Guido Di Leone, the way to play standards

Foto: da internet










Guido Di Leone, the way to play standards.


Fare oggi un disco di standard può sembrare per alcuni demodè, fuori luogo, o peggio ancora fuori tempo. Questo può essere vero, ma tutto dipende da chi li suona e come li suona. Guido Di Leone possiede un pedigree che sgombra il campo da qualsiasi dubbio o contestazione. La versione che lui dà di brani come ‘Round Midnight, I Remember You, Laura o Angel Eyes, può essere presa ad esempio di come suonare con le proprie idee pezzi “immortali” senza evadere dai confini di un mainstream moderno e di qualità. Di Leone si è presentato con questo secondo volume alla guida di un quartetto composto da due sezioni ritmiche, o anime, che si alternano all’interno del disco. I musicisti sono tutti giovani e dotati di differenti caratteristiche e tecniche. Queste pregevoli risorse fanno si che il lavoro si presenti sotto luci diverse, colori e toni. Ognuno di loro dà il meglio di se sotto la guida, la creatività e il tocco, caldo, delicato della chitarra di Di Leone. Standards On Guitar Vol. 2 è un disco coinvolgente, melodico, d’atmosfera, ricco di passione, e suonato con dovizia da musicisti la cui tecnica è garanzia di riuscita e attendibilità.



Jazz Convention: Guido Di Leone, con l’uscita di Standards On Guitar Vol. 2 viene spontaneo chiederti a che punto è la tua attività discografica. Quanti dischi da leader hai inciso fino ad oggi?


Guido Di Leone: Ho inciso da leader una ventina di dischi. Il primo nel 1991 con Ettore Fioravanti, Attilio Zanchi e Paolo Fresu come ospite. Ce ne sono un’altra decina come co-leader. Ne ho registrati in tutto un centinaio, comprese le collaborazioni. Invece il disco che precede questo, nonché penultimo, è Standars On Guitar Vol. 1 registrato con l’organ trio composto da Renato Chicco (lui è italo-sloveno, ha vissuto tanti anni a New York e ora vive a Graz dove insegna all’università del jazz) alle tastiere e Andy Watson, che è di New York, alla batteria.



JC: Standards On Guitar Vol. 2 è un progetto seriale. Come nasce?


GDL: A me piace molto comporre. È stato pubblicato dalla casa editrice Fo(u)r, che è anche la mia casa discografica, un libro dove sono riportate tutte le mie composizioni. Ho scritto tanto, un centinaio di brani che ho anche inciso. La mia passione per gli standard e per i classici del jazz è fortissima. Come diceva Gianni Basso è difficile suonare dei propri brani quando esistono dei capolavori, come le song, che sono delle composizioni alle quali sono affezionato. In questo disco, però, ho suonato in maggioranza brani che appartengono al periodo hard bop. Avevo un forte desiderio di propormi nuovamente come esecutore di standard, anche se in passato ho realizzato dei dischi con composizioni originali come in Sax Line, che è uno dei miei ultimi lavori dove suono solo miei brani.



JC: In Standards suoni con due diverse sezioni ritmiche, perché?


