JAZU: Jazz from Japan. Recensioni. Maya Hatch. Li’l Darlin’

JAZU: Jazz from Japan. Recensioni. Maya Hatch. Li'l Darlin'

Spice of Life – PBCM 62045 – 2012




Maya Hatch: voce

Gerald Clayton: pianoforte, Fender Rhodes

Ben Williams: contrabbasso

Jamire Williams: batteria

Keyon Harrold: tromba






Più di un secolo fa, l’incontro tra due culture distanti e molto diverse tra loro come quella africana e quella occidentale diedero vita in terra americana a qualcosa di nuovo e rivoluzionario come il blues, una musica in seguito evolutasi in jazz.


In scala ridotta, la vita della cantante Maya Hatch potrebbe essere paragonata a questo cruciale evento della storia musicale. Nata a Seattle da padre americano, di sangue misto europeo, e madre giapponese, Maya Hatch è cresciuta sviluppando una inaspettata, profonda sensibilità per la musica di estrazione afroamericana.


Dopo essersi trasferita in Giappone all’età di 11anni, dove fa il suo esordio pubblico in un talent show musicale trasmesso dalla NHK, l’emittente nazionale giapponese, fa ritorno in America determinata a fare della musica la sua vita. Qualche anno dopo si iscrive alla “New School for Jazz and Contemporary Music” di New York per immergersi nella fervida scena musicale della grande mela. Qui, circondata dai suoni del jazz, dell’R’n’B e del Soul, la Hatch assorbe tutte quelle influenze che la condurranno alla sua attuale identità musicale.


La sua voce espressiva e appassionata possiede, di fatto, tutti quegli elementi che ben si addicono a questi stili così peculiari della musica afroamericana, ai quali la cantante sa aggiungere un approccio canoro unico e vitale.


Rispetto al precedente disco d’esordio, My Foolish Things, principalmente una raccolta di standards personalmente riarrangiati e ben eseguiti, questo secondo lavoro rivela il lato più personale e maturo della cantante che qui amplia il suo bagaglio di qualità musicali spingendosi fino alla composizione e alla stesura di testi.


Tutto ha inizio da una idea suggerita dal pianista e compositore Warren Fields, suo compagno di corsi alla New School, che fa ascoltare alla cantante un originale restyling di Misty, vecchio capolavoro di Erroll Garner. Entusiasmata dall’ascolto, la cantante decide così di usare questo nuovo approccio per definire con più chiarezza la sua direzione artistica attraverso la rivisitazione di alcuni standard famosi. Un’operazione che sottolinea, ancora una volta, l’infinita capacità di adattamento al moderno che queste vecchie canzoni mantengono inalterata ancora oggi grazie a brillanti musicisti come quelli coinvolti in questa registrazione.


Theloniuos Monk, John Coltrane, Duke Ellington, Sonny Rollins: nessuno di questi giganti del jazz resta fuori da questo progetto che riveste gli standard delle più moderne influenze del Soul e del R’n’B lavorando su un’idea di base che sembra chiedersi: «Come suonerebbero questi standards, se questi maestri del jazz li avessero composti oggi?»


Attraverso questo processo, ‘Round Midnight di Thelonious Monk viene provvista di una compatta struttura ritmica; Afro Blue, ispirata dalla celebre versione di Coltrane, e la Caravan di Ellington sono costruite attorno alle sognanti ed ipnotiche note del Rhodes; la dinamica Doxy di Rollins acquista un valore personale per via di un testo interamente riscritto dalla Hatch, mentre The Boy from Ipanema di Jobim è rivitalizzata da una nuova, seducente riarmonizzazione.


Fondamentale per la buona riuscita dell’album è senza dubbio la presenza di alcuni tra i migliori giovani musicisti della scena newyorkese, già presenti nel disco d’esordio della Hatch, che attraverso le loro riuscite performance impreziosiscono la session.


Le ispirate improvvisazioni al piano e le suadenti linee del Rhodes di Gerald Clayton, i solidi groove organizzati dal bassista Ben Williams e dal batterista Jamire Wiliams, arricchiti dagli accesi assolo del trombettista Keyon Harrold, contribuiscono a rendere questo disco denso di classe ed eleganza esecutiva.


La Hatch ricopre tutta la sfera creatività occupandosi in toto di musica e testi su Chase the Path e Together. Queste ballad dal sapore Soul parlano dell’importanza della vita, di incomunicabilità tra le persone, di tolleranza verso le diversità e libertà dai pregiudizi. Tutti argomenti molto sentiti dalla cantante che per essi offre tutta la sua partecipazione emotiva.


Il disco è chiuso dalla toccante interpretazione di Ue o muite aruko (“Camminando guardando in su”) celebre brano pop giapponese degli anni sessanta, all’epoca salito fino ai vertici delle classifiche statunitensi con il titolo di Sukiyaki, che per l’occasione la cantante decide di dedicare alle vittime del terremoto e del conseguente tsunami che colpì il Giappone l’undici marzo del 2001. Un tributo d’amore alla terra d’origine di sua madre ad al paese che ha scelto come base della sua odierna attività musicale.


In Li’l Darlin’, Maya Hatch si mostra come una cantante provvista di una cosmopolita abilità nel saper restare culturalmente in equilibrio tra due terre, l’America ed il Giappone, e dividere il proprio cuore tra jazz e soul, riuscendo a far convivere tutto insieme grazie a quel sincero amore per la vita che trapela dalla sua musica.