Objet-A productions – 2013
Gianni Gebbia: sax alto
Michael Manring: hyperbass
Non del tutto complanari, probabilmente, i punti di partenza dei due attori, certo però in vario modo assortiti.
Piuttosto noto anche presso i non-cultori, Michael Manring è un praticante molto peculiare e certamente entusiasta delle note basse, in via piuttosto intuitiva un discendente degli inabissamenti di gamma alla Pastorius, un cantore timbricamente estremo di una certa fusion, ma ulteriormente impegnato anche nel sound-design, che lo ha condotto a realizzare il personale e versatile hyperbass.
Il prevalentemente altista Gianni Gebbia, quotato praticante di forme sperimentali nelle prove in solo, e di un arco stilistico esteso dal new-bop al free nelle diverse band entro cui si produce, ha un esteso background formativo che dalla solida centralità mediterranea e dalle matrici del bop tende l’orecchio e investe sulle scene al di là sia del’Atlantico che del Pacifico (come approfondito nell’intervista da noi appena condivisa in parallelo).
Gli esperimenti sono comunque tali se vissuti e portati a compimento: in questa incisione virtuale (fruibile molto agevolmente comunque sulla piattaforma virtuale BandCamp) i due eterogenei talenti a confronto pervengono a conformare un leggibile impianto d’insieme, e se Desert Walk e Jigtranse sembrano incarnare con maggior drammaturgia e senso della figurazione l’interfaccia delle provocazioni sassofonistiche di Gebbia sulla dorsale del fluido e denso metallo oscuro del basso di Manring (più funk e nervoso nella seconda track), anche maestria nel sortilegio, architettura eterodossa e paradosso formale (come i nomi dei titolanti Escher e Houdini suggestivamente sottintendono) sono spunti e linee di percorso che tratteggiano quest’incontro peculiari di nature non gemelle.
Le forme carnali e in ebollizione del basso s’interfacciano dinamicamente alle figurazioni angolose, inquiete e senza posa del sax, atte ad evocare timbricamente alacrità fisarmonicistiche e cluster organistici, orientalismi sinuosi e frammentazioni laceranti si dipanano su fruibili (ma non sempre “rotondi”) raccordi funk del basso: se non s’attinge a Moto Perpetuo, certo è che i due non sono soggetti da Calma Piatta, e l’impulsività dinamica non s’arresta nemmeno in titoli in apparenza più quieti e rarefatti come Hermit, intessuto su ipnotiche frasi spiroidi dell’ancia e ondulazioni in rilievo del basso, convergenti su declamazioni tese e di lunga tenuta del sax.
Insomma, il duo non sembra aver scelto di percorrere vie piane o stilemi ammiccanti, pur non mancando momenti che dispensano tranches dei gusti rispettivamente bop e rock-jazz delle due individualità e dispensando brevi soste di ristoro – un soundscape comune è infine tratteggiato, e pur tanta dinamicità non toglie che molti contorni semantici conferiscano a buona parte dell’insieme di Paradoxicon il carattere di una personale, dinamica meditazione laica.
Tra rêveries, memorie mediterranee e trance orientali, pendolarità increspate e convulsioni ultra-pop, acidità free e jazz che gioca d’anticipo sul quadrante dell’orologio, i (con)fratelli a differente pattern cromosomico pervengono senza complessi e velleitari preamboli ad un ennesimo abbattimento di barriere, piuttosto concentrati a conseguire un punto (assai poco scontato nelle premesse e analogamente negli esiti) nel variegato e incontenibile fenomeno di nome: Musica.
Link di riferimento: Pagina Bandcamp di Gianni Gebbia.