Carlo Cattano Trio – Impromptu

Carlo Cattano Trio - Impromptu

Anaglyphos Records – 2012




Carlo Cattano: sax baritono, flauto contralto

Alberto Amato: contrabbasso

Antonio Moncada: batteria, percussioni





Impromptu comincia a girare nel lettore e contemporaneamente un suono mite, quieto, che viene da lontano, influenzato da territori di confine, pervade l’aria. Sono le note di un flauto che sinuose si stagliano al fare del tramonto, di fronte al mare e all’infinito, sorrette da secchi colpi di basso e spennellate di batteria. Il mondo di Carlo Cattano si apre mesto, di soppiatto, seguendo i tempi di una preghiera orientale o solo il dna della sua Sicilia. Quel suono appartiene al brano di apertura intitolato Uno, una sorta d’incantesimo orientale che, ingannando, lascia credere che il disco debba scorrere sotto un cielo crepuscolare le cui tracce si perdono nelle nebbie del tempo. Invece no, subito sconfessati, perché il matematico Logic, ci riporta alla realtà della musica intesa come perfezione numerica. Un roco baritono lo ribadisce come fosse un vecchio e rancoroso insegnate di epistemologica passione.


Queste sono le sorprese dell’improvvisazione, fondamenta su cui è basata l’idea di base di Impromptu. Nella title track Cattano ritorna ad utilizzare il flauto e questa volta costruisce un pezzo free, improvvisato, in cui Amato al contrabbasso tesse preziose note di supporto e Moncada ne ribadisce l’esito con scudisciate di batteria. Il baritono bluesy di Monky, chiaro riferimento alle spigolosità del pianista, si divincola incolume tra le trappole di quella musica sostenuto da un contrabbasso insistente e profondo e una batteria vigile e puntuale che sottolinea la sua presenza a colpi di spazzole. Ammantata di mistero, si apre Danza, una ballad incantata, a metà tra folk e riverberi africani, dove la circolarità è tratteggiata da un flauto che sa di oriente sospeso sui fraseggi percussivi di basso e tamburi. Blacksmith invece sottostà alla legge del funky attraverso un groove ruvido, vetrato, insistente, dove il baritono risale pentagrammi impervi, aggrappato ai binari sonori di basso e batteria, che a loro volta si lanciano in solitari assolo di rara efficacia espressiva. Sempre suonato con il baritono è il blues sporco e mingusianamente scorretto di Downy Skin, un pezzo tirato, che non da tregua. Leva la lava è un duello parallelo, all’ultima nota, tra baritono e contrabbasso, mentre le percussioni di Moncada contribuiscono a rendere l’aria sempre più elettrica. Rhythm si sviluppa all’insegna di una serie continua di sincopi. È un gioco di suggestioni sorretto dall’efficace walking bass di Amato. Mem, unica composizione di Moncada, chiude il disco attraverso un blues “sottomesso”, sussurrato, sofferto, quasi silenzioso, che abbandona il proscenio evitando di disturbare e lasciando dietro di se una scia di suoni e borbottii baritonali.


Carlo Cattano è un musicista colto e raffinato. Un ricercatore che conosce ogni rivolo del jazz e che meriterebbe per la sua maestria maggior gloria e apprezzamento. Impromptu è un saggio delle sue capacità musicali e compositive, e nello stesso tempo, un disco che ne testimonia l’alta qualità artistica ed espressiva dell’artista siciliano.