Juliette Gréco e il jazz

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Juliette Gréco e il jazz.

Buon compleanno: 7 febbraio 1927 – 7 febbraio 2012

Oggi la grandissima Juliette Gréco compie ottantasei anni: su di lei in Italia è finora uscito un solo libro sia pur molto bello – Juliette Gréco. Le vite di una cantante di Dicale Bertrand, edizioni Le Lettere – che ne racconta le gesta artistico-musicali, non trascurando ovviamente i forti legami con il jazz: a Parigi, nell’immediato dopoguerra, una giovanissima diafana ribelle, la cui bellezza è lontana dalle bambole hollywoodiane o dalle maggiorate neorealiste, inizia a cantare nei bistrot e nei cabaret sulla Rive Gauche, il Quartiere Latino degli artisti, dei filosofi, degli editori, ma anche delle mille caves in cui si suonano il dixieland revival, l’autoctono swing-gitan, il nuovissimo bebop e si possono via via ascoltare Boris Vian, Sidney Bechet, Django Reinhardt, Alix Combelle o incontrare attori e intellettuali Simone Signoret e Yves Montand, Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre. In fondo è proprio quest’ultimo, autore del best-seller La nausée, padre dell’esistenzialismo, a inventare il mito e l’arte di Juliette Gréco: figura esilissima in abiti neri tanto eleganti quanto attillatissimi, quando appare in scena tira fuori grinta, sensualità, passione, spaziando fra romantiche ballate a veloci can-can, spesso con la dizione in argot dal tono inconfondibile. Il pubblico di giovani universitari, ragazze disinvolte, anziani eruditi, pittori scalcinati o celeberrimi, applaude, la adora, la venera come una diva classica e anticonformista al tempo stesso.


Per tutti gli anni Cinquanta Juliette Gréco interpreta grandi canzoni, da Les feullies mortes a Paris canaille, da L’ame des poètes a Si tu t’imagines, scritte per lei da letterati e musicisti del calibro di Raymond Queneau, Jacques Prevert, Leo Ferré, Joseph Kosma; lo stile è romanticheggiante, ma talvolta i ritmi sono swinganti, memori insomma di una lezione afroamericana, che i francesi fanno propria con esiti ragguardevoli È del resto un periodo di effervescenza nella Ville Lumière, nonostante la Guerra d’Algeria: l’Art Brut e i Nouveaux Réalistes, il teatro dell’assurdo e la musique concrète, lo yé-yé e il free, la nouvelle vague e l’haute couture. E, assieme a Juliette Greco, ci sono anche nuovi jazzisti come Martial Solal, Michel Legrand, Réné Utreger, Henry Renaud, Guy Lafitte, Pierre Michelot, Barney Wilen, sacha Distel, Les Double Six.


E ci sono pure i cantautori, erroneamente definiti chansonniers in Italia, visto che il termine in francese connota l’intrattenitore da avanspettacolo: Jacques Brel, George Brassens, Charles Trenet, Gilbert Becaud, Charles Aznavour, Jean Ferrat, senza dimenticare un’autentica pop-star quale Edith Piaf, conosciuta in tutto il mondo. La canzone parigina vive il momento di gloria, con Juliette Greco, in un turbinio di eventi, spettacoli, festicciole, joie-de-vivre, fra gli attestati di stima di Jean Cocteau e Pablo Picasso e la di lei storia amorosa con Miles Davis, jazzman nerissimo, trombettista alla ricerca di un lancio definitivo, dopo le vicissitudini per stupefacenti, appena dopo il capolavori di The Birth Of The Cool (e prima del contratto con la Columbia). Dalle jam sessions agli studios di registrazione per lo score di Ascensore per il patibolo in quintetto – presenti un’altro grande afroamericano, Kenny Clarke alla batteria, e i citati Utreger, Wilen, Michelot – la passione tra i due è travolgente, ma con un triste epilogo. Davis è realista e categorico: “Se ti sposo – dice a Juliette – in America sarai soltanto la moglie bianca bastarda di un negro”. Gli yankees sono ancora un po’(o molto) razzisti e Miles risponde a loro con altrettanto diniego. I due rimarranno per sempre amici.


Negli anni Sessanta e Settanta Juliette Gréco arriva anche in Italia, alla televisione: la si vede nei panni abituali della cantante esistenzialista al varietà del sabato sera o in quelli più inquietanti di un fantasma nello sceneggiato Belfagor, un cult de paura; e la spettrale figura con maschera e mantello, che di notte s’aggira per la sale del Louvre, l’accompagna per tutta la vita, spingendola, due anni fa, a entrare, con una particina, nel cast di un omonimo remake con Sophie Marceau. Ma più che Belfagor Juliette Grèco resterà la figura che, per citare l’incipit della sua autobiografia, come “ogni ragazza di diciotto anni passeggiavo sul Lungosenna con colui che amavo…”