Emanuele Parrini, un Jazzista al centro del violino

Foto: Gianni Grossi










Emanuele Parrini, un Jazzista al centro del violino.


Emanuele Parrini, violinista virtuoso ed eclettico jazzista, ha pubblicato un disco di notevole interesse per violino solo intitolato Viaggio al centro del violino Vol.1 . È un disco di qualità eccelsa che mette in risalto la bravura di un musicista irrequieto, sperimentatore e che, in definitiva, riflette la sua personalità artistica.



Jazz Convention: Com’è nata la tua passione per il violino?


Emanuele Parrini: La passione nasce da bambino, grazie al violino di mio nonno, strimpellatore d’occasione. Grazie a lui e a quell’oggetto “misterioso” tirato fuori nelle occasioni più speciali, mi sono avvicinato alla musica. All’inizio, come tutti i bambini, per gioco, poi sotto la guida degli insegnanti del periodo, Gustavo Rossi ed Antonio Cavallucci. Ho sempre pensato che un buon insegnante sia quello che riesce a dare basi solide senza farlo pesare e a trasmettere passione per ciò che insegna.



JC: In Italia non siete in molti a suonare il violino in ambito jazz, perchè hai scelto questa musica e non la classica, per esempio?


EP: I grandi amori hanno tutti una componente irrazionale ed istintiva. È scattata una scintilla che mi ha spinto a voler sapere tutto. Con curiosità e passione, mai sazie, ho approfondito i vari aspetti: la tecnica, la storia, i personaggi, gli album… Come ho già detto prima, penso che siano importanti i Maestri: è fondamentale avere qualcuno che ti consiglia, che ti fa scoprire le cose e te le spiega. Nel mio caso aver avuto uno zio ed un cugino appassionati di jazz, con cui scambiavo dischi ed andavo ai concerti, ha indubbiamente pesato. Altrettanto importante è stato Giulio Libano che veniva da Milano ad Orbetello per dirigere l’orchestra della scuola di musica dove studiavo e che, per primo, mi ha fatto suonare brani come Take the A Train o Moon River. Certo, studiavo la Classica che mi ha dato tecnica e disciplina, ma nel Jazz ho trovato la musica più vicina a me. Di sicuro per lo swing, ma soprattutto per il suo lato creativo ed estemporaneo (in seguito ne avrei approfondito il linguaggio, l’impegno sociale e politico). Il violino ha sempre fatto parte del mondo del Jazz, sin dalle sue origini. L’evoluzione della sua grammatica va quindi di pari passo con l’evoluzione del Jazz stesso. Aver ascoltato grandi interpreti come Stephane Grappelli, Jean Luc Ponty o Leroy Jenkins mi ha incoraggiato ad intraprendere un percorso che con grande arte e determinazione loro hanno reso possibile. Questo per dire che ho vissuto in maniera molto naturale e spontaneo il suonare Jazz con il violino, ho cercato di unire lo strumento che suono alla musica che amo. Crescendo, poi, aumentano le conoscenze e di conseguenza anche le contaminazioni. Con la maturazione sono stato influenzato da contesti non necessariamente legati al Jazz o alla musica. Prendi, ad esempio, l’album che abbiamo realizzato dieci anni fa con Tiziana Ghiglioni, Rotella Variations. Lì il concetto di base si sviluppa dall’analisi dell’opera e del processo creativo dell’artista visivo.



JC: A che punto ritieni che sia la tua carriera musicale?


EP: Mi è difficile parlare in termini di carriera, ho sempre guardato alla musica ed ai rapporti con i musicisti come una cosa fortemente intrecciata alla vita. Qualche anno fa, in una conversazione molto confidenziale, Anthony Braxton mi chiese a che punto fossi della mia vita personale e musicale. Parlammo di fortuna. Fortuna di essere lì a suonare insieme, fortuna come premio meritato, fortuna come destino. Gli descrissi il mio smarrimento dopo la morte di Tony Scott, di quanto fossi stato fortunato ad averlo incontrato e di quanto lui si fosse preso cura di me: come se mi avesse accompagnato verso l’età adulta. Un secondo padre che condivideva con me la sua esperienza e la sua musica, che mi ha insegnato ad andare in profondità e mi ha incoraggiato a cercare la mia strada. In effetti quella è stata una fase in cui ho imparato molte cose e far parte di gruppi ben delineati e dalle leadership forti come Dinamitri, le formazioni di Tiziana Ghiglioni o Tiziano Tononi, l’Italian Instabile Orchestra, è stato ed è, tutt’ora, una condizione ideale per crescere e sviluppare linguaggio e personalità. La scomparsa di Tony ha aumentato il senso di responsabilità e l’impegno, il rapporto con la musica si è evoluto, così da far maturare gli stessi rapporti e rendere il mio apporto più partecipativo. Pian piano ti rendi conto sempre di più di come lavoro e studio alimentino creatività e talento e che l’esperienza ti porta a cercare di acquisire maggiore consapevolezza. Comincio a considerare seriamente solo adesso quello che mi disse Archie Shepp: ad un certo punto bisogna cominciare a mettere in discussione i propri modelli. Attraverso un’analisi critica e approfondita bisogna liberarsi dei fronzoli fino ad arrivare al nocciolo della questione: solo dentro noi stessi troviamo gli stimoli e le risorse per evolverci e riuscire a sviluppare le nostre idee.



JC: Viaggio al centro del violino Vol.1, tuo ultimo disco da leader, arriva dopo diversi anni…


EP: È vero! 1974 Io So, Damn if I Know è stato registrato alla fine del 2004 ed è stato pubblicato all’inizio del 2006. Il periodo successivo è stato comunque ricco e sono successe tante cose: si sono consolidati i rapporti con alcuni musicisti, sono nate nuove collaborazioni e poi ho firmato, con gruppi collettivi, dischi come il quartetto d’archi “La Mala Affination” o “Dark Melodies” in duo con Giovanni Maier. Sono tutte esperienze, tra l’altro, che approfondiscono il discorso dell’improvvisazione per gli archi. Mi sono poi occupato, con Dimitri Grechi Espinoza ed i Dinamitri, della produzione degli ultimi due album; è stato pubblicato Vertical Invaders, Trio a nome di Tiziano Tononi con William Parker; sono entrato nei Nexus; faccio parte dell’Italian Instabile Orchestra con cui ho avuto ed ho la possibilità di fare esperienze straordinarie come quelle con Anthony Braxton e Cecil Taylor etc… Insomma, non mi sono mancate le occasioni, anche se, chiaramente, da leader è diverso: sei esposto in prima persona, hai più responsabilità e ti devi occupare di tutto. Non ne faccio una questione di pigrizia o, in alcuni casi, di soldi, ritengo solo che chiunque faccia uscire qualcosa a proprio nome debba avere veramente delle cose da dire. In relazione a questo, mi sento di aggiungere che ” Viaggio al centro del violino” sia arrivato nel momento giusto e grazie anche alle esperienze di cui ho appena parlato.



JC: Come sei arrivato a concepire il progetto Viaggio al centro del violino Vol.1?


