Slideshow. Paolo Mòsele

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Slideshow. Paolo Mòsele.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Paolo Mòsele?


Paolo Mòsele: Paolo Mòsele è un musicista torinese, con studi di organo e composizione organistica presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. Forse proprio dal legame verso questo particolare strumento, l’attrazione verso l’armonia e agli impasti sonori, ho sempre avuto una particolare attenzione verso le voci e i suoi utilizzi. Nato nel 1963, seppur piccolo, ho ancora avuto la fortuna di vedere le belle produzioni Rai, dove esistevano ancora le orchestre dirette da Kramer, Luttazzi, Ferrio e Canfora, dove i Cetra mi incantavano con le loro armonie e contrappunti e Luttazzi con la sua ineccepibile eleganza e poliedricità artistica.



JC: E ora chi sono o cosa sono le Voci di Corridoio?


PM: Le Voci di Corridoio, sono un quartetto vocale ma soprattutto quattro grandi amici insiemi da più di vent’anni. Pur arrivando tutti da esperienze musicali molto diversi, hanno un comune denominatore: lo swing e sicuramente un vissuto comune al quale prima accennavo. Da qui forse la necessità di ricantare e riproporre un genere ascoltato dai nonni, tramandato da un papà cantante, ascoltato nei mangiadischi e visto in tv. Non a caso i primi ai quali abbiamo scritto nel 1993, sono stati proprio Virgilio e Cia dei Cetra, che non solo ci hanno telefonato, ma in occasione di una loro visita a Torino, hanno desiderato venire un giorno prima accettando un nostro invito a cena. La serata fu galeotta e li nacque l’idea del nostro nome Voci di Corridoio che ancora non avevamo…



JC: Mi racconti ora della vostra attività discografica e concertistica?


PM: Il nostro principale obbiettivo sono sicuramente i concerti. Pur coscienti delle attuali difficoltà e di quanto non sia facile proporre un gruppo di sette musicisti (quattro voci e un trio strumentale),non ci perdiamo d’animo. Abbiamo iniziato nei primi anni ’90, quando nessuno considerava lo swing italiano e un po’ controcorrente rispetto ai nostri coetanei che facevano altri generi (le due sorelle Bacciolo stesse, erano le Voci delle Funky Lipps, un noto gruppo rock femminile torinese) Ora, dopo anni, molti cantanti hanno riscoperto il nostro passato e i giganti nostrani che abbiamo avuto. Nel nostro caso, crediamo di non aver inventato nulla e non ci teniamo sottolineare che non ci sentiamo cloni dei Cetra. Il nostro è solo un desiderio/necessità di portare a 4 voci lo swing italiano, di cantarlo e senza presunzione, di immaginare un nostro piccolo contributo alla memoria per i più giovani che stanno riscoprendo Luttazzi, Jula de Palma, I Cetra, Kramer, Natalino Otto.



JC: Paolo, il tuo primo ricordo che hai della musica?


PM: Il più remoto che possiedo, anche se la musica era forse solo nella mia testa, è quando nella camera da letto dei miei genitori, aprivo sfalsati i due cassetti del comò ed immaginavo di suonare le tastiere di un grande organo a canne…



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista?


PM: I miei genitori, su mia richiesta mi portavano ai concerti dell’auditorium rai ogni venerdì, ma soprattutto non c’era concerto d’organo al quale non chiedessi di andare. Ma la mia formazione non è stata solo classica, perché mio fratello di dieci anni superiore, aveva un gruppo dove cantava e suonava la chitarra. Spesso su richiesta di mia madre, in estate mi portava con lui alle prove (non credo fosse molto contento). Avevo sei o sette anni e dopo aver rotto le scatole a Guido l’organista, venivo seduto davanti alla cassa della batteria, per tenerla ferma. Ma li mi sono entrati i primi brani, forse anche un po’ sconosciuti per la mia leva: i Beatles, i New Trolls, ma soprattutto In a gadda da vida degli Iron Butterfly.



