Slideshow. Gaetano Partipilo

Foto: Fabio Ciminiera










Slideshow. Gaetano Partipilo.


Jazz Convention: Gaetano, il tuo nuovo CD Besides, comunque molto bello, sembra abbastanza diverso dagli altri che hai registrato, più “leggero” e meno sperimentale; è solo una vacanza o è una nuova strada definitiva?


Gaetano Partipilo: È una strada parallela a quella mia abituale. Per una volta ho voluto confrontarmi con un tipo di repertorio completamente diverso. Registrare un album di songs ti pone problematiche diverse e impone una concezione estetica molto più attenta al dettaglio. Quindi più che una vacanza è stata una bella sfida!



JC: Come è nata l’idea di questo disco per la Schema e perché proprio quegli anni Sessanta (che non sono i soliti Sixties)?


GP: L’idea è nata molto tempo fa dietro suggerimenti del mio attuale discografico (Luciano Cantone) e di Nicola Conte che con me ha curato la produzione artistica. Ho sempre adorato quel periodo storico e adoro molte produzioni del periodo, non solo jazzistiche. Pur essendomi concentrato sul jazz contemporaneo, che rimane comunque la mia strada maestra, mi sono sempre trovato a mio agio a suonare in contesti differenti. Da anni collaboro con artisti di varia estrazione (Auanders, Urban Society, Nicola Conte, Rosalia DeSouza, Pino e Livio Minafra, Roberto Gatto, Nelson Faria, Simona Bencini, Fabrizio Bosso) passando da una situazione all’altra con una certa naturalezza. In sintesi mi diverto tantissimo a suonare un brano di Jobim così come un brano di Greg Osby: da questo punto di vista mi sento molto versatile.



JC: Cambiamo discorso: così, a bruciapelo chi è Gateano Partipilo?


GP: Lo chiedi alla persona sbagliata! Io potrei dirti quello che mi piacerebbe essere: un musicista contemporaneo capace di guardare al futuro attraverso il linguaggio del jazz.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


GP: Ho incominciato da bambino. Mio padre, musicista, ha sempre suonato in maniera professionale e da sempre ho respirato musica in una casa piena di strumenti. Il mio primo ricordo comunque ha a che fare con un giradischi. Avevo 4 anni ed ero un dj promettente!



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?


GP: La libertà di espressione e la passione per tutto ciò che swingava. I primi dischi di jazz che ho ascoltato, avrò avuto 16 anni circa, mi hanno catturato del tutto. Ascoltavo molto cool jazz a cavallo tra i ’50 ed i ’60: artisti come Dave Brubeck, Paul Desmond, Chet Baker, Gerry Mulligan. Poi è arrivato Cannonball Adderley. In quel periodo ho capito cosa farne del mio sax alto.



JC: E in particolare un sassofonista jazz?


GP: Il sassofono me lo ha tramandato mio padre, sassofonista anche lui. Non l’ho deciso io. Oggi avrei scelto la batteria forse…



JC: Ma cos’è per te la musica?


GP: È una parte importante del mio mondo. Una delle cose che mi fa sentire reale. Grazie ad essa ho trovato il mio ruolo in questa società. Famiglia a parte, che è una delle mie fonti di ispirazione, vivo la musica in maniera molto intensa.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ al jazz?


GP: Credo che tutto possa associarsi al jazz. Un modo di vivere, di parlare, di pensare. Il jazz è vita. Comunque la mia idea fondamentale nel jazz che si associa perfettamente alla mia vita è la libertà creativa. Libertà all’interno di regole. Se non ci sono regole tutto ciò diventa libertinaggio.



JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


GP: No. Ogni disco che ho fatto è stato ugualmente importante ed ha segnato delle tappe. Ho finora inciso sei dischi da leader e ci sono affezionato allo stesso modo anche se non li ascolto più da tempo.



JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


GP: Attica Blues di Archie Shepp o Crescent di John Coltrane.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica?


GP: Devo molto a mio padre che mi ha messo un sax in mano per la prima volta. Una persona che sento di ringraziare per quello che mi ha trasmesso quando era il mio insegnante in conservatorio è Marco Bontempo (attuale docente della cattedra di sassofono classico al Conservatorio di Milano). Per il jazz credo che Roberto Ottaviano in un primo momento e Greg Osby e Dave Liebman poi mi abbiano aiutato molto.



JC: E maestri nella cultura, nella vita?


GP: Nella cultura e nella vita in generale, anche se queste due cose sono legate indissolubilmente alla mia sfera musicale sento di aver imparato da tanta gente. Se devo citare una sola persona mi piacerebbe ricordare Gurdjieff. Sono molto attratto dalla sua visione sul mondo (reale).



JC: E i sassofonisti che ti hanno maggiormente influenzato?


GP: Tanti. Cerco di imparare dai grandi ad anche dai miei amici sassofonisti in giro per l’Italia. Ognuno, anche se in maniera involontaria, ti lascia delle cose.



JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


GP: Ricordo diversi momenti felici. La telefonata di Giovanni Bonandrini quando mi disse che aveva intenzione di produrre il mio primo album per la Soul Note. Il mio primo tour in Giappone. I primi concerti all’estero con il quartetto di Roberto Gatto. Poi, recentemente, il concerto di presentazione di “Besides” con 17 musicisti sul palco e teatro stracolmo di gente felice.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


GP: Tantissimi. Non voglio fare nomi per non dimenticare qualcuno. Devo comunque dire che i miei progetti attuali, che sia leader o sideman, mi gratificano molto e spero possano durare il più a lungo possibile.



JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?


GP: La musica in Italia è in fermento. Ci sono tanti musicisti giovani pazzeschi. Questo è sintomo di innovazione. C’è da stare tranquilli insomma. Il problema è tutto ciò che circonda i musicisti. In primis il pubblico italiano non sempre attento alla proposta artistica. In secondo luogo tutto l’establishment musicale, non solo nel jazz, che dovrebbe cambiare rotta. Ad esempio la Siae, la musica nel 99% delle radio, la musica in tv… ne vogliamo veramente parlare?



JC: E più in generale della cultura in Italia?


GP: La cultura ha iniziato a precipitare con l’avvento di canale5 e della tv commerciale in genere. Oggi viviamo nell’era del profitto. Vale tutto pur di far soldi. Questo si riflette in maniera inequivocabile su tutto.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


GP: Un disco di musica mia con una band di giovani emergenti. Ci saranno novità a breve…