Foto: Fabio Ciminiera
Jazz via Twitter: Vittorio Sabelli.
Vittorio Sabelli è stato l’artefice di The Dark Side of The Wall, un lavoro molto articolato e naturalmente a cavallo tra generi e linguaggi. Si parte dal rock dei Pink Floyd e da una certa attitudine jazzistica della formazione: il clarinettista ha poi “coinvolto” altre sonorità e intenzioni musicali per dare corpo ad una rilettura che non fosse semplicemente un omaggio, ad una rivisitazione che utilizzasse come punto di partenza un materiale estremamente conosciuto e amato per una esplorazione espressiva decismanete ampia.
Ne abbiamo parlato con lui nel primo incontro della serie Jazz via Twitter: l’intervista è avvenuta in diretta e in pubblico sul social network e il testo che trovate di seguito è – salvo poche piccole correzioni dovute alla scrittura veloce e alla ricompoosizione delle risposte – quello che è andato in onda su @jazzconvention giovedì 17 ottobre 2013. Potrete ritrovare il testo cercando l’hashtag JC_SABE che ha contraddistinto il dialogo. Le regole per orientarsi nel filo del discorso si possono trovare al link.
Jazz Convention: Diamo il benvenuto su a Vittorio Sabelli e da questo momento prende il via l’intervista
Vittorio Sabelli: Grazie a nome mio e della R-Evolution Band per quest’incontro via twitter.
JC: Come nasce l’idea di The Dark Side of the Wall?
VS: Nasce in primis da un amore profondo nei confronti dei Pink Floyd ed in particolare del loro capolavoro, The Wall. Ho sempre desiderato “affrontarlo” a modo mio sin da quando mio zio mi regalò il vinile che custodisco gelosamente, ma il mio percorso musicale finora non me l’aveva mai permesso. Finalmente sono riuscito in questa impresa, considerando i due anni di lavoro – sei mesi solo di ascolto e studio dell’opera – ed eccoci qui a parlarne.
JC: La formazione: intorno alla R-Evolution Band hai coinvolto cantanti e ospiti provenienti da generi diversi.
VS: È scontato dirti che non avevo bisogno di star ma di musicisti veri disposti a sacrificarsi tanto, ancor prima di iniziare le sessioni di prove. Non è un disco “improvvisato” come i miei precedenti e, proprio per questo, ci tenevo che fosse per quanto possibile perfetto. Ognuno dei musicisti ha dato il proprio contributo, e il disco ha preso nuove forme e strade diverse che si sono a loro volta evolute in un maniacale lavoro in studio: quattro mesi di sperimentazioni per cercare di ottenere il miglior risultato possibile Mentre l’inserimento di vocalist metal, voce femminile, percussioni e trio d’archi è stata la conseguenza naturale dell’evoluzione del progetto, per evidenziare e differenziare i vari episodi.
JC: A questo punto, i nomi dei tuoi compagni d’avventura, sia i musicisti della R-Evolution Band che gli ospiti.
VS: Oltre al sottoscritto, la formazione base è composta da Marcello Malatesta nella doppia veste di fonico e tastierista, CPU programming e Synth; Svedonio: chitarre e bouzouki; Graziano Brufani basso e contrabbasso; Oreste Sbarra alla batteria. Mentre gli ospiti sono Ilaria Bucci alla voce, Tonino Conte alle percussioni; Claudio Mariani alla chitarra; Paolo Castellitto alla viola; Pasquale Farinacci al violino; Antonio Iannetta al violoncello e le due voci estreme di Angel Malàk e Kemio Nero dei No More Fear, band death metal abruzzese.
JC: Una scelta stilistica che va ben oltre il jazz e il rock dei Pink Floyd e attraversa generi e linguaggi.
VS: Era inevitabile, considerata la lunghezza del disco originale – 26 brani – e considerando anche il mio percorso musicale. Volevo far confluire nel disco tutte le mie esperienze, da quella in banda all’Orchestra Sinfonica con cui ho suonato oltre dieci anni, fino al jazz e alla musica estrema. Una sorta di escursus della mia vita e della mia personale ricerca musicale con la R-Evolution. Era impensabile seguire la falsa riga di The Jazz Side Of The Wall di Sam Yahel, Seamus Blake, Ari Hoenig e Mike Moreno, tarato su un discorso prevalentemente improvvisato. Mentre The Dark Side Of The Wall è l’esatto opposto: molta musica scritta e sporadiche sezioni d’improvvisazione. D’altronde la sua organizzazione in 26 brani non poteva esser approcciata con lunghi assoli: sarebbe stata un’odissea e avremmo rischiato un disco triplo.
JC: Nella scelta dei brani, hai seguito, con qualche variante, la scaletta del film. Come mai questa scelta?
VS: Ah si? Non me n’ero accorto. Ho cercato di non tenere i brani distinti singolarmente, ma di seguire un percorso globale che li unisse con un filo conduttore che sta all’ascoltatore individuare. Molti brani sono stati completamente sostituiti da altri che, seppur provenienti da altri ambiti, avevano uno stretto legame con gli originali. Basti pensare a We’ll Meet Again, un brano da cui lo stesso Waters ha attinto le parole per quella che sarebbe divenuta Vera, dedicata a Vera Lynn, che ha reso celebre quella canzone durante il secondo conflitto mondiale. L’intro di clarinetto solo in Goodbye Blue Sky è un frammento de L’abime Des Oiseaux di Messiaen, che va a sostituire il canto degli uccelli. E Messiaen lo ritroviamo nel drum’n’bass di Hey You con il Quatour Pour La Fin Du Temps, scritto durante la sua prigionia nei campi di concentramento. nel 1941, e anche l’idea dell’intro e outro in giapponese è dettata dal triste epilogo del conflitto, che ha segnato profondamente la vita di Waters per la perdita del padre, senza la quale probabilmente non saremmo qui a parlare di The Wall e del suo lato oscuro.
JC: Il titolo del disco e quanto hai detto rivela anche la tua passione per il rock e per le varie forme di metal
VS: È proprio così. Il metal fa parte della mia vita da quando ero adolescente e non ho mai smesso di ascoltarlo. È il mio “hobby” e mi permette di sperimentare nuove forme mescolate con jazz, musica classica e avanguardia. Collaboro con una testata italiana ed è il mio svago nel lavoro, se così possiamo definirlo.
JC: Prima del disco, c’è stata una lunga e corposa operazione di fundraising.
VS: Abbiamo approfittato dell’allora nascente Musicraiser per iniziare a far conoscere il progetto ancor prima della sua registrazione, ed è stata un’esperienza positivissima. Vedere gente che non ti conosce e vuole darti una mano nel realizzare un progetto così ambizioso senza il sostegno da parte di una label, è stato incoraggiante e stimolante. Avere 100 copie prenotate del disco prima ancora di realizzarlo è stato molto positivo per l’intero progetto e per la R-Evolution.
JC: Ultima domanda: dal vivo con quale line up vengono suonati i brani? E con dei concerti totalmente dedicati?
VS: La line-up in sede live sarà composta dal sottoscritto alla voce, sax baritono e alto, clarinetto ed effetti; Marcello Malatesta alle tastiere, programming e synth; Graziano Brufani al basso; Svedonio alle chitarre e Oreste Sbarra alla batteria. Non è escluso l’intervento di qualche ospite durante i concerti come è avvenuto durante la nostra “prima” in apertura al concerto di Billy Cobham al Ficulle Rock Festiva, con Malàk che ha preso parte al live. Naturalmente il live ripercorre il disco con qualche sorpresa. La componente jazz in qualche modo sarà sempre presente.