L’estate dei festival: Jazz re found®

Foto: Manifesto del Festival






Jazz re found®

Avantgarde music – audiovisual art – kulture

Vercelli festival 26-27-28 giugno 2009




Nell’ultimo weekend di giugno, per la seconda volta consecutiva Vercelli si è trasformata in una piccola Woodstock padana: migliaia di giovani della città, dei dintorni e forse da tutto il Nord Italia sono accorse per sentire un totale di tredici performance (otto concerti e cinque DJ set) protrattatisi fino a tarda notte. L’iniziativa è senza dubbio lodevole anche perché parte da un gruppo di giovani artisti, i Noego, web-designers, che hanno fatto tutto da soli, cercando sponsor, attivandosi su più fronti (pubblici e privati). Sin qui tutto bene: occorre ribadire l’entusiasmo e la passione di un manipolo di ragazzi che si sono prodigati all’estremo affinché il festival scorresse liscio senza intoppi.


Tuttavia proprio l’organizzazione – in un caso scusabile per via del maltempo – non è riuscita a tenere in pugno la scaletta degli orari e di conseguenza, come accade spesso nei concertoni rock, dove trionfa l’informalità (e l’imprevedibilità) degli eventi, ogni singola esibizione live è arrivata con forti ritardi toccando il massimo dell’ora e tre quarti (rispetto a quanto indicato sul programma) con i Jazzanova e mediamente sfiorando l’ora di ritardo con quasi tutti i nomi in cartellone; passi per il quarto d’ora accademico, che negli happening dal vivo può anche arrivare alla mezz’ora, ma superare i quaranta minuti sulla tabella di marcia del cartellone sembra francamente troppo anche per una questione di rispetto verso il pubblico che si è spesso trovato disorientato su chi dovesse sul palco.


Detto questo le dolenti note giungono anche dal tipo di scelte e di programmazioni: al di là del successo e del gradimento degli spettatori che hanno danzato dall’inizio alla fine di fronte a ogni tipo di gruppo o solista, tranne per i Lamb che con il loro trip-hop malinconico hanno giustamente disorientato gli ascoltatori-ballerini, c’è da chiedersi la filosofia, l’estetica o la politica culturale che sta a monte di un cartellone che spazia da Josè James ai Casino Royale, dai Flowriders agli Swet Vandals, da Stephanie McKay alla Hot 8 Brass Band. Se si dà ancora valore o significato alle parole, qui di jazz c’era davvero poco o nulla. Nelle intenzioni dei Noego si vorrebbe superare Umbria Jazz come importanza e al contempo rifondare l’idea di jazz da cima a fondo.


Benissimo! Tutto legittimo, ma, sopratutto per quest’ultima ipotesi, occorre pur mettersi d’accordo su cosa voglia dire jazz. I giornali locali, talvolta troppo servizievoli, hanno parlato di nu jazz. Evviva il jazz e il nu jazz, dunque, se però esiste un filo rosso o un denominatore comune dal ritmo all’improvvisazione e via dicendo. Qui, però, alla fine il Festival più che jazz-re-found è apparso un Pop Re Found o un Dance Re Found, nobilissimo e accettabilissimo, purché lo si chiami e lo si identifichi come tale. Resta comunque il fatto che le rifondazioni (o rivoluzioni) artistiche, culturali, epocali alla fine le compiono i musicisti e non gli organizzatori di festival, che dovrebbero essere anzitutto critici o musicisti e quindi operare per la cultura, unendo competenze e interdisciplinarietà.