EP: Ho cominciato a pensare seriamente al “solo” nel 2008. Avevo considerato l’idea varie volte ed in momenti diversi, ma non mi sentivo mai pronto. Ero convinto che fosse, in qualche modo, un punto d’arrivo, dopo aver acquisito maggiore conoscenza e consapevolezza. Nel 2008 mi fu, appunto, proposto un concerto in solo e ho cominciato a pensare come sarebbe potuto essere. L’idea chiara sin da subito è stata quella di un percorso, un viaggio attraverso quelle che, violinisticamente parlando, erano e sono le mie influenze. Mi sono preparato quindi un “canovaccio” in cui erano presenti brani di Grappelli, Stuff Smith, Urbaniak e di altri, che venivano usati come pretesto per improvvisare (anche i temi erano solo accennati e trasformati dall’improvvisazione) e passavo da uno stile all’altro affidandomi quasi completamente alla creazione estemporanea. I concerti che sono seguiti hanno mantenuto tutti, più o meno, questa impostazione, ma, in realtà, il risultato, nonostante buone performance, non mi convinceva del tutto. Troppe citazioni e ripetizioni nelle idee proposte ed un percorso troppo scostante e poco personale. Non ero soddisfatto, quindi ho cominciato a studiare il modo di strutturare una suite che mi permettesse di essere più vario, di esplorare più dimensioni sonore e, soprattutto, di essere più originale e coerente con me stesso, una suite che mi permettesse di suonare una musica che mi somigliasse di più. Una delle grandi ispirazioni è stato sicuramente Leroy Jenkins, con i suoi lavori in solo, (ma anche con il Revolutionary Ensemble) e poi Anthony Braxton, che come ti ho già detto è uno dei miei riferimenti più forti. Mi sono avvalso anche delle esperienze di alcuni colleghi amici come Giovanni Maier, Paolo Botti e Sebi Tramontana che hanno dato grandi prove di performance in solo. Quando nel 2012 Massimo Iudicone della Rudi Records, mi ha proposto di suonare nella rassegna “Rumori” nell’Isola di Ventotene, con ” Viaggio al centro del violino”, la stesura della suite era quasi nella sua versione definitiva. Il concerto andò talmente bene da farmi prendere in considerazione l’idea di poterlo pubblicare. Ci ho pensato molto, poi, a marzo, dopo le ultime correzioni alla partitura, ho registrato quello che oggi è nel disco. Perchè il viaggio fosse ancora più approfondito avevo bisogno di concludere l’album condividendo questa esplorazione con Paolo Botti e così negli ultimi quattro brani possiamo ascoltare un duo d’eccezione: viola e violino. Alla fine del lavoro mi sono reso conto che quello che avevo pensato essere un punto d’arrivo, non era altro che una nuova partenza. Mi ha dato nuove energie e nuovi stimoli che avevo bisogno di trovare scavando dentro di me e dedicandomi di più alle mie cose.



JC: La musica suonata non è solo jazz, ma si muove attraverso generi diversi…


EP: Sono io… Viaggio al centro del violino è un ritratto fedele di quello che sono io in questo momento.



JC: Che ruolo riveste l’improvvisazione in Viaggio al centro del violino Vol.1?


EP: Attraverso i vari passaggi che hanno portato alla stesura della suite, l’improvvisazione, come ho spiegato poco fa, ha assunto ruoli e ricoperto spazi diversi. Credo che, grazie alla struttura che ho dato alla composizione, io possa andare più in profondità proprio nelle parti di improvvisazione e riuscire a raccontare una storia con più sfaccettature



JC: Ci puoi commentare i singoli brani?


EP: Viaggio al centro del violino – intro: per cominciare la suite volevo partire da un brano che facesse da tramite tra “vecchio” e “nuovo”. In effetti questa intro, che è dedicata a Tony Scott, richiama, citandone alcuni passaggi, i brani “Prologue” ed “Epilogue”, che suono in trio proprio con Tony e Tiziano Tononi nel mio album precedente. Anche in questo caso si tratta di un prologo che anticipa il viaggio vero e proprio.


Viaggio al centro del violino – Viaggio: è una composizione molto scarna, basata su una pentatonica, in cui ho cercato di sviluppare gli insegnamenti ricevuti dai musicisti africani con cui ho collaborato. È il primo brano in scaletta in cui si sente molto forte l’influenza di Leroy Jenkins.


Abstract n°1 / Abstract n°2 : i due brani rappresentano il mio studio e le mie riflessioni sul pizzicato.


The Undecided: è un tema che mi porto dietro da un pò e che ogni tanto riaffiora. È uno dei brani del disco in cui utilizzo un linguaggio libero, ma di derivazione jazzistica.


