Material Records – MRE 036-2 – 2012
Max Frankl: chitarra elettrica, chitarra acustica
Nils Wogram: trombone
Domenic Landolf: sax tenore, clarino basso
Pablo Hels: pianoforte, Fender Rhodes
Matthias Pichler: contrabbasso
Silvio Morger: batteria
Una generazione di neo-interpreti delle sei corde, estensibile ad esempio dal danese Lage Lund all’israeliano Oz Noy fino al bavarese Max Frankl, sembra voler apportare correnti fresche e nell’insieme piuttosto rassicuranti nell’ambito della fusion di accessibile corpo melodico.
Di formazione europea, articolata tra Svizzera e Paesi Bassi, protégé e seguace di Wolfgang Muthspiel (a parte il raccordo della comunanza d’etichetta) nonché Kurt Rosenwinkel, nel “domestico” progetto discografico qui all’ascolto il trentenne Max Frankl riunisce un sestetto di talenti a crescente affermazione e anch’essi d’eminente formazione continentale.
Poco centrato, o comunque insoddisfacente risulterebbe un paragone dello stile complessivo del titolare agli ispiratori fratelli maggiori, essendo l’arco generazionale che inanella i Hall, Abercrombie, Scofield, Stern, Frisell, Metheny, Goodrick etc. qui rappresentato di riflesso dal tocco e dalle vedute del chitarrista che, molto più nella scia del mentore Muthspiel, dà predilezione ad un’esposizione manierata e a un approccio teoretico, ma le cui elaborazioni in fase compositiva non ostano la fruizione dell’ascolto.
«È l’onestà il segreto di una valida composizione» condivide il giovane solista «quando il compositore si pone sempre alla ricerca di ciò che lo rende pienamente entusiasta. Può anche impegnare per lungo tempo la ricerca di una piccola cellula musicale e lo sviluppo in un pezzo di estensione completa: nondimeno, è molto importante non accontentarsi di niente di meno di un grande ed euforizzante feeling».
Note programmatiche mantenute peraltro nella costruzione di Home e, forti di duttile fraseggio e fitta tessitura melodica, oltre alle piacevoli cornici degli arpeggi in acustico, ricercate nella dispensazione d’armoniche, toccate da solarizzazione temperata e tratteggi di distillata eleganza, di progressione accorta nella scelta dei tempi espositivi, le calibrazioni di Frankl guadagnano formali punti di forza nel completarsi, in dialogo e interplay, con le voci puntuali, d’agilità e di corpo degli strumenti a fiato, di discorsivo e crudo camerismo, e di cui si recupera la doppia anima ed eloquenza accademico-jazz.
Sensibile ed efficiente il bel corpo della sezione ritmico-armonica, di elastico incontro nella meccanica di sviluppo melodico, fluidamente tenuta dalla batteria di palese matrice fusion (con ampie reminiscenze da Gottlieb a Blade), dal basso rotondo e di valida articolazione solistica e dalle indaffarate tastiere, di cadenza puntuale come, nell’esito complessivo, tutta la line-up coinvolta.
Allorché le sortite d’insieme si fanno più presenti e squillanti, non viene turbata nella sostanza l’equazione alla base della legge degli equilibri del chitarrista-autore; le uscite in solarità, non rare peraltro, o gli interventi relativamente più grintosi si caratterizzano per il rispetto individuale che non omette di valorizzare l’avvicendamento delle parti; i passabili sospetti di deriva “jazzy” sono nella sostanza fugati dal solido senso costruttivo e d’impianto, e nei momenti di più grave “pesantezza” e in cui non si esita ad intorbidare il sound il tutto permane contenuto e “ripulito” dalle equilibrate cornici d’insieme.
«È musicalmente importante per le mie composizioni che la musica riesca a narrare una storia, dagli assoli al feeling che il brano trasmette». Deliberatamente “centrista” nella posizione stilistica e nella ricerca estetica, mai banale o gratuitamente accattivante, anzi per lo più serioso e concreto senza per questo difettare in sottigliezza, Max Frankl si mostra forte di un’assimilazione colta e relativamente distaccata dalle meno deteriori sementi ed espressioni dell’ampio domain della fusion, mantenendo nella sostanza ed esplicitamente nella forma i propositi di nitore narrativo e ordinata ricerca.