GDL: A volte le collaborazioni nascono su carta, poi diventano un disco e inseguito una collaborazione da concerto. In questo caso si tratta di due trii di giovani. Quasi tutti sono stati miei allievi alla scuola Il Pentagramma di Bari, o comunque hanno avuto a che fare con me. Sono tutti più giovani di me. Siamo nella media di venticinque/ventisei anni, con punte di trenta. Io sono alla soglia dei cinquanta. Sono i ragazzi con i quali suono con più frequenza, soprattutto per quanto riguarda i musicisti pugliesi. Solitamente le mie collaborazioni, come dicevo prima, sono con musicisti che non vengono dalla mia terra. Sono un po’ di anni che suono con loro e mi sono ritrovato ad avere due pianisti, due contrabbassisti e due batteristi. Prima ho pensato: chi scelgo? Poi ho deciso di fare metà disco per sezione. Chiaramente ognuno di loro conosce il mio repertorio, non solo di standard ma anche di originali. È anche una scelta di comodo perché questi ragazzi suonano tantissimo, sono molto impegnati e così mi sono creato una bella possibilità di accettare concerti. Ho chiesto loro, soprattutto ai pianisti, se preferivano eseguire alcuni brani di loro piacimento. Per i restanti ho scelto io. Mi piaceva la combinazione della ritmica: quella tipica era costituita da Delle Foglie/Di Lecce/Montrone. Io ho preferito dividerli perché mi piaceva particolarmente come andava la pulsazione ritmica, il timing, fondendo Delle Foglie con Angiuli e Di Lecce con Scasciamacchia. Ho avuto la mia parte nell’attribuire a ciascuno dei due trii alcuni brani che mi sembravano eseguiti al meglio.



JC: Parlaci più approfonditamente dei tuoi giovani e bravi partner…


GDL: Bruno Montone, pianista, è giovanissimo, uno dei pupilli de Il Pentagramma, scuola che dirigo e che ho fondato vent’otto anni fa. Bruno è uno di quelli che hanno cominciato da zero. Era un bambino quando l’ho conosciuto e poi è cresciuto scegliendo di dedicarsi seriamente a un certo tipo di jazz. È uno dei giovani con maggior conoscenza di standard, che affronta senza problemi. Ora sta vivendo a Londra ma mantiene attive le collaborazioni in Italia. Stesso discorso per Dario Di Lecce, contrabbassista giovanissimo. Anche lui vive a Londra. Si è formato a Il Pentagramma. È dedito al jazz da anni ed è un grande conoscitore di standard. Il batterista Giovanni Scasciamacchia è di Bernalda, un paesino della Basilicata. L’ho conosciuto diversi anni fa grazie ad amici musicisti. Secondo me è un batterista che ha il linguaggio jazz più forte, più spiccato e un grande senso dello swing. Il contrabbassista Francesco Angiuli, molto giovane, è stato per diversi anni in Olanda ed ha studiato presso l’università dell’Aja. Tornato in Puglia, mi ha scritto esprimendo il desiderio di suonare assieme. È un grande contrabbassista e solista. Anche questa è una collaborazione recente. Onofrio Paciulli e Fabio Delle Foglie sono entrambi dei musicisti che sono cresciuti “fra le mura” de Il Pentagramma. Paciulli è diplomato in pianoforte ed ha fatto un suo disco qualche anno fa. È un pianista creativo, aperto. Ha studiato con Franco D’Andrea da cui ha appreso tanto in termini tecnici e armonici. Fabio Delle Foglie è un batterista versatile, sicuro, pieno d’idee, fantasioso, capace di affrontare le più disparate situazioni. È un ottimo lettore e una garanzia nell’imparare gli arrangiamenti.



JC: Due dei dodici brani incisi sono scritti da te. Gli altri sono degli standard, o meglio dei classici. In che maniera è avvenuta la scelta. Che tipo di approccio hai avuto nell’eseguire questi brani così da evitare le paludi del deja vù?