JC: E in particolare un cantante jazz?


PM: Quella del cantante e stata successiva, prima di dar vita alle Voci di Corridoio ho diretto per 7 anni il coro polifonico Musica Enchiriadys, da dove proviene Fulvio, l’altro cantante del nostro quartetto. Già quando dirigevo avevo il vizio di canticchiare le parti, cosa che un direttore non dovrebbe mai fare… poi la voglia di armonizzare dei brani si è unita alla mia passione per lo swing e così anche di cantarlo. Sono nate così le Voci di Corridoio.



JC: Si può definire jazz lo stile delle Voci di Corridoio?


PM: Sicuramente una caratteristica del jazz fa parte del nostro stile, ovvero lo swing. Non esiste nei nostri brani l’improvvisazione, che è invece nel jazz una peculiarità. Le Voci di Corridoio sono più simili ad una big band che esegue delle parti scritte, dove tra noi e gli strumentisti ci sono stacchi, passaggi e obbligati concordati nell’arrangiamento.



JC: Ma cos’è per te, Paolo, il jazz?


PM: Lascerei questa definizione a chi ha sicuramente più voce in capitolo di me. Io sono un vero onnivoro della musica, pur facendo il musicista nella vita, per mio rifiuto e sicuramente ignoranza, conosco pochissimo i generi e le definizioni. Posso unicamente dire che la mia reazione a ciò che mi piace musicalmente, sia jazz, classica o altro è il riconoscere di provare lo stesso tipo di pulsione interna.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


PM: Sarò molto “old” nei gusti e forse mi sento molto vicino ai neri di New Orleans, ma la mia associazione alla musica jazz è soprattutto Ritmo.



JC: Tra i brani che hai cantato ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?


PM: Conosci mia cugina? – il primo boogie woogie italiano, ma soprattutto il primo arrangiamento delle Voci di Corridoio.



JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?


PM: La Messa in si minore di Johann Sebastian Bach.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


PM: Sono tante le persone a cui devo la mia formazione come musicista e come uomo. Sicuramente il mio insegnante di organo , Guido Donati è stato importantissimo, ma anche tanti incontri hanno segnato la mia direzione, come quello con Virgilio Savona che ci ha dato tante indicazioni e trucchi del loro lavoro. Ultimamente una grande amicizia con Jula de Palma e suo marito Carlo Lanzi, con i quali, quasi ogni settimana ci si trova su skipe (abitano a Toronto da 30 anni) è diventata una cosa talmente preziosa, che abbiamo voluto fissarla sul prossimo disco che uscirà dopo l’estate.Una monografia su Lelio Luttazzi, dove Jula ha voluto ricantare con noi ben due brani. Nel disco sarà presente anche un brano cantato con Lelio Luttazzi. La concessione di questo brano e l’utilizzo della voce di Lelio, è stato un regalo della moglie Rossana, per aver ideato due anni fa il cofanetto Il cinema di Lelio Luttazzi (Blue Serge), una raccolta delle maggiori colonne sonore scritte e dirette dal maestro triestino e dove l’amico Ugo Nespolo ci ha regalato la copertina.



JC: E i gruppi vocali che ti hanno maggiormente influenzato?


PM: Il mio legame per questioni stilistiche, è sicuramente con i gruppi vocali di un certo periodo storico. A parte i Cetra, per i motivi già citati, i Four Freshmen, The Modernaires, ma anche i Manhattan Transfer. Pur apprezzando molto i tanti gruppi vocali a cappella, anche in Italia ne esistono di stupefacenti, dopo l’ascolto dei primi brani mi stufo. Ho un mio concetto sulla voce e sono sicuramente un po’ retrò, ma dopo un po’ ho la necessità uditiva che basso e batteria siano reali e non imitati da voci.