Are You Ready?: il titolo, come i due temi che lo compongono, richiama il mondo di Amiri Baraka ed ha come riferimento le composizioni articolate del New York Art Quartet e del primo Shepp. Il suo sviluppo invece è del tutto violinistico: sfrutta le cosiddette note vis-à-vis, quelle note che puoi suonare singolarmente mantenendo lo stesso dito su due corde.


Requiem For L.J. – Black Violin: qui l’omaggio a Leroy Jenkins è esplicito: richiamo le esperienze in solo ed in trio con il Revolutionary Ensemble, ma faccio riferimento, soprattutto nel suo svolgimento, anche ad una figura chiave come Braxton. Si passa dalla pace del requiem alla frenesia del fast free attraverso gamme sonore e dinamiche molto diverse tra loro. La composizione (che si può ascoltare anche nel disco Vertical Invaders) fu scritta all’indomani della morte di Jenkins.


Blues P: il mio omaggio personale al Blues.


I quattro brani finali sono in duo con Paolo Botti alla viola. Mixolidian Dance ed In Due: sono due composizioni di Paolo, scelte tra quelle che avevamo già suonato insieme. La prima ha un tema articolato, a tempo e si sviluppa in un dialogo molto serrato tra violino e viola. Crea uno stacco netto con la parte precedente del disco. La seconda è una bellissima ballad giocata su equilibri molto delicati. I Gemelli del Goal: è una composizione estemporanea e rappresenta molto bene l’affiatamento e la complicità che abbiamo io e Paolo; molto breve e molto densa. Beauty Don’t Leave: l’album si chiude con questa ballad dal tema quasi sussurrato che è un altro omaggio a Leroy Jenkins, questa volta a firma di William Parker (anche questo brano si può ascoltare in Vertical Invaders). Anche se non esplicita, come è stato per Leroy Jenkins, ho voluto fare, con questo disco, una dedica ad un musicista speciale a cui sono molto legato per tanti motivi: Renato Geremia. Come puoi osservare, Viaggio al centro del violino è ricco di riferimenti, ispirazioni, omaggi e “Spiriti”, ma allo stesso tempo racconta molto di me e del mio mondo.



JC: Come ti è venuta l’idea di affiancare la viola di Paolo Botti?


EP: Innanzitutto Paolo Botti è un musicista straordinario, compositore ed arrangiatore raffinato ed uno dei pochi specialisti della viola in circolazione. È uno dei miei migliori amici, uno di quelli a cui guardo con grande ammirazione, che ha sempre portato avanti la sua storia con determinazione e dedizione. Uno dei pochi che condivide con me le difficoltà di riuscire a creare un proprio linguaggio in un ambito come quello jazzistico e della musica improvvisata, tradizionalmente ostico per gli strumenti ad arco. Non a caso con lui e Giovanni Maier abbiamo dato vita ad un trio (“Hic et Nunc”) e con l’aggiunta di Salvatore Maiore al violoncello, ad un quartetto (“La Mala Affination” ed il recente “Soffio Primitivo” di Roberto Ottaviano) di soli archi. Insieme abbiamo fatto “sezione” nelle formazioni di Dimitri Grechi Espinoza, Silvia Bolognesi, Christian Thoma, Luca Garlaschelli e del doppio quartetto di William Parker per la sua “Alphaville Suite”. Mi è sembrato, quindi, naturale e fondamentale il suo coinvolgimento in questo viaggio dedicato all’esplorazione del mondo del violino.



JC: Quando arriva il secondo volume di Viaggio al centro del violino?


EP: Viaggio al centro del violino è un progetto ampio, “aperto” per essere più preciso. È una ricerca dell’essenza e delle possibilità espressive di questo strumento. Ho sempre pensato che la vera rivoluzione avvenga attraverso il linguaggio. Andrò alla scoperta delle varie possibilità di scomporre e ricomporre le cose con il mio violino, con il supporto di altri strumenti, pochi o tanti, magari reinterpretando anche gli stessi brani.