Umbria Jazz Winter #21

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Umbria Jazz Winter #21

Orvieto – 28.12.2013/1.1.2014


Nei giorni a cavallo tra natale e capodanno il meraviglioso centro storico di Orvieto si trasforma da circa vent’anni in un elegante salotto in cui il jazz diviene l’assoluto protagonista: lo si ascolta infatti ovunque e a tutte le ore, dalla colazione nei bar alle stradine delle passeggiate pomeridiane con la filodiffusione, dai negozi fino ai cortili più nascosti, e ogni occasione diviene ideale per diffondere la musica afroamericana in un contesto incantevole. Un festival nato quasi per scommessa come costola della più vecchia ed importante edizione estiva ma che, a differenza di questa, non dovendo rispettare le esigenze numeriche del grande evento, può permettersi una programmazione ancor di più selezionata e di nicchia, garantendo un cartellone di puro jazz e di grande qualità. Una formula che negli anni è cambiata in base alle esigenze, rimanendo tuttavia sempre fedele alla sua logica e trovando nelle ultime edizioni quella vincente: invitare i musicisti per tutti e cinque i giorni della manifestazione permettendo nel contempo una riduzione dei costi e la possibilità di poterseli godere tutti in location e progetti sempre diversi.


Quest’anno si è arrivati alla ventunesima edizione, quella che più ha rischiato fino all’ultimo di essere annullata per via dei fondi alla cultura sempre più in bilico. Per fortuna in extremis si è risolto tutto per il verso giusto permettendo agli organizzatori di comporre un cartellone di pregio assoluto con concerti dislocati nei palazzi e musei del centro dal primo mattino fino a mezzanotte, con il gran galà nei doppi concerti del teatro Mancinelli.


La serata inaugurale è in programma la sera di sabato 28 dicembre con il ritorno, essendo stato presente già nella prima storica edizione, del contrabbassista americano Christian McBride con il suo Inside Straight. Il teatro si presenta al gran completo tirato a festa con Renzo Arbore ed il direttore artistico Carlo Pagnotta nelle vesti di presentatori. Dopo una gustosa introduzione i cinque fanno il loro ingresso sul palco con al centro il possente musicista a formare, con l’energico batterista Carl Allen, una ritmica corposa, vero motore di un quintetto dove spicca il vibrafono di Warren Wolf. A lui il compito di esporre i temi per lo più originali coadiuvato dal brillante contralto del più esperto Steve Wilson in una front line ben amalgamata. Il rodato quintetto ha un forte sapore hard bop moderno in cui i solisti hanno un ruolo centrale per una prima parte che scorre senza alti né bassi, seguita da una seconda ben più coinvolgente con una intensa Sophisticated Lady a conclusione di una performance sempre godibile.


Musica di più facile ascolto nel secondo concerto in programma, l’incontro di 3 Clarinets, ossia un progetto che riunisce tre clarinettisti d’eccezione: Ken Peplowski, Evan Christopher e Anat Cohen, accompagnati da un quartetto acustico di valore. Qui le atmosfere ritornano all’era del grande Swing e al jazz manouche in un repertorio prevalentemente fatto di standards in cui i tre si sfidano a colpi di lunghi soli. I tre protagonisti hanno ognuno uno stile diverso e personale (più mainstream e classico Poplowski contrapposto a quello più frizzante della Cohen, con un Christopher più legato alla tradizione di New Orleans) ma che ben si confà con le caratteristiche degli altri compagni di palco, dando vita ad un live leggero ma comunque qualitativamente valido.


Domenica 29 vede il debutto della cantante Cécile McLorin Salvant, una delle figure di spicco della nuova scena vocale. Dopo il successo riscosso questa estate ad Umbria Jazz in qualità di ospite dell’orchestra di Wynton Marsalis, la cantante di Miami fa ritorno nell’edizione invernale in testa al suo meraviglioso trio in uno show elegante e ben strutturato. Cécile ricorda una Sarah Vaughan moderna e presenta un repertorio fatto di grandi classici in un parallelo inevitabile con le più grandi voci del passato, Holiday e Fitzgerald in primis. I brani dai ritmi lenti, da Yesterdays a He’s Funny That Way sino a West Side Story, e l’atmosfera unica del teatro consentono alla cantante di esprimersi al meglio in un mix tra mainstream e modernità vincente che conferma quanto di buono si era speso nei suoi confronti. Di più ci si aspettava di contro dal piano di Aaron Diehl, fin troppo morbido e timido, mentre la scena la ruba il più intraprendente contrabbasso di Paul Sikivie, ben completato dall’attento Rodney Green alla batteria. Ma l’assoluta protagonista rimane comunque la generosa Cécile che, con gusto ed ironia, riesce per tutta la durata del concerto a rapire il pubblico presente che tributa una doverosa ovazione finale ad una delle più fresche ed originali voci sentite negli ultimi tempi.


Nella stessa sera, a seguire, la prima di un sodalizio tra i più interessanti di questi anni, quello tra la tromba del nostro Paolo Fresu ed il piano di Uri Caine. Per le quattro esibizioni previste, tutte a teatro, i due hanno deciso di regalare ogni sera un repertorio diverso, dagli standards della prima alla musica classica e barocca di quella seguente, passando per la rivisitazione di brani pop fino a quelli originali del duo. Una splendida Dear Old Stockholm apre un concerto di rara eleganza e raffinatezza: i due iniziano un dialogo costante fatto di temi celebri, botte e risposte e sviluppo di idee estemporanee che incantano ed emozionano. L’empatia è qui ai massimi livelli in un interplay di primissimo ordine: il pianismo di Caine infatti appare quanto di più delicato e al tempo stesso sofisticato si possa sentire, ideale tappeto per il lirismo di un Fresu in stato di grazia. Il soffio del trombettista trova nel pianismo di Caine infatti il naturale terreno per una poetica unica, un incontro di due veri intellettuali prima che di due musicisti. I brani scelti nella serata d’esordio sono per la maggior parte quelli racchiusi nei due lavori registrati insieme in cui i due partono da temi piuttosto celebri, da Doxy a Cheek To Cheek passando per Porgy and Bess, per raggiungere le vette più alte di una musica che non può lasciare indifferenti. Inevitabile la standing ovation finale di tutto il teatro con i due che faticano a lasciare il palco dopo ben tre bis, richiamati a gran voce da una platea che non poteva sicuramente chiedere di più.


Ma questo non è che l’inizio di una manifestazione che vede ancora il sassofono di Melissa Aldana, Spirituals il nuovo progetto di Fabrizio Bosso, Enrico Rava con due differenti quintetti, Rosario Giuliani, Franco Cerri e molti altri ancora, eper arrivare ai tradizionali gospel al Duomo a Capodanno in un contesto inevitabilmente ancor più affascinante di quello estivo di Perugia. E a leggere i numeri conclusivi si può certamente affermare che la qualità alla lunga paga sempre: concerti esauriti già in prevendita, alberghi e ristoranti al gran completo, costi per 700 mila euro a fronte di un giro d’affari di oltre 4 milioni… E meno male che la cultura non dà da mangiare.