GDL: Spero e penso che sia un desiderio di tutti i jazzisti aver, dopo una certa maturità, raggiunto un linguaggio caratteristico e caratterizzante del proprio modo di suonare tale da non avere problemi di sorta nello scegliere i brani da eseguire. Credo, senza essere presuntuoso, di aver raggiunto una maturità tale da riuscire a essere coerente nel sound sia solistico che di gruppo; a non avere problemi nel suonare un classico degli anni venti, un pezzo hard bop o un brano originale. Chiarito questo passaggio, diciamo che la scelta dei brani diventa quasi casuale. Forse anni fa mi sarei posto il problema di fare un disco più tendenzialmente bebop o hard bop, o cool jazz. Come insegnano i grandi americani alla fine è importante avere un proprio modo di esporre i brani. Spero che questo si senta e si creda alla mia sincerità nel pormi in una certa maniera. Forse il modo più semplice e giusto per identificarmi è musicista di modern mainstream, nel quale si possono racchiudere tutte le varie sonorità del passato e perché no anche quelle moderne. Mi piace la scuola dei giovani newyorkesi composta per esempio da Jim Rotondi e Jim Snidero, con i quali ho spesso il piacere di collaborare e che non si pongono il problema di che stile suonare. Per quanto riguarda i brani, Laura la suono da quando ero ragazzo. Me l’ha insegnato mio padre che è un pianista swing. E poi è il nome di mia figlia che sta per nascere. I Remember You lo conosco da tanto tempo ma non osavo suonarlo. Poi avevo questo timore reverenziale nei confronti di queste mitiche armonie di ‘Round Midnight che non si capisce mai quali siano quelle giuste visto che i book ne propongono diverse. Così ho deciso di sfidare ‘Round Midnight e l’ho messo anche come primo brano. Angel Eyes lo eseguivo tanto tempo fa. I brani più recenti del mio repertorio sono Unit Seven di Sam Jones, che non avevo mai affrontato e This I Dig Of You di Hank Mobley, mentre Daahound la suonavo un po’ di tempo fa. Diciamo che quando si fa un disco di standard la scelta è quasi casuale, si suonano gli standard del momento, quelli che mi piace suonare. A riguardo delle mie due composizioni Four Brothers in Sofia, brano composto durante un tour in Bulgaria, è una sorta di testimone, perché lo avevo inciso anche nel disco precedente; invece Another ‘S wonderful è una mia vecchia parafrasi del brano It’s Wonderful.



JC: Parlaci della casa discografica?


GDL: La Fo(u)r Records è una casa discografica che ho fondato insieme al mio amico Antonio Del Vecchio che non è un musicista ma un grande appassionato. Colui che ha curato le mie copertine sin dalla prima produzione. È un grafico d’eccellenza. È lui il reale direttore perché ha più tempo a disposizione e capacità di gestire i rapporti. Siamo soci in questa casa discografica anche con il trombettista Mino Lacirignola e Nichi Maffei. In realtà Antonio è quello che si occupa di tutte le produzioni ecc. In passato ho collaborato con la YVP e la Philology. Il primo disco lo feci con la Splasch, ma sono contento di avere una mia etichetta che dà la possibilità a molti altri musicisti di produrre i propri dischi.



JC: I tuoi prossimi progetti?


GDL: Io non accantono mai i vecchi progetti o, meglio, ci metto degli anni. Tutte le volte che metto in piedi un progetto lo faccio pensandoci bene e mai per convenienza. Per esempio ho messo su un settetto come quello del disco Sax Line con quattro sassofoni, composizioni mie e arrangiamenti originali di Luigi Giannatempo. È un progetto con il quale suoniamo pochissimo. È vecchio ma per me è sempre nuovo, anche se facciamo un concerto ogni tanto. C’è il lavoro con il quartetto con Barend Middelhoff, Paolo Benedettini e Alessandro Minetto; un drumless trio con Eugenio Macchia, un altro talento nostrano, e Dario Di Lecce al contrabbasso. Anche qui proponiamo un repertorio di standard rifacendoci in parte alle sonorità dei trii di Oscar Peterson e Nat King Cole. Collaboro molto con i cantanti. A me piace esibirmi con loro. Vorrei incidere un altro disco con Renato Chicco e Randy Watson. Non so ancora con che formazione. Probabilmente con degli ospiti americani come Jim Rotondi. Probabilmente rimetterò in piedi il rapporto con il vibrafonista Saverio Tasca che prese parte al mio secondo disco dal titolo Scherzo, del 1993. Faccio parte di un quartetto con Fabrizio Bosso, Giuseppe Bassi e Mimmo Campanale con il quale ho inciso un disco e forse ne faremo un altro. Sono queste alcune idee che cercherò di portare avanti.