Foto: la copertina del disco
Black Palm, la nuova “creatura” dei Vertical!
Black Palm è il nuovo disco dei Vertical, un gruppo che fa del divertimento, della gioia di suonare la sua missione. Sono una miscela di funk, jazz, acid jazz, rock/blues e soul. Ti impattano sin dal primo giro armonico. Ti inducono a pestare il piede se sei seduto, ad agitarti se ti aggiri nei pressi di uno stereo. Hanno un groove tosto, che trapana le superfici e spinge piacevolmente all’ascolto. Sentiamoli!
Jazz Convention: Raccontateci di voi: quando e dove nascono i Vertical?
Vertical: I Vertical nascono da un idea di quattro amici, neanche maggiorenni, che ascoltano musica e sono convinti che tramite le note e il suonare assieme è possibile passare delle sensazioni, delle emozioni e creare delle situazioni “magiche”. I luoghi che preferivamo per i nostri incontri erano solitamente bui e umidi scantinati.
Jazz Convention: Il nucleo iniziale del gruppo è lo stesso di oggi? Chi sono i componenti?
Vertical: Dal nucleo iniziale i componenti sono cambiati per i motivi più disparati, ma tuttora Alessandro Lupatin alla batteria e alla voce, Filippo Rinaldi al basso, Nicola Tamiozzo alla chitarra e Paolo Bortolaso alle tastiere mantengono l’amore per gli scantinati… Questo è il nucleo della band. Quasi tutte le composizione sono nate dall’incrocio di queste menti. Ci affiancano dando il loro splendido contributo artistico – sia su disco che dal vivo – Antonio Gallucci al sax contralto e baritono, Andrea Gastaldon al sax tenore, Massimo Tuzza alle percussioni e Kenneth Bailey al sax contralto e alla voce.
Jazz Convention: Venivate tutti da una stessa esperienza musicale o vi ha aggregato il progetto e la musica da suonare?
Vertical: Direi che ci ha aggregato il progetto. Ognuno di noi ascolta diversa musica e ovviamente a periodi ne predilige uno stile. Per questo è difficile definire un “genere” all’interno della musica che componiamo, dal momento che i brani spesso nascono da jam in sala prove o da un’idea che però viene smontata e rimontata da tutti i componenti. È un processo creativo alla volte lungo, nel senso che alcuni brani vengono completati mesi dopo la loro prima stesura, e a volte velocissimo, proprio quando dopo un’ora di jam, telepaticamente, ci prendiamo per mano e andiamo tutti verso una direzione.
Jazz Convention: Che definizione date della vostra musica?
Vertical: Il filo conduttore che può esserci tra i brani è sicuramente il groove. Per il resto è veramente difficile dargli un “etichetta”. Certo è che i riferimenti sono molto chiari, il blues, jazz, funk, soul e beat.
Jazz Convention: Un resoconto della vostra attività dopo dieci anni di Vertical?
Vertical: La musica ci ha portato a contatto con un sacco di persone che ci hanno regalato delle esperienze fantastiche. Abbiamo potuto conoscere artisti eccezionali che ci hanno insegnato moltissimo e anche tante altre persone che con il loro entusiasmo ci hanno stimolato a continuare a comporre e suonare della musica. Abbiamo incontrato molte difficoltà ma alla fine ci divertiamo troppo. Stiamo già scrivendo il prossimo disco.
Jazz Convention: Avete appena pubblicato Black Palm. È il secondo disco con brani tutti originali. Ce li potete descrivere in breve?
Vertical: A parte un loop di “root down”, un piccolo tributo a Jimmy Smith – e ai Beastie Boys – il resto dei brani sono tutti originali. Il disco apre con Divo che è un black groove di basso batteria e chitarra tutto da ballare dove l’hammond saltellando singhiozza un tema che esplode in un bridge, e poi in un ritornello capitanato da un sample vocale. Il secondo brano, New World, cambia aspetto, non più hammond ma passiamo a rhodes e beat più sincopati, sezione ritmica colorata da bongos, drum’n’bass o new jazz. Si chiama New World perché è una composizione molto diversa da quello che avevamo fatto fino ad ora. Abbiamo messo Tispari come terza traccia perché il tre è un numero forte. Nasce da un idea ritmica in dispari che supporta un tema saggiamente semplice e molto cinematografico. Un pezzo romantico e forte allo stesso tempo. Forse uno dei nostri brani preferiti. Per la parte di archi abbiamo usato una vecchia string machine modulata con qualche effetto. La prossima volta ci piacerebbe avere un quartetto per integrare anche le sonorità degli archi veri. Watcha Gonna Do è la nostra prima produzione cantata. La collaborazione con Kenneth Bailey ha creato questo brano, un funk nerissimo con soluzioni soul e acid-jazz abbastanza classiche. Suona fresco grazie alla verve dell’improvvisazione e alla potenza di Kenneth. Torniamo di colpo all’Hammond Beat con Parco Moscerini. Ci piace inserire ogni tanto dei pezzi semplici, felici e tirati. Funziona molto bene live perché ha presa su un pubblico danzante ed è comoda anche per riarrangiarla al momento.
Jazz Convention: E qui siamo a metà disco…
Vertical: Si, infatti. Poi arriva Putiferio, altro pezzo che dal vivo rende molto. Brano compatto e potente. È più rock che funk, ignorante al punto giusto per permetterci di suonarlo con dinamica e convinzione. Black Palm da il titolo al disco in quanto è il brano in cui l’interplay tra di noi è stato necessario e lo è ogni volta che si suona. L’ispirazione è sicuramente Scofieldiana, anzi Medeskimartinwoodiana. Quella nel disco è la versione più sudata che ci è riuscita in due giorni di studio. Root Down, riarrangiata per soli fiati, è venuta così. Tra diversi take di prova è nata questa improvvisazione sul groove di Jimmy Smith. Ci piaceva tenerla come apertura di Gris Gris (il brano successivo) per rilassare l’udito con le sole frequenze degli ottoni. È su Gris Gris infatti che lasciamo più spazio alla sezione fiati e alle percussioni. Questo brano voleva essere un tributo all’afrobeat di Fela Kuti, ma cercavamo di dargli una chiave un po più moderna con i synth ad intrecciare la sezione fiati e la batteria in un simil loop. Dopo diversi take abbiamo lasciato improvvisare la sezione e abbiamo capito che quella era la strada giusta. L’ultimo take 900 funge da ghost track. Ascoltando il materiale registrato siamo rimasti colpiti da questo take notturno ripreso per sbaglio in studio mentre tutti dormivano. L’effetto della ghost track cerca di ricreare quella situazione onirica. Speriamo sempre che chi acquista il disco lo lasci andare senza premere stop, così che ad un certo punto venga colto da 900 e che per un po’ non si renda conto di che cosa stia succedendo. Come in un sogno.
Jazz Convention: Cosa c’è di diverso in Black Palm rispetto alla produzione precedente?
Vertical: Sicuramente più consapevolezza nella creazione e nell’improvvisazione, una scelta più ampia e curata dei suoni, idee insolite e più groove.
Jazz Convention: Il futuro dei Vertical?
Vertical: Le strade che ci piacerebbe percorrere sono tante. Stiamo cominciando a integrare l’elettronica per sondare anche quel territorio; contemporaneamente però ci piacerebbe comporre della musica cantata per aggiungere un messaggio verbale. Non ultima la voglia – e anche la necessità – di un set più acustico anche per proporre il repertorio in location più “soft”.