Foto: Paolo Soriani dal sito di Letizia Gambi
Slideshow. Letizia Gambi.
Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Letizia Gambi?
Letizia Gambi: Diciamo semplicemente una persona complessa e molto sensibile, che esprime il senso della propria vita attraverso la musica e l’arte. Con il desiderio di trasmettere emozioni positive e messaggi personali.
JC: Mi parli de tuo nuovo CD?
LG: Introducing Letizia Gambi (JandoMusic) è un disco che fonde le mie radici mediterranee e partenopee con quelle jazz nero-americane del leggendario batterista Lenny White, produttore del mio disco. Ma fonde anche la mia esperienza artistica e umana con la sua ed è una tappa di un viaggio appena iniziato. Ho avuto l’onore della collaborazione di musicisti incredibili come Chick Corea, Ron Carter, Gato Barbieri, Gil Goldstein, Patrice Rushen, Wallace Roney. Hanno sposato con entusiasmo il progetto e hanno dato un enorme contributo al mio disco di debutto.
JC: Come hai scelto i pezzi del disco?
LG: Ci sono brani della tradizione napoletana tradotti in inglese e riarrangiati in maniera jazzistica e personale come “Tu si’ na cosa grande” che diventa “You are so special” – unica versione inglese mai approvata dalla vedova di Domenico Modugno – brani inediti scritti da me e White, cover italiane, internazionali e persino un aria di Gaetano Donizetti che ho adattato in inglese e che abbiamo reinterpretato.
JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
LG: Beh. sarebbe come dire che mi ricordo di quando ho respirato per la prima volta! Il primo ricordo della musica è mia mamma che cantava tutti i giorni, sempre, con una voce stupenda, mai sentita una stonatura, a cappella o ascoltando i dischi, mentre faceva i mestieri in casa o cucinando… E cantava di tutto: classici napoletani, opere, operette, pezzi italiani… E poi ricordo le feste a casa con tutti i miei parenti, mio zio tenore lirico professionista al piano, mio nonno al mandolino, altri alla chitarra e tutte le canzoni che si cantavano insieme, nella maggior parte, quelle della tradizione napoletana.
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantante?
LG: Diventare cantante è stata una conseguenza del complesso percorso che ho fatto. Mi sono formata inizialmente come ballerina e attrice, ho avuto molte esperienze artistiche fin da ragazzina e, avendo studiato musical, avevo preso lezioni di canto. Amavo il canto ma non avevo il coraggio di dire “voglio fare la cantante” perché avevo paura. Mia madre era la bellissima voce della nostra famiglia e mio zio un tenore professionista molto serio e critico contro tutto ciò che non era lirica, quindi ero un po’ frenata… Finché studiando canto alla scuola di teatro mi accorsi che mi veniva discretamente bene e mi piaceva troppo, però era psicologicamente difficile.
JC: In che senso “difficile”?
LG: Cantare in pubblico era l’unica cosa che mi creava grossi problemi, perché mi si informicolavano le labbra e mi si chiudevano e bloccavano le mani da sole per la tensione nervosa, mentre ballare, recitare, parlare in pubblico sono sempre state cose per me molto naturali. Sono una di quelle persone che sceglie sempre la strada più difficile perché mi piacciono le sfide. Ho fatto l’audizione per la Scuola Civica di Jazz di Milano e mi hanno presa..e così ho vinto le mie paure e ho iniziato un percorso ufficiale da musicista. Perché è questo che mi considero. Una musicista, il mio strumento sono le corde vocali.
JC: E in particolare una cantante jazz?
LG: Mio padre era un amante del Jazz e collezionava dischi. Io non avevo una conoscenza approfondita del repertorio, ma la cosa che mi spinse a studiare fu una frase che un giorno lessi da qualche parte: “Se sai cantare Jazz, allora puoi cantare qualsiasi cosa”. E decisi che volevo fare quello.
JC: Ti identifichi con la definizione di jazz singer o jazz vocalist?
LG: No. Non proprio. Credo di essere un’interprete con una sensibilità jazzistica unita a ciò che viene dalla mia tradizione e cultura che non posso e non voglio dimenticare o negare. Considerando anche la scelta molto personale che ho fatto nella mia musica preferisco non essere etichettata. Ho un rispetto forse esagerato per la parola Jazz anche perché frequento molti musicisti nero-americani che mi hanno fatto rivalutare molti concetti. Le mie radici non sono nere e non ho nel sangue il Blues o il Jazz sebbene lo ami profondamente.
JC: In fondo è da sempre il problema di chi fa jazz in Italia o in Europa o in Asia…
LG: Non volevo essere una jazz vocalist italiana che fa del suo meglio per sembrare americana, ma volevo essere me stessa con la consapevolezza di poter usare il linguaggio e la sensibilità del jazz in qualcosa di mio, che magari prende spunto ritmico dalla tammurriata e dalla “sesta napoletana” ma è autentico e personale.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?
LG: Il jazz è una lingua universale, che permette a musicisti che parlano lingue diverse di salire sul palco e di suonare senza bisogno di capirsi con le parole. È meraviglioso. È libertà. Creatività. Puoi suonare lo stesso pezzo mille volte, ma ogni volta è come quando un pittore si trova davanti una tela bianca.
JC: Una volta hai detto che per te il jazz è anche uno stile di vita…
LG: Sì, l’ho imparato a New York e dal mio maestro Lenny White che mi ha insegnato davvero tanto. È una “forma mentis” molto vicina a me, anche perché non si può negare che noi napoletani il concetto di “improvvisazione” modestamente ce l’abbiamo nel DNA!!!
JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
LG: Odio questa domanda, non mi bastano 100 dischi! I primi che mi vengono in mente, meno di così mi manca l’aria, sono i Piano Works di Claude Debussy, The Main Event di Frank Sinatra, Ella in Berlin di Ella Fitzgerald, Yo Yo Ma Playing Ennio Morricone, The Best of Sade, The complete Columbia Records di Miles Davis & John Coltrane, Piano Works di Craig Armstrong, Daphnis and Chloe di Maurice Ravel, Bella ‘Mbriana di Pino Daniele.
JC: Quali sono stati i tuoi primi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
LG: Prima di tutti ovviamente i miei genitori e mio fratello Gianpaolo che è un attore di grande talento ed esperienza ed una persona che ha una grande conoscenza, potermi confrontare con lui sul mondo, sul teatro, sull’arte e su qualsiasi altra cosa è sempre molto costruttivo.
JC: C’è poi un artista centrale nella tua storia personale?
LG: Nella musica, nella cultura musicale e anche nella vita Lenny White è la figura più importante della mia carriera. Mi ha completamente trasformata, è un maestro incredibile e sono oggi una persona e una musicista migliore di prima. Ogni artista con cui ho avuto il piacere (o il dispiacere) di collaborare mi ha insegnato qualcosa. Ma ho imparato tanto e mi sono fortificata soprattutto grazie alle persone che si sono comportate male con me. E ne ho incontrate davvero tante: anche loro sono stati maestri!
JC: E le cantanti jazz che ti hanno maggiormente influenzata?
LG: Ho sempre ascoltato più strumentