Foto: Fabio Ciminiera
Le voci di Nat King Cole alla Deutsche Oper Berlin.
Berlino, Deutsche Oper Berlin – 18.11.2013.
Lyambiko: voce
Karl Frierson: voce
Manfred Honetschläger: direttore
Sebastian Krol: trombone, moderatore
Konrad Schreiter, Martin Wagemann, Gerhard Greif, Lars Ranch, Achim Rothe: tromba
Guntram Halder, Simon Harrer, Thomas Richter: trombone
Oliver Link, Dieter Velte, Peter Ludewig, Oliver Busch, Patrik Braun: sassofoni
Kai Brückner: chitarra
Matthias Hessel: pianoforte
Christoph Niemann: contrabbasso
Andreas Birnbaum: percussioni
Rüdiger Ruppert: batteria
Tra le voci della storia del jazz, Nat King Cole rappresenta una sorta di unicum. Musicista di grande livello, pianista dalle raffinate e funzionali intuizioni tecniche, artista attento agli impasti sonori e alla costruzione di un trio molto particolare e, in qualche modo, ante litteram o, meglio, riscoperto di recente nelle sue potenzialità. Cole, come cantante e interprete, è stato capace di costruire un repertorio mirato alle peculiarità e alle sonorità della sua voce e di personificarlo secondo i canoni della sua formazione e stabilire uno standard, in definitiva, per i cantanti comparsi sulla scena successivamente.
La Big Band della Deutsche Oper Berlin riprende il materiale del songbook di Nat King Cole secondo un formato che mette insieme la potenza sonora della big band, due voci diverse tra loro e con le quali viene coperto uno spettro espressivo ampio, per sostanza e per accenti, l’omaggio alle varie strade affrontate dal cantante e pianista. L’ensemble raggruppa sulle sonorità del jazz alcuni membri dell’orchestra dell’Opera e musicisti della scena jazz berlinese e il per risultato sonoro nasce dalla sintesi tra questi elementi diversi: lo swing della ritmica e la precisione e la pienezza del suono degli ottoni, l’imprevedibilità degli assolo e la disciplina dell’approccio classico. Le voci scelte, come si diceva, sono diverse tra loro e mettono a confronto due maniere di arrivare al jazz e di affrontarlo. Se Lyambiko si muove maggiormente nell’alveo della tradizione, come dimostrano il suo recente lavoro su Gershwin, il precedente dedicato a Nina Simone e come attesta la costanza nel rapporto con il piano trio, le esperienze di Karl Frierson ci restituiscono un musicista in equilibrio tra jazz e soul, animato da una attitudine curiosa che lo ha portato a percorrere esperienze crossover, come quella nel gruppo De-Phazz, e come dimostra abilmente sul palco della Deutsche Oper Berlin.
Si comincia con la sola orchestra sul palco. L’introduzione è affidata ad Unforgettable, forse la signature song del cantante, il brano che maggiormente è entrato nel cuore degli ascoltatori e nel repertorio degli interpreti. I musicisti mettono subito in chiaro quale sarà la base si muoveranno i solisti: una massa sonora dal suono pulito, una forza che proviene da quella sintesi, di cui si parlava sopra, tra mondo classico e jazz e che apportano una definizione peculiare al suono e un grande spessore all’impatto dei brani.
Le voci coinvolte nei venti brani del programma sono quelle di Lyambiko e Karl Frierson. Percorsi diversi tra loro e, volendo, diversi da quello di Nat King Cole: l’idea felice è nel combinare le intenzioni stilistiche nel programma e intersecare nel filo del programma esperienze e approcci differenti. E in un programma naturalmente rivolto a celebrare la figura del cantante si alternano brani ripresi in maniera fedele all’originale con una precisa e rigorosa connotazione e arrangiamenti mirasti a mettere in luce le attitudini ritmiche e le aperture melodiche portate dai cantanti coinvolti nel progetto.
La combinazione tra la forza dell’orchestra e la poetica levità delle interpretazioni di Nat King Cole è una delle chiavi del concerto. Tanto l’orchestra è capace di un suono di grande impatto, energico e frizzante, tanto riesce a modulare questa forza, a gestirla e incanalarla in un flusso utile, a seconda dei casi, a sostenere, confrontare e spingere i cantanti. E su questo terreno si innesta il lavoro di Lyambiko e Karl Frierson: delicato e intimo, l’approccio della prima, potente e coinvolgente quello del secondo, attento anche alle esigenze dell’intrattenimento senza perdere di vista l’interpretazione e lo sviluppo dei brani.
Il repertorio di Nat King Cole si presta ad essere utilizzato in maniera diversa proprio perché non nasce come corpus unico. Brani autografi, interpretazioni magistrali, standard e intuizioni, brani cioè che standard e popolari lo sono diventati grazie alla sua voce e al suo carisma. Concentrare il lavoro della big band su questo materiale implica anche la possibilità di un confronto tra dinamiche diverse e necessità artistiche rispondenti a intenzioni rispondenti di volta in volta allo sviluppo dello spettacolo e al rispetto delle caratteristiche di una pietra miliare della musica del novecento, alle potenzialità delle voci e dell’orchestra e al portato che i singoli brani hanno incontrato nella loro storia. Gli interventi e gli arrangiamenti sono sempre rivolti non a stravolgere la natura della canzone quanto a rendere possibile la combinazione tra i vari elementi, secondo una direzione estetica che Manfred Honetschläger mette in evidenza attraverso la stratificazione all’interno dell’orchestra dei vari elementi – classici e jazz in primo luogo, spesso compresenti nelle esperienze dei singoli musicisti – e attraverso una regia agile nel giocare con le varie sezioni, miscelarne la forza, le intuizioni solistiche, la precisione esecutiva e ottenere un suono in grado di rispondere alle esigenze dei brani.
E in questo senso la “deriva ragamuffin” della versione di Straighten Up and Fly Right, brano ripreso innumerevoli volte nel corso degli anni, rappresenta uno dei punti cardine del concerto e convoglia molti degli elementi presenti nel concerto, dalla capacità dell’orchestra di giocare con le dinamiche per condurre il brano con naturalezza in ogni direzione e fare emergere l’energia e la verve della forza interpretativa di Frierson. Allo stesso tempo – per una sorta di confronto di stati d’animo – questo estremo del percorso offre evidenza alla qualità degli aspetti intimi del concerto, dove l’interpretazione più delicata di Lyambiko si appoggia sui toni più lirici e romantici dell’orchestra, dando ragione del controllo e della proprietà di linguaggio dell’orchestra. La chiusura affidata a una versione più canonica di Unforgettable con le voci a duettare – come era avvenuto, in realtà, anche in It’s all right with me con cui si era chiusa la prima parte – completa il racconto della figura del cantante, un racconto arricchito dalle parole di Sebastian Krol, in veste di moderatore oltre che di trombonista, e dall’ascolto delle registrazioni di alcune interviste rilasciate negli anni da Nat King Cole.