Foto: il manifesto del festival
Rocca San Giovanni in Jazz 2013.
Rocca San Giovanni – 16/19.8.2013
Arrivato alla sua undicesima edizione, Rocca San Giovanni in Jazz ha proposto un programma articolato in quattro giorni e attento alle novità prodotte dal territorio, senza perdere di vista una ricorrenza storica come il ventennale della scomparsa di Massimo Urbani.
Il festival ha portato sul proprio palco progetti alla prima assoluta, come Modes’n’Malts del quartetto capitanato da Walter Gaeta e Geoff Warren, in forte via di sviluppo, come il quartetto di Chiara Izzi o, ancora, come il quartetto di Nicola Angelucci, con cui si è aperta la rassegna, appena arrivato alla seconda prova discografica di un percorso ormai maturo ma tutt’ora in fase “espansiva”. E anche lo spazio rivolto a un pubblico generalista ha avuto quest’anno una connotazione più coerente con la manifestazione con le sonorità brasiliane del quartetto guidato da Rosalia De Souza, accompagnata da Aldo Vigorito, Bruno Marcozzi e Antonio De Luise. E, ancora, la presentazione del volume su Lennie Tristano di Marco Di Battista e la proiezione di Massimo Urbani dentro la Fabbrica Abbandonata hanno avuto un ruolo tutt’altro che secondario, proposte sul palco prima dei concerti.
È inutile fare un giro di parole vuote: il momento non permette voli pindarici. Detto questo, l’equazione da cui scaturisce il programma può essere risolta in maniere diverse. Lo sguardo al territorio in questo caso non si è rivelato mancanza di apertura. Nicola Angelucci porta sul palco una formazione di livello nazionale con solisti emergenti del calibro di Paolo Recchia e Roberto Tarenzi e la maturità di un contrabbassista esperto come Francesco Puglisi. E lo stesso leader è ormai tra i batteristi più ricercati del panorama nazionale. Chiara Izzi, dopo aver vinto il Montreux Jazz Voice Competition nel 2011, sta disegnando passo dopo passo una sua nuova cifra stilistica e sul palco lascia intravvedere quello che sarà il percorso che le interessa: una ricerca melodica aperta alle diverse matrici del jazz, dagli standard al Brasile, dai grandi europei alle composizioni originali che filtrano le varie influenze. Marco Di Battista, oltre che musicista, è un didatta di livello internazionale e la sua trascrizione di C-minor Complex di Lennie Tristano rappresenta un passaggio importante nello studio di questo pianista. E la prima uscita importante di un quartetto dai movimenti sinuosi come Modes’n’Malts rende di sicuro “meno impertinente” la presenza di un progetto del direttore artistico all’interno del cartellone. Un quartetto pensato con ponderatezza quello guidato da Gaeta e Warren: innanzitutto capace di accogliere nella dimensione modale sia i riflessi della musica classica che quelli delle suggestioni orientali – via via allontanandosi verso est, balcaniche, mediorientali e asiatiche. La chiave centrale del progetto la danno i malti dei whisky di oltremanica, come svela il nome del progetto: un gioco di dediche e riferimenti che porta a un dialogo continuo con le radici colte e popolari della storia musicale britannica.
La proiezione del breve documentario su Massimo Urbani, realizzato da Paolo Colangeli, è stato un modo efficace per ricordare la figura del sassofonista. Il festival ha dedicato anche il manifesto di quest’anno a Urbani e l’idea di presentare un musicista tanto importante al pubblico di una piazza estiva ad ingresso libero per mezzo di un documento che ritrae il coinvolgimento nella musica e, soprattutto, nel “gioco” della musica proprio di Urbani sia una chiave efficace per ricordarlo. L’intervista di Colangeli, si trova facilmente anche su Youtube, non ha il tono della storia a posteriori o del racconto al termine di una lunga esistenza: coglie l’attimo del musicista nel modo più immediato possibile – la telecamera è pur sempre un mezzo che condiziona chi ci si trova davanti – e ci permette di rivederlo oggi in un contesto del tutto spontaneo.