ACT Music – ACT 9520-2 – 2012
Lars Danielsson: contrabbasso, violoncello, piano Wurlitzer
Tigran Hamasyan: pianoforte, voce
John Parricelli: chitarra elettrica
Arve Henriksen: tromba, elettroniche
Magnus Öström: batteria, percussioni
Trovarci in apertura entro le seduttive foschie e le propulsioni notturne di fumose costruzioni alla Jon Hassell o Nils Petter Molvaer nell’introduttiva track intitolata a Yerevan, capitale d’Armenia, trova soluzione nella presenza dell’ormai autonomo, progettuale talento del giovane leone della tromba Arve Henriksen, ma soprattutto della rising-star del pianoforte Tigran Hamasyan, con cui l’elegante e comunicativo Lars Danielsson s’ingegna a conformare il soundscape di forte personalità di una pressoché rinnovata band, completata dalla batteria dello svenssoniano Magnus Öström.
Il preambolo, di forte e drammatizzata connotazione, dischiude uno dei momenti di maggior forza melodica dell’album: Liberetto è segnata dall’estensiva presenza del pianista, doppiato dalla sortita del fitto, brunito basso di Danielsson, track che dispone l’album a più riascolti come nel caso di Orange Market, notevole per l’ampia padronanza della dinamica danzante.
Le strutturate Day One e Hymnen sono quindi arene solistiche per Henriksen (in realtà più sideman d’eccellenza, non partecipando alla formazione concertistica della band, Lars Danielsson New Quartet, impegnata nella proposta on stage di tali materiali) e nuovo contributo delle nuove vocalità del riveduto strumento d’ottone, e importante, drammatico passaggio è il crescendo di forza misticheggiante di Svensk Låt, in cui è la penna di Tigran a voler cimentarsi con la costruzione di una stazione tematica in sintonia con le visioni del leader, contribuendovi ulteriormente con le proprie fraseologia plastica e forza sensitiva.
Incorniciato dal glaciale clima d’apertura, improntato al dolente languore d’un antico tema armeno, Hov arek sarer djan esprime il carattere espressivo dei nuovi scenari prescelti da Danielsson, ma getta anche un sensibile ponte verso la musicalità di E.S.T., qui scalpellata dalle sferzanti bacchette di Öström, spegnendosi lungo un suggestivo mélange di aspre elettroniche e canto arcaico.
Viraggio drastico d’atmosfera nella dinamizzazione smaltata delle cover in cui si sono già brillantemente sperimentate le formazioni del bassista-cellista: Party on the planet è momento d’elettrificata, accattivante cantabilità, piattaforma solistica per l’unico sodale di ritorno, il chitarrista John Parricelli, che più avanti in Driven to daylights spezza un’altrimenti seriosa impostazione d’insieme; maggiore intimismo e densità di trama invece in quella Tystnaden in cui l’asciutta, bizantineggiante eloquenza del piano dialoga con le più assertive cupezze del basso, e la souplesse del contemplativo Ahdes Theme stempera le tensioni prima che il tutto cessi nell’altalenante melanconia di Blå Ängar, tratteggiata da una più ortodossa emissione di Henriksen, dalla più rotonda propulsione del basso di Danielsson e dai grappoli di note d’inchiostro di Hamasyan.
A seguire la ricca ed ampiamente panoramica antologia Signature Edition (ACT, 2010), in Liberetto le drammatizzazioni gentili e la forza garbata dello spirito fusionista del titolare sanciscono l’apertura ai nuovo, non occasionali apporto e colore delle forti personalità coinvolte: buona parte dei presenti materiali segnano non solo una tonica e linguisticamente più aperta revisione delle predilezioni estetiche di Lars e, se non ne sono rivoluzionate a fondo le morfologie, certamente è tangibile l’apertura di nuove visuali, ponendolo con ulteriore agio tra le figure forti di quella fascia incruenta e formale, ma comunque sensibile del jazz nordico.