Intakt Records – CD 223 – 2013
Christoph Irniger: sax tenore, clarino basso
Raffaele Bossard: contrabbasso
Ziv Ravitz: batteria
Dalla quasi imprescindibile fucina di Zurigo (almeno trattando di jazz all’elvetica) si fa avanti un giovale leone dello strumento ricurvo e già troppo denso di lignaggio: particolarmente il sassofono non manca di maestri e modelli e, secondo riferimenti oggi di comodo (non per questo da avallare, e con tutto il possibile tributo non soltanto per i Parker, Adderley, Hawkins ma certamente eccetera fino agli attuali), nel valutare gli influssi del tale nuovo esponente alle attenzioni critiche, il dilemma spesso si gioca più sulle assonanze rispetto a Coltrane o piuttosto Rollins, storicamente riuniti sui solchi di Tenor Madness ma di fatto distinti già allora per temperamento e approccio, e tali mantenutisi nelle conseguenze stilistiche fino ad oggi.
Il giovane asso, di formazione ampia e che ha certamente tratto profitto dai suggerimenti di Dave Liebman o Mark Turner, nonché delle animate frequentazioni, tra i tantissimi altri, con Ohad Talmor, Silke Ebehard o Claudio Puntin (giusto per sintesi), manifesta nelle scelte esecutive un intenzionale distacco dagli energici approcci e dagli sperimentalismi di quasi tutti i suddetti, mostrando di voler operare più di quieto cesello rollinsiano, come con coerenza manifestato dal complessivo opus di Gowanus Canal.
Pertanto, spiccato un grande balzo dalle lande transalpine per fare base a New York ed arruolando il batterista d’origini israeliane Ziv Ravitz (tra i più recenti sostegni ritmici di Lee Konitz o Yaron Herman) ed il contrabbassista losangelino Raffaele Bossard (piuttosto solerte nel guidare la sua Junction Box), ha costituito un trio di valida dizione, oltre che training completo, sperimentato nelle tangibili sintonie.
«I brani in quest’album celebrano la melodia, per una volta senza degenerare nel triviale: questi poemi dimostrano che melodie accessibili e mondi tonali complessi non necessariamente si escludono a vicenda e possono di fatto conferirsi senso reciprocamente.»
Suggestivamente sostenuto dall’elastica maestria di una versatile ritmica, di flagrante assimilazione delle movenze e delle timbriche più tipicamente afro-americane (non tacendo, nel dettaglio, delle articolate trame di drumming e dell’eloquenza “parlante” delle corde basse), a proprio agio con le intonazioni umoristiche di certe facce da palcoscenico del bop, e non ignaro delle rivolte stilistiche sortite alle soglie dell’irruzione del free, Irniger in questa sua terza uscita da leader, mantenendosi alieno da trovate last-minute e mantenendo il sound d’insieme alquanto spoglio d’ammiccamenti trendy, declina con agio un bop di classica fluenza, ma che garantisce solida spettacolarità dosando senso tattico della sorpresa, esplicitando nel suo solismo un soffiatore di temperanza che ben raramente ricorre ad aspre prese di corpo o irruenze verbali, non astenendosi da funzionali formalismi ma prediligendo e palesando manierato vigore.