JC: Nel vostro repertorio c’è molto del compianto Lelio Luttazzi: cosa ci dici di questo grande musicista solo ora sdoganato?


PM: Ricordo quando Lelio ebbe il grave incidente giudiziario, dal quale non si riprese mai più. Tanti racconti della sua sofferenza privata li ho proprio avuti da Rossana Luttazzi. Il mio ricordo è quello di un bambino che non capiva questioni di droga a quei tempi. Ricordo che lo seguivo con ammirazione e poi sparì. Chissà cosa avrebbe ancora potuto produrre. Nello swing di Lelio e nelle sue canzoni, nelle quali non bisogna dimenticare la penna del grande Leo Chiosso per i testi, con le Voci abbiamo ritrovato un modo di fare uno swing spumeggiante con un grande ironia. Come succede anche per i Cetra, andando a rileggere i loro brani, ti accorgi come le cose le dicessero! Eccome se le dicevano, in modo estremamente sottile ed elegante, come allora si faceva (o si poteva) senza necessità di identificarsi per “nuovi profeti”, come spesso oggi accade per tanti cantanti e rapper.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


PM: A distanza di anni, dopo la collaborazione tra di noi, non posso che rispondere: con i mie amici delle Voci. L’elemento amicale, ma vorrei dire fraterno, per me è fondamentale. Io faccio gli arrangiamenti, ma spesso vengono precedentemente analizzati ed ognuno da veramente un grande contributo con la sua sensibilità. A me sta poi la parte più artigianale delle soluzioni armoniche. Mi ha fatto un grande piacere spesso scoprire, com’è stato nel caso dell’ultimo cd Edizione straordinaria, come tanti amici, anche enormi musicisti del nostro panorama musicale, ci conoscessero ed abbiano accettato di prendere parte al lavoro. Il nome del cd, oltre che giocare su una frase tipicamente anni ’50 è dovuto proprio all’eccezionalità di queste presenze, come Fabrizio Bosso, Francesco Cafiso, Caparezza, Alberto Marsico, Alberto Varaldo, Diego Borotti e tanti altri.



JC: Conosci Vercelli? Come sarà il vostro concerto davanti alla Basilica?


PM: A Vercelli ho due cari amici che spero proprio di vedere la sera del concerto. Uno di questi ci aveva invitati anni fa a cantare in piazza per la festa dell’Epifania. Non ricordo il repertorio, ma il grande freddo e ì l’emozione dei bimbi quando il vigile del fuoco, travestito da befana si è calato dalla torre campanaria.



JC: Come vedi la situazione della musica e più in generale della cultura in Italia?


PM: Non posso che rispondere drammatica. Questo non solo per la condiziona economica ed i tagli che si fanno alla cultura in generale, ripeterei cose già dette da artisti di grande talento di cui siamo ricchi. Nello specifico, credo che la televisione commerciale, in questi ultimi 25 anni abbia creato un grave danno culturale ai più giovani. Ora in televisione, a parte in qualche rara trasmissione in orari proibitivi, non è più fatta da fuoriclasse della musica, del teatro e dello spettacolo in genere. I programmi sono fatti dalla gente comune, dove il congiuntivo è diventato un optional. Artisti bravi ne abbiamo, ma a volte sembra manchi la pluralità e la voglia di presentare nuovi artisti e progetti, sfruttando sempre gli stessi… Adesso è il momento dei Talent sui quali preferisco non commentare.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


PM: Il primo obiettivo è l’uscita del disco su Lelio Luttazzi, che vogliamo presentare anche a Roma a novembre, dove la Fondazione Lelio Luttazzi, inaugurerà ai Fori di Traiano la mostra su Lelio. A marzo ci attende un’altro interessante concerto che ci è stato proposto da Enrico Intra a Milano. Per l’edizione Jazz al Piccolo, faremo un concerto con la Civica Big Band e Franco Cerri dedicato al Quartetto Cetra e al loro mondo musicale.