Slideshow. Marta Caldara

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Slideshow. Marta Caldara.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Marta Caldara?


Marta Caldara: Una musicista curiosa.



JC: E cos’è il tuo Collettivo Decanter?


MC: Un luogo magico in cui ognuno può esprimere il proprio mondo musicale interiore, esplorando il confine tra il proprio linguaggio musicale e quello dell’altro.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


MC: All’asilo ascoltavo Angelo Branduardi, c’era qualcosa che mi ipnotizzava nella sua musica. ho consumato tutte le sue audiocassette. ma il vero colpo di fulmine è stato a otto anni, quando ho ascoltato dal vivo un’orchestra slava che suonava il Pizzicato polka di Strauss. da quel momento non ho mai smesso di suonare. L’incontro con il jazz è avvenuto poco più tardi, con le grandi cantanti e i dischi di Brubeck, Desmond, Rollins, Monk…



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare musicista?


MC: Non ho mai deciso di diventarlo. Anzi, smetto quando voglio!



JC: E in particolare dove ti esprimi meglio: al pianoforte? al vibrafono? nel comporre musica o scrivere testi?


MC: Nel comporre musica. sono davvero felice solo quando suono i miei semplici giri di accordi.



JC: Ma cos’è per te la musica?


MC: Una grande amica, che mi propone ogni giorno nuovi orizzonti, nuove sfide, nuove amicizie.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla tua musica?


MC: Se mi siedo al pianoforte per comporre, di solito è perché sono allegra, in forma, in armonia con il mondo. Mi illudo quindi che i sentimenti che in quei momenti infondo nella musica siano perlomeno positivi o, nel peggiore dei casi, di una dolcezza un po’velata. Nel mio disco Aria con da capo c’è però qualche brano più vecchio, più malinconico…



JC: Che rapporto hai con il jazz?


MC: Il jazz mi piace quando crea ponti tra diversi generi.



JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


MC: Le folk song di Luciano Berio, possibilmente cantate da Cathy Berberian; se dev’essere un disco di jazz, forse porterei The power of three di Petrucciani.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri ne mondo della musica?


MC: Ho avuto incontri fortunati: una grande insegnante da piccola che mi ha prima insegnato a suonare e poi a insegnare. e quando più ne avevo bisogno ho incontrato le persone e i maestri che mi hanno guidata, motivata e sostenuta nella vita e nel mondo del lavoro: tra gli altri, il compianto maestro di composizione Daniele Bertotto.



JC: Il tuo atteggiamento verso i suoni può definirsi interdisciplinare?


MC: sono sempre stata affascinata anche dalle altre arti e dalle relazioni estetiche che esse hanno con la musica. d’altronde si tratta sempre di suddividere e riempire spazi, visivi o aerei che siano… per questo motivo ho sempre frequentato artisti, ballerini, architetti, fotografi, cuochi, dai quali ho imparato molto e che, in qualche modo, hanno partecipato alla realizzazione del mio disco.



JC: E i pianisti o percussionisti che ti hanno maggiormente influenzato?


MC: Il percussionista Daniele Di Gregorio è stato un incontro fondamentale durante gli anni di formazione ed ancora oggi è per me un punto di riferimento. Forse il mio pianista preferito è invece Brad Meldhau.



JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


MC: Sicuramente questo.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


MC: Marco Perona e Vincent Boniface, ovvero la chitarra e l’organetto diatonico del Collettivo Decanter.



JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?


MC: C’è un sottobosco di produzioni molto interessanti, che faticano ad emergere, ma che davvero meriterebbero un grande pubblico.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


MC: Ovviamente i concerti di presentazione del disco, in quartetto (Caldara-Boniface-Perona-Galeotti); ho in animo anche un duo pianoforte+organetto con lo stesso Boniface. E continuo a scrivere…