Foto: Fabio Ciminiera
Jazzwerkstatt @ Institut Français Berlin.
Berlino, Institut Français – 15.11.2013
Wolfgang Schmidtke: sassofoni
Benjamin Schäfer: pianoforte
Gert Anklam: sassofoni
Volker Jaekel: pianoforte
Attitudini differenti per la stessa formazione. Un doppio concerto, affidato a due incontri di pianoforte e sassofoni, entrambi indirizzati verso una ricerca libera da schemi precostituiti e verso un’idea di improvvisazione creativa di chiaro stampo europeo e radicale, ma con una diversa disposizione programmatica degli elementi. Se il set proposto da Gert Anklam e Volker Jaekel si è costruito secondo il rispetto della pagina scritta e di una precisa griglia di soluzioni predisposte dai due musicisti, l’esibizione di Wolfgang Schmidtke e Benjamin Schäfer si è sviluppata secondo un flusso sonoro estemporaneo, legato al dialogo innescato dai due protagonisti.
In entrambi i casi il pianoforte è stato sottoposto ad una intensa “manipolazione” timbrica e sonora. La preparazione dello strumento, in primo luogo, così come la propensione di entrambi i pianisti a pizzicare le corde, ma anche l’attenzione di entrambi i sassofonisti al dialogo timbrico con lo strumento, in particolare la scelta di Anklam di suonare il sassofono spesso rivolto alla cassa armonica del pianoforte e sfruttare gli incontri degli armonici delle corde: tutti elementi utili a modificare le convenzioni e le abitudini del suono e a dare risvolti meno definiti all’incontro tra due strumenti estremamente temperati. E anche questa formula viene utilizzata secondo le attitudini delle due coppie: se Schmidtke e Schäfer lasciano che sia il dialogo a richiedere le diverse interazioni, Anklam e Jaekel predispongono preparazioni e oggetti in modo predefinito per creare spazi indeterminati sui quali poi trovare le chiavi per improvvisare. L’esempio più lampante – perché allo stesso tempo divertente e ben centrato dal punto di vista sonoro – è nelle atmosfere vietnamite riprodotte dall’inserimento di palline di plastica leggera all’interno della cassa armonica, palline che naturalmente prendono a volar via nei passaggi suonati in modo più energico da Jaekel e creano così un doppio effetto – musicale, con il richiamo degli strumenti e delle atmosfere orientali, e scenografico, con le traiettorie percorse dalle palline – e aggiungono un elemento di sorpresa per il pubblico e di imprevedibilità per i musicisti.
Schmidtke, ritratto nella fotografia, e Schäfer sono stati i primi ad esibirsi nella Sala Boris Vian dell’Istituto di Cultura Francese di Berlino. Il loro dialogo si sviluppa libero da partiture e definizioni stringenti: sassofono e pianoforte seguono il flusso del dialogo e si tracciano una linea informale e coerente, destrutturata quanto sempre in controllo. E la dimostrazione è il finale del bis che si chiude in maniera inattesa quanto felice su una pausa incontrata da entrambi i musicisti: sorpresa e senso uniti nella definizione del momento musicale. Il flusso muove sulle dinamiche e intercetta le diverse stagioni del jazz puntando lo sguardo soprattutto su alcune esperienze più basilari, come l’istinto ancestrale del blues e i codici delle manifestazioni più antiche, senza rinunciare alle matrici contemporanee e colte. Improvvisazione e dialogo nascono alla confluenza delle espressioni musicali del novecento e i due musicisti raccolgono spunti e idee per il loro dialogo – e, di conseguenza, per il racconto che propongono agli ascoltatori – da un vocabolario ampio quanto utilizzato con coerenza.
Il set proposto da Anklam e Jaekel si fonda su una serie di composizioni articolate, nate nello stesso alveo sonoro ed espressivo, una sorta di ragionamento mediato sulle espressioni dell’improvvisazione radicale. Ne viene fuori una musica dove si stratificano più piani e dove entrano riferimenti estremamente diversi, dal jazz mainstream alle avanguardie, dalla musica classica alle esperienze contemporanee. La scrittura pone naturalmente lo spazio per l’improvvisazione e trova anche gli antidoti per evitare di soffocarne gli slanci: alea, chiavi espressive, intenzioni narrative, possibilità affidate alla scelta degli interpreti sono tutti input utili per dare compimento al discorso del duo, alla combinazione degli elementi dedotti dall’improvvisazione europea con quelli portati dalla composizione. Se a tutta prima il ragionamento può apparire freddo e mediato, la musica prodotta mostra un grande livello di consapevolezza e la chiara intenzione di unire con forza e impeto creativo le ragioni dell’improvvisazione libera, i suoi risultati e le sue dinamiche, con le architetture che nascono da una visione ponderata. Come si diceva in precedenza, l’inserimento di momenti scenici ben precisi, capaci di disegnare atmosfere e di creare anche situazioni divertenti, ma pensati in modo da mantenere in pieno il rigore delle composizioni e dell’idea di partenza offre al concerto anche una fruizione più immediata e una possibilità multipla di letture per gli spettatori. Il connubio tra scrittura ed esecuzione porta vitalità in un lavoro già concepito con cura e accoglie con naturale disposizione le esigenze narrative dei brani, lo stile e la visione musicale di Anklam e Jaekel.