All’Auditorium, luglio suona davvero bene!

Foto: Fabio Ciminiera









All’Auditorium, luglio suona davvero bene!

Roma, Auditorium Parco della Musica – 23.6/30.7.2013


Nello splendido scenario della Cavea dell’Auditorium di Roma si celebra quest’anno il decennale della rassegna estiva “Luglio suona bene”, divenuto negli anni uno degli appuntamenti musicali più prestigiosi a livello internazionale. In un arco temporale di oltre un mese infatti gli organizzatori puntano nuovamente sui grandi nomi abbracciando svariati generi e continenti, con il jazz finalmente tornato protagonista in un cartellone ricco di altisonanti artisti da far invidia agli storici festival estivi alla musica afroamericana interamente dedicati.


Il primo appuntamento è fissato per il 7 luglio con la diva del jazz più patinato e garbato Diana Krall. Dopo aver avuto l’onore di aprire due giorni prima la quarantesima edizione di Umbria Jazz, la bionda cantante e pianista canadese include nuovamente Roma nel suo breve tour per presentare il suo lavoro targato Verve “Glad Rag Doll”. In un parterre ricco di vip ed una platea che fa registrare il gran pienone, il concerto, rimasto in dubbio fino all’ultimo per via delle ricche piogge estive, seppur con qualche disagio e notevole ritardo, ha finalmente luogo con una elegantissima Krall in tenuta da sera alla testa di un sestetto di spessore. I brani proposti nella prima parte sono presi dall’ultima fatica discografica in cui viene omaggiato lo swing anni 20 e 30. L’apertura è per We Just Couldn’t Say Goodbye di Harry Woods, con la limpida voce della Krall che ben si adatta alle atmosfere dal sapore retrò, rivisitate in chiave moderna grazie anche alla versatilità di tutti i musicisti, con uno Stuart Duncan al violino che si prende ben presto la giusta ovazione. I pezzi sono tutti abbastanza brevi ma ben arrangiati e dal facile ascolto, molti dei quali assai noti al grande pubblico, ma mai scialbi, esaltando la voce sempre sensuale della cantante. La Krall non demerita nemmeno al piano quando rimane in perfetta solitudine nell’omaggio a Joni Mitchell ed al loro Canada con A Case Of You, oppure quello al Gershwin di ‘S Wonderful. Richiamati gli altri musicisti sul palco la musica diviene più interessante con il richiamo più rock di Temptation del suo idolo Tom Waits e la carrellata finale di standard, interpretati con rispetto e generosità in un repertorio tutto sommato troppo prevedibile ma che conferma la Krall come una delle cantanti con più classe attualmente in circolazione.


Evento di spicco di tutto il mese è senza dubbio la tappa del quartetto di Wayne Shorter per una doppia celebrazione: il ritorno alla Blue Note con lo splendido Without a Net, a circa quarant’anni dal primo disco registrato per l’etichetta americana, e l’ottantesimo compleanno del leader nel mese di agosto. Per l’occasione il sassofonista e compositore americano si è regalato un intenso tour europeo con il suo celebre quartetto, composto da musicisti ognuno dei quali già leader in proprio. Shorter non ha mai vissuto di rendita ma ha fatto della ricerca continua e della sperimentazione l’essenza della propria musica. In tal senso non stupiscono affatto le sue quattro vittorie, proprio in questi giorni, nel prestigioso referendum indetto da Downbeat tra cui jazzista dell’anno, miglior formazione e miglior disco. I quattro salgono sul palco senza fronzoli e presentazioni, si posizionano molto vicini fra loro e, dopo un cenno d’intesa, danno vita senza sosta al primo lunghissimo brano. il concerto inizia sommessamente, con il quartetto che pian piano inizia a far crescere l’intensità di una musica a primo impatto faticosa, difficile e carica di tensione. Shorter si posiziona vicino la coda del piano seguito passo passo da Perez in un dialogo costante, sorretti dalla stellare ritmica, con un travolgente Brian Blade al solito spettacolare ed efficace e un John Patitucci libero di sostenere il tutto con energia e classe. È proprio l’empatia dei quattro, frutto di un gruppo consolidato che suona insieme da anni, ad essere l’elemento vincente in una musica corale che riesce davvero ad emozionare: Shorter alterna il tenore all’amato soprano in interventi essenziali, accenna temi e fa crescere le dinamiche con straordinario carisma, seguito alla lettera dai suoi impeccabili compagni che non hanno bisogno nemmeno di guardarsi per intendersi al volo. È una musica molto fisica che colpisce dritto al cuore e nell’ora del primo brano Shorter regala un riassunto di tutta la sua arte senza risparmiarsi, in una tensione emotiva davvero unica. I brani che seguiranno saranno più brevi, in tutto si conteranno sulle dita di una mano, ma non meno significativi e di impatto. Il sassofonista alla fine appare provato ma felice, concedendo un altro bis finale e lasciando la sensazione di essere di fronte di gran lunga alla migliore formazione di jazz che si possa ascoltare in questo momento.


