motivi che vi hanno spinto a diventare musicisti?
MU: Il bisogno incontenibile di condividere ed emozionare, emozionarci a nostra volta, facendoci avviluppare dalle vibrazioni dei nostri strumenti che lavorano in profondità con le loro onde alfa al basso ventre.
JC: Cos’è per voi il jazz?
MU: Una grande opportunità per la musica e per chi la suona di romper le frontiere ed esprimere al massimo livello se stessi.
JC: E quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?
MU: Libertà, emozioni forti, amore per la vita in tutte le sue forme, condivisione profonda.
JC: E tra i dischi che avete ascoltato quali portereste sull’isola deserta?
MU: Oh accidenti, la domanda è di difficilissima risposta! Ne possiamo scegliere tre? Liberetto di Lars Danielsson, un bellissimo album dal suono jazz-nordico, poi sempre rimanendo al nord ilpostrock minimale ed emotivo dei Sigur Ros e King of limbs dei Radiohead, secondo il mio modesto parere il loro meglio! Ma ce ne sarebbero almeno altri dieci fondamentali, tra novità discografiche e registrazioni storiche: Paul Motian, Keith Jarrett, gli E.S.T. , beh forse ci ripetiamo dicendo che è difficilissimo scegliere!
JC: Quali sono stati i vostri maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
MU: Le persone che però ci hanno influenzato di più in questi frenetici anni di attività sono stati gli allievi da cui giornalmente impariamo qualcosa. Uno di noi in particolare (Merlino) tenta di educare (nel senso di educere, “tirar fuori” le loro capacità) e gli allievi aprono delle visualità diverse, aiutano a risolvere i miei problemi dovendo risolvere i loro… è un dare-avere molto proficuo. Amiamo il nostro lavoro e l’insegnamento e questo aiuta a viverci bene il nostro rapporto.
JC: Qual è per voi il momento più bello della carriera dei MU?
MU: Il momento più bello è legato al momento live, soprattutto in serate particolarmente magiche in cui le note escono senza pensare, con tanto cuore e pancia, ma poca testa. Se dobbiamo pensare ai momenti più belli possiamo citare la vittoria nel 2010 del Concorso Internazionale Percfest nel settore “Percussionista creativo dell’anno”, oppure il live MU ospiti del programma Piazza Verdi di Radiotre RAI (torneremo tra l’altro il 2 febbraio sempre con i MU e in primavera o estate dovremmo suonare a Battiti).
JC: Quali sono i musicisti con cui amate collaborare?
MU: Con tutti gli artisti aperti a cose nuove, soprattutto se sono più bravi di noi, per poter imparare sempre.
JC: Come vedete la situazione della musica in Italia? E più in generale della cultura?
MU: Non siamo depressi, disfattisti o esterofili, ma purtroppo possiamo solo parlar in modo amaro dell’Italia. Stiamo vivendo un momento di crisi non solo sotto l’aspetto musicale, ma culturale in generale. Siamo la Nazione del “bel canto” e delle meraviglie artistiche e paesaggistiche, ma siamo i primi a snobbare il nostro patrimonio intellettivo, storico e naturale, passando le nostre serate davanti alla TV (io porto avanti da un decennio una campagna anti-TV e infatti non ne ho mai avuta una!) o in tristi pub con musica scadente ad alto volume. Per una formazione come i Mu risulta difficile farsi strada, non essendoci fondi per le rassegne, chi organizza non chiama nomi poco conosciuti. Ci stiamo rivolgendo anche noi a canali esteri per trovar occasioni Oltralpe.
JC: Cosa state progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
MU: Anche se è appena uscito l’album Dropouts (per l’Abeat) stiamo già considerando il prossimo lavoro, magari registrato in Nordeuropa dopo un lungo viaggio on the road. Sto scrivendo già alcuni temi anche se siamo in pieno tour-Dropouts. Sicuramente Merlino vorrà poi tornare in studio per registrare il secondo capitolo con il trio di percussioni, dopo la bella esperienza di Frammenti del DavideMerlinoPercussionTrio, un disco autoprodotto tra il free e le composizioni scritte. Il prossimo lavoro sarà forse completamente free, in studio con qualche caro amico percussionista e lasceremo fluir le idee musicali…