Nicola Angelucci – Beyond the drums

Nicola Angelucci - Beyond the drums

Via Veneto Jazz – VVJ 082 – 2013




Nicola Angelucci: batteria

Peter Bernstein: chitarra

Paolo Recchia: sax alto, sax soprano

Roberto Tarenzi: pianoforte

Francesco Puglisi: contrabbasso





A distanza di tre anni dal precedente The First one, Nicola Angelucci propone la sua seconda prova come leader, sempre per Via Veneto Jazz e alla guida di quello che negli anni è diventato il suo quartetto di riferimento, un gruppo ormai maturo ma tutt’ora in fase “espansiva”: una combinazione equilibrata di maturità e fervori giovanili, l’ormai solida voce di Roberto Tarenzi e Paolo Recchia, la connessione stretta e fluida della sezione ritmica, una presenza, tutto sommato buona, sui palchi con questo repertorio, le esperienze maturate dal leader negli anni anche accompagnando i tanti musicisti statunitensi che, di fatto, ne fanno un giovane veterano del jazz italiano. Sono, questi, elementi che hanno fatto si che il quartetto potesse crescere con solidità e maturare una propria identità. E, se nel primo lavoro, in realtà, oltre ai brani eseguiti con Puglisi, Recchia e Tarenzi, c’era anche un quartetto “americano”, in cui spiccava la figura di Jeremy Pelt, in Beyond the drums troviamo la formazione impreziosita dalla presenza del chitarrista Peter Bernstein.


I due dischi danno l’idea di una progressione stilistica: come nel primo lavoro, le composizioni di Nicola Angelucci puntano ad unire una scrittura articolata con la pulsazione tipica dell’hard bop. Le nove tracce di Beyond the drums risultano, e in maniera ancor meglio centrata, fluide sia nelle improvvisazioni dei solisti che nella gestione dell’accompagnamento e soprattutto riescono a non essere involute a dispetto della loro “complicazione”. Angelucci guarda così alle esperienze attuali di quei musicisti statunitensi che proseguono e ampliano il concetto di mainstream jazz: una musica radicata nell’alveo della tradizione senza però che questo riferimento costituisca un limite o una gabbia per le espressioni della musica.


Angelucci lascia trasparire nei suoi brani un dialogo con gli standard e con le soluzioni proposte dai grandi interpreti del passato: se in alcuni casi riprende a pratica dei boppers di innestare nuove composizioni sui “rami” di melodie e disegni ritmici esistenti, in ogni passaggio del disco ritroviamo lo studio, la costante applicazione, l’ascolto dei dischi dei maestri per arrivare – questa la chiave di volta – a una ottica soggettiva del materiale di partenza. Basta considerare le versioni dei due standard presenti nel repertorio – Love for sale di Cole Porter e Let’s cool one di Thelonious Monk, in realtà non uno dei temi più ripresi – per capire come l’intenzione sia innescare un movimento elastico che orbiti intorno all’originale con movimenti sempre agili sia in avvicinamento che in allontanamento.


Tutto questo permette, inoltre, al quartetto di ampliarsi senza problemi e accogliere un quinto elemento al suo interno del valore di Peter Bernstein. Come i quattro italiani, anche il chitarrista unisce con atteggiamento lucido bagaglio musicale e visione del presente. E riesce a dare una ulteriore spinta al discorso del batterista. A partire dalle atmosfere à la Django della title track, ballata morbida e dal sapore retrò, che diventa grazie alla presenza della chitarra un viaggio di andata e ritorno tra Europa e America sulle tante tradizioni del jazz. Ma in tutto il disco – dall’inserto ritmico con cui il chitarrista apre Encrypted a Bones, tema finale da lui composto – la presenza di Bernstein è un valore aggiunto, mai un corpo estraneo. E, in particolare, una presenza utile a perseguire la ricerca dell’equilibrio tra passato e presente, tra richiamo alle tradizioni ed esposizione personale.