Tre giorni dopo, il 24 luglio, un’altra stella di primo ordine fa ritorno all’Auditorium con il proprio gruppo, Marcus Miller. Il tour e la formazione del bassista di Brooklyn sono quelle che l’hanno portato in giro per il mondo per presentare il disco “Renaissance”, tour che comprendeva già Roma lo scorso anno poco prima dell’uscita del disco stesso. Anche qui i brani in scaletta inevitabilmente ricalcano a grandi linee quelli contenuti nell’ultimo live ma sono adesso riproposti in modo più libero e spontaneo, divenendo spesso facili spunti per intraprendere nuove direzioni in un repertorio più elastico ed un feeling tra i musicisti più maturo. Si parte con Detroit, seguita da Redemption e Jeckyll & Hyde, con Miller al centro del palco che detta tempi, stacchi e dirige come un direttore d’orchestra dando il là ai vari solisti. Il bassista, che ha sempre abbinato alla tecnica un gran gusto, diverte e si diverte ballando e perfino cantando, sprizzando energia a colpi di slap di un groove ricco di funk. Ogni brano diventa qui il pretesto per lunghi ed estemporanei dialoghi con i suoi giovani e validissimi musicisti che si muovono a proprio piacimento citando Beatles, Rollins così come brani della tradizione napoletana con sorprendente facilità. Ma il sestetto convince anche sui ritmi più lenti e intimi, con una strepitosa versione di Gor?e, aperta da una intensa intro di Miller al clarinetto basso, prima dei coinvolgenti e pirotecnici bis finali di un concerto sempre divertente.


In conclusione del ricco festival la prima assoluta del progetto di Paolo Fresu, Uri Caine e la PMJO Parco della Musica Orchestra nella rilettura di uno dei capolavori della storia del jazz, quel Sketches of Spain nato dalla collaborazione tra Miles Davis e Gil Evans. Il punto di partenza delle partiture ispirate alla musica spagnola è qui molto evidente con il solo trombettista più libero di spaziare in lunghi monologhi come sempre ricchi di poetica e un Uri Caine piuttosto intrappolato nella parte, oscurato dall’orchestra diretta da Mario Corvini. E questo è sicuramente il limite di questa prima che poco aggiunge all’opera pubblicata nel 1960 e che vede i momenti più alti proprio nei dialoghi a due tra il flicorno di un Fresu comunque ispirato e il piano di Uri Caine, splendida spalla dal tocco sopraffino ma troppo in ombra.


Ad inizio mese, all’interno della breve rassegna Meet in Town orientata alla musica elettronica e nuove sonorità, ha trovato spazio il progetto della Crew di Martux_m , con la presenza degli scandinavi Nils Petter Molvaer alla tromba e Eivind Aarset alle chitarre e computer, ed il nostro Francesco Bearzatti al sassofono. Qui le atmosfere sono artefatte, glaciali e ricche di basi asettiche, dove i nostri spaziano con soli distorti che faticano a dar corpo a dei momenti di libera improvvisazione fine a sé stessa, non risultando mai in fondo convincenti. La seconda parte della serata ha visto poi protagonista il gruppo neozelandese Fat Freddy’s Drop che si mette in mostra più per l’apparenza che per la sostanza, dando vita ad un dub contaminato di pop, lontano parente dei sound giamaicani o inglesi ben più potenti e coinvolgenti.