JAZU: Jazz from Japan. Recensioni. Dark Eyes

akiko - Dark Eyes

Universal – POCS-1065 – 2012




akiko: voce

Brian Coogan: piano, organo

Brian O’ Connell: clarinetto

Chai-Chii Sisters: voci

Craig Klein: trombone

Ed Anderson: tromba

Eric Bolivar: batteria, washboard

Gerald French: batteria

Josh Starkman: chitarra

Kirk Joseph: sousaphone

Natsuko Furukawa: piano

Nori Naraoka: contrabbasso

Richard Moten: contrabbasso



Intervista a akiko






È la lontana eco di una marching band che incede con la sua caratteristica andatura festosa ad introdurci in questo ultimo lavoro della cantante akiko, rivelandone da subito il carattere musicale.


Dopo essersi misurata con le diverse declinazioni stilistiche del jazz, attingendo tanto dalla sua storia quanto immaginandone le sue possibili evoluzioni future, la vocalist giapponese questa volta sceglie di fare un più ampio salto temporale e geografico fino alle origini del jazz, e quindi New Orleans.


Registrato nei Piety Street Studios, con sede nell’omonima strada di New Orleans, il disco è infatti impreziosito dalla presenza di ottimi session man locali, tutti portatori sani in egual misura di quella contagiosa vitalità e serena malinconia che inevitabilmente finisce nel loro modo di fare musica.


Tuttavia questo non è un viaggio filologico e purista nello stile tradizionale di New Orleans, piuttosto un omaggio, rielaborato attraverso la profonda sensibilità e la verve poliedrica della vocalist, rivolto a quei brani e stili musicali del passato dai quali akiko è sempre stata affascinata.


Dark Eyes, ad esempio, il brano in puro stile traditional che apre l’album, è in realtà una delle canzoni più note della tradizione popolare russa, che qui akiko decide di trasformare ulteriormente, cantandola nella propria lingua madre: una scelta linguistica che risulta sorprendentemente affascinante quando associata a queste canzoni dal sapore antico.


Tra i meriti di akiko, infatti, c’è sempre stato quello di saper fondere generi e culture diverse facendole convivere in maniera nuova e compiuta.


A completare l’atmosfera retrò dell’album è la presenza del duo vocale Chai-Chii Sisters che impreziosisce la voce raffinata di akiko con gli intrecci armonici propri dello stile doo wop in vecchi standard come Love me or Leave me e Bei Mir Bist Du Shoen.


Alcuni degli strumenti caratteristici della tradizione più genuina del jazz come il clarinetto (Love me or Leave me), il trombone, addirittura un washbord (Everybody Loves My Baby), tra i quali spicca il sousaphone di Kirk Joseph (Groovin’ High, Cry Me a River), storico membro della Dirty Dozen Brass Band, si alternano quali strumenti chiave in ciascun brano, producendosi in assoli ed accompagnamenti appassionati. Su tutti la voce calda ed elegante di akiko a tenere insieme le varie trame dell’album.


Non poteva mancare il respiro del blues in questo percorso compiuto dalla vocalist agli albori del jazz. It’s Just the Blues, un originale di akiko, permette alla cantante di esprimere al meglio quel sentimento sito al centro di tutta la musica afroamericana che percorre gran parte dell’album.


Come tutti i lavori di akiko nulla è lasciato al caso nella produzione musicale ed ogni aspetto esecutivo è curato nei minimi dettagli rendendo Dark Eyes uno dei lavori migliori e più equilibrati della sua discografia. Un album chiuso degnamente dalla struggente What a Difference a Day Makes nella quale la cantante si lascia trasportare dal morbido accompagnamento di un organo, quasi fosse cullata dalle placide acque del Mississippi.