Songways. I suoni e i silenzi della musica

Foto: © Caterina Di Perri/ECM Records dal sito www.rsi.ch.










Songways. I suoni e i silenzi della musica. Stefano Battaglia Trio @ Auditorium Di Vittorio

Milano, Auditorium Giuseppe Di Vittorio. 8.2.2014

Stefano Battaglia: pianoforte

Salvatore Maiore: contrabbasso

Roberto Dani: batteria


Stefano Battaglia torna dopo nove anni a suonare a Milano con il suo trio, formato nel 2004. Nel 2013 è uscito Songways, il disco più recente del trio pubblicato da ECM, e proprio da questo album è tratta la maggior parte del programma che viene presentato all’auditorium “Giuseppe Di Vittorio”, nell’ambito della rassegna “Atelier musicale”, curata con acume da Maurizio Franco.


Il pianista segue percorsi diversi, più o meno diseguali e accidentati, che assimila, rende omogenei con il suo stile. D’altra parte l’argomento del viaggio in luoghi mitici, in città di invenzione, è proprio l’elemento unificante dell’ultimo album. Così si comincia con una melodia semplice, vagamente jarrettiana, per arrivare con accumulazioni successive su altri tipi di atmosfere più complesse e contorte, fino a ritornare al punto di avvio. Si passa, poi, a brani di impronta cameristica, dove domina la libertà di rischiare, di uscire da un ipotetico seminato, sempre a ragion veduta. Si riparte attraverso pezzi ricchi di fragranze mediorientali originari di paesi immaginati. È un etnojazz, se così si può dire, costruito in larga misura mentalmente, a tavolino. Si arriva anche all’improvvisazione free che si srotola selvaggia per introdurre un brano ancora una volta molto strutturato. I soli del pianoforte sono in ogni caso compositivi, circoscritti ad un campo di azione e di manovra ben determinato


In primo piano sul palcoscenico, accanto ad una batteria piuttosto sguarnita, povera, siede Roberto Dani. Il percussionista accompagna, ma sarebbe meglio dire precede o segue la musica battendo sul suo strumento quasi mai secondo regole consolidate. Così si serve delle mani nude per picchiare sul tamburo. Con la bacchetta o la spazzola colpisce i bordi di metallo o l’area laterale del cilindro sonoro. Se vuole utilizzare il piatto sospeso, lo stacca dalla base e lo sfiora con le dita. Non contento, adopera un arco per sfregare la cassa o altri oggetti del suo armamentario. In più Dani muove il corpo in sintonia con quanto sta elaborando ritmicamente, creando un curioso contrasto fra l’aplomb imperturbabile dei due partners e la fisicità evidente, la corporeità manifesta del suo modo di suonare.


Salvatore Maiore è di formazione classica e lo si vede anche dall’atteggiamento controllato, dalla postura stabile che mantiene durante tutto il concerto. Malgrado il suo scarso protagonismo scenico, il suo contributo è fondamentale nel discorso complessivo del gruppo. Con il suo contrabbasso si alterna nello sviluppo dei motivi con Battaglia, per mezzo di un solismo tutto sostanza e niente svolazzi inutili. Il bassista ha un timbro caldo e profondo. Usa di preferenza il pizzicato, ma quando prende in mano l’archetto si percepisce il suo background accademico, filtrato da una sensibilità chiaramente jazzistica.


Il concerto va avanti per un’ora e tre quarti, tenendo quasi ovunque alta la tensione. Solo sul finale si avverte un minimo di stanchezza. Il numeroso pubblico applaude appagato alla fine dell’esibizione e c’è la maniera di ascoltare pure un bis. Il trio di Stefano Battaglia si conferma anche in questa occasione, non è una sorpresa, una delle certezze consolidate del jazz italiano da esportazione, di valore internazionale, cioè.