Foto: Andrea Feliziani
Premio Internazionale Massimo Urbani 2013.
Camerino – 6/7.6.2013
Il racconto dell’edizione 2013 non può non cominciare con una nota del tutto personale. Sono presente ormai da molti anni al Premio Internazionale Massimo Urbani come redattore di Jazz Convention, membro della giuria e anche, in un’edizione, come “agitatore” di attività collaterali: quest’anno ho avuto l’onore, a causa dell’assenza di Luca di Varmo, presentatore delle ultime edizioni, di salire sul palco e fare gli onori di casa della rassegna. È stata quindi l’occasione per vivere in modo ancor più vicino l’esperienza dei concorrenti, il lavoro della ritmica e le esibizioni dei musicisti al termine del concorso.
L’importanza del Premio Internazionale Massimo Urbani è messa in evidenza da fattori molteplici. La figura dello stesso Urbani, innanzitutto: nel ventennale della morte, il sassofonista rimane ancora oggi una figura inarrivata, miscela unica di talento emergente e percorso maledetto, capace come pochi di unire personalità, estro e senso della tradizione.
Il premio ha avuto nella sua costanza uno dei suoi valori principali, le novità apportate di volta in volta lo hanno poi tenuto al passo con i tempi. Come testimonia il palmares, ricco di nomi tra i più celebrati del panorama nazionale di oggi, le tavole del suoi palchi hanno rappresentato la prima ribalta importante per carriere di tutto rispetto.
Tra le evoluzioni significative del Premio, c’è il jazz che si sviluppa intorno al concorso. Un vero e proprio festival, con una immediata ricaduta di visibilità sui partecipanti: concerti, jam session, giurie composte da critici e direttori artistici di altre rassegne offrono l’occasione per incontri, scambi di opinioni e via dicendo.
Il programma del festival prevedeva quest’anno l’esibizione di Fabrizio Bosso, per la prima volta presidente della giuria del PIMU, in duo con Luciano Biondini, il concerto del Patti/Tantillo Quintetto, con la presenza alla batteria di Stefano Bagnoli, e infine l’incontro tra due enfant du pays, Daniele Di Bonaventura e Paolo Vinaccia musicisti capaci di portare fuori dai confini il proprio mondo sonoro.
Il concorso ha visto in gara dodici concorrenti: ognuno è salito due volte sul palco. una per sera, per una singola esecuzione, insieme alla ritmica composta da Andrea Pozza, Massimo Moriconi e Massimo Manzi. Una gara musicale è quasi sempre un controsenso: è difficile stabilire chi primeggia e secondo quali canoni oggettivi. Certo, è naturale che un premio dedicato a Massimo Urbani, musicista dalle capacità improvvisative ed empatiche, prima ancora che per questioni tecniche o stilistiche venga indirizzato verso la capacità di stabilire l’interplay e far muovere qualcosa di inatteso in chi ascolta. Come dice Fabrizio Bosso nell’intervista pubblicata nelle settimane scorse, non è il brano singolo a poter fare percepire a pieno tutte le qualità di un jazzista. Partendo, perciò, dal presupposto di una “scontata” capacità di suonare al meglio lo strumento e di possedere uno specifico vocabolario jazzistico, il punto è esattamente quello di vedere come il bagaglio di ciascuno dei partecipanti viene messo in relazione con la ritmica, con il teatro e con il pubblico. E il lavoro della ritmica – i veterani Moriconi e Manzi insieme, quest’anno, al pianoforte di Andrea Pozza – è quello di offrire un supporto, allo stesso tempo, importante e comodo, preciso e accogliente come solo tre musicisti di grande esperienza e capacità sanno fare.
I dodici concorrenti hanno dato un buon riscontro della scena emergente in Italia. Le modalità del concorso spingono i partecipanti verso l’esecuzione degli standard – e, forse, è giusto anche così – e quindi a lasciare da parte progettualità eventualmente sviluppate in proprio. Il repertorio classico del jazz innesca da sempre quel dialogo alla base di jam session e incontri sui palchi: l’esperienza di una ritmica importante capace di accompagnare il solista e rispondere in maniera egregia alle sue evoluzioni – di portarlo in carrozza, per dirla facile – è a sua volta un banco di prova per le capacità di prendere in mano la situazione senza farsi intimorire e senza cercare di strafare, per la naturale predisposizione a ricercare un interplay fluido per quanto raggiungibile nel corso di esibizione limitata a un brano.
Il premio è stato vinto quest’anno da Daniele Cordisco, chitarrista molisano di nascita ma trasferitosi a Roma da qualche tempo. Graduatoria a parte, conta maggiormente l’idea di un lotto di partecipanti di buon livello e in grado di dare prova di una esibizione sempre appropriata. I dodici musicisti che si sono esibiti, oltre a Cordisco sono stati Mario Alberto Annunziata, Tiziano Bianchi, Marco De Gennaro, Luigi Di Nunzio, Riccardo Federici, Antonio Felicioli, Elias Lapia, Fabiana Martone, Daniela Spalletta, Claudio Vignali e Lorenzo Vitolo e hanno delineato un panorama vario per esperienze, età e intenzioni stilistiche.
Intorno al concorso come si diceva prima, si è costituita una vetrina importante e composita. Le scuole marchigiane di jazz con le loro big band hanno aperto le danze nel tardo pomeriggio e, insieme alle jam session serali nel chiostro del Teatro Marchetti, hanno creato un continuum sonoro e visivo. La mostra fotografica di Carlo Pieroni, storica presenza del Premio, quest’anno si è concentrata sul jazz suonato nei festival e nelle rassegne marchigiane, come di consueto, ha fatto da cornice a quanto è avvenuto nel chiostro.
Dopo le esibizioni del concorso, i concerti del primo e del secondo giorno hanno dato ulteriore lustro alla gara. Fabrizio Bosso e Luciano Biondini sono musicisti di spessore indiscusso, come siamo abituati a conoscere dai loro dischi e dalle prove in concerto. Il loro incontro in duo – di cui Bosso traccia la storia nell’intervista ricordata sopra – prende le mosse qualche anno addietro e arriva su disco nel 2012 con Face to Face: energia e lirismo, padronanza tecnica sopraffina messa al servizio di melodie e brani di provenienza varia, una felice escursione nei linguaggi del jazz colora l’interplay tra i due e si sviluppa per tutto il concerto.
Nell’attesa della proclamazione dei vincitori, la seconda serata della rassegna ha avuto sul palco il Patti/Tantillo Quintet, vale a dire il trombettista Giacomo Tantillo e l’altista Francesco Patti che si sono aggiudicati ex aequo il concorso lo scorso anno. La presentazione di Rewind, il loro debutto discografico prodotto da Musicamdo Records, è stata al centro della loro esibizione: sulla scorta solida e matura del batterista Stefano Bagnoli e della ritmica completata da Seby Burgio al pianoforte, Giuseppe Cucchiara al contrabbasso, i due solisti hanno portato sul palco una formula consolidata in cui la visione mainstream dell’hard bop si misura con spunti personali e l’energia di una formazione estremamente giovane. La rassegna poi si è chiusa come si diceva in apertura con il duo formato da Daniele Di Bonaventura e Paolo Vinaccia.