Foto: La copertina del libro
Miles Davis. La storia illustrata.
Il Saggiatore – 2013
L’immagine di Miles Davis è senza dubbio una delle icone più riconoscibili del jazz. Arriva al grande pubblico, alle persone meno vicine alle varie sfaccettuatre della musica di improvvisazione. E, allo stesso modo, è il personaggio che – come punto di partenza o di arrivo, come interprete, compositore e suscitatore di passaggi nuovi ed epocali per il jazz – è sempre presente nelle discografie degli appassionati e nei riferimenti dei musicisti.
Questo per dire come l’uscita di Miles Davis. La storia illustrata non può essere considerato come l’ennesima pubblicazione sul trombettista ma come ogni opera che va ad esplorarne la figura e le opere va ad aggiungere un ulteriore tassello, utile al racconto di questa figura fondamentale. Utile ancor più e torneremo su questo punto per la visione collettiva e plurale dei punti di vista. D’altro canto non sarebbe possibile un’operazione analoga su tanti altri musicisti della storia del jazz per la ricchezza del corredo di immagini che raffigurano Davis.
Se il volume non svela particolari inediti, rivela nella sua formulazione, nella collezione di brevi saggi proposti da personaggi che hanno incontrato Davis che hanno suonato con lui o che ne hanno subito l’influsso in maniera differente a seconda dei momenti storici e delle relazioni. In questo modo si confrontano opinioni e punti di vista, prospettive e riflessioni per offrire al fine un quadro molteplice dove si accostano la varie voci. È il punto cui si accennava prima: Davis ha in poco meno di cinquant’anni di carriera manifestato volti diversi nella sua musica e nella sua immagine e, in pratica, ognuno ha il “suo” Davis. Se restano costanti il carattere, la curiosità artistica, la voglia di affermazione personale, sono cambiate le esternazioni, ma sempre mantenendo alcune caratteristiche immediatamente rintracciabili.
Per impianto e qualità il volume pubblicato in Italia da Il Saggiatore, si pone in scia a We Want Miles, il catalogo della mostra su Davis organizzata da La Cité de la Musique di Parigi. La peculiarità e l’autorevolezza dei nomi chiamati ad aggiungere i tasselli al mosaico davisiano offrono uno sguardo capace di addentrarsi all’interno dei meandri del mondo del trombettista. Il libro è organizzato secondo una serie di capitoli – otto per la precisione, incorniciati da una prefazione e da una postfazione – introdotti da un breve quadro biografico e costituito dalle immagini relative al periodo e dagli interventi di due dei personaggi coinvolti riguardanti gli avvenimenti principali e le tematiche attraversate da Davis negli anni trattati.
La parte biografica pur essendo la meno appariscente del libro, rispetto agli interventi e al corredo di immagini, forse è un po’ troppo debole nel complesso e manifesta qualche inspiegabile errore come la trasformazione in Jazz Warriors (sic!) del nome del gruppo guidato da Art Blakey. Il corredo di immagini – vero punto di forza del lavoro e, visto il titolo, non poteva che essere così – unisce oltre alla rassegna completa delle fotografie storiche e a diversi scatti meno frequenti da vedere, le copertine dei dischi di Davis e una notevole dose di materiali legati al trombettista, manifesti, biglietti di ingresso e programmi di sala. La storia di una carriera durata quasi cinquant’anni e condotta sempre ai massimi livelli, sotto i riflettori anche nei momenti più difficili e sotto gli sguardi di ammiratori e detrattori, rappresenta un caso quasi unico nella storia della musica del novecento. L’immagine di Davis, nel bene e nel male, è conosciuta anche fuori dei confini del jazz e “gode” per questo di tutti i trattamenti riservati alle immagini iconizzate. E, dall’altro lato, questa immagine è divenuta con le sue mutazioni, anche violente e repentine, una chiave in grado di rappresentare il dialogo del jazz con il mondo esterno oltre che con sé stesso e con le varie epoche storiche, così come l’influenza della sua musica su quella degli altri musicisti nelle sue varie stagioni..
E quindi, pagina dopo pagina, troviamo il Davis bopper, le sedute di Birth of the cool, le escursioni europee e le evoluzioni sonore degli anni ’50, il passaggio alla Columbia, le collaborazioni con Gil Evans fino ad arrivare a Kind of Blue, il rigore del bianco e nero del secondo quintetto e l’esplosione di suoni e colori della svolta elettrica, fino alle immagini del ritorno degli anni ’80 e i ritratti, le copertine e i vestiti spesso stravaganti, alle volte pacchiani, ma sempre interpretati con la grande maestria spavalda del personaggio. Una enorme varietà di esperienze, la forza dirompente del personaggio, come si diceva poco sopra, la sua capacità in altre parole di comprendere i momenti storici e le svolte in arrivo, di provocarle e suscitarle all’interno dei linguaggi del jazz, l’abilità di “annusare” il talento dei giovani interpreti via via emergenti, di esplorare sempre nuove strade senza temerne i rischi. E le contraddizioni incontrate nella sua vicenda musicale vengono ben rappresentate dagli interventi dei vari personaggi. Da Sonny Rollins a Dave Liebman passando per Herbie Hancock e RonCarter. Da Bill Cosby a organizzatori, critici e a tanti altri che hanno condiviso con lui i passaggi dell’esistenza. Una pluralità di vedute che attraversa le generazioni e mette a confronto motivazioni, riflessi e rapporti con la vicenda del trombettista.
E in questo modo, il libro si avvicina al disegno di un quadro difficile, se non impossibile, da comporre nella sua completezza proprio per le anime e le pulsioni che hanno caratterizzato il percorso di Davis e la sua capacità di non fermarsi mai ad una sola “immagine” e di andare subito in una direzione nuova, musicale ed estetica, non appena esaurita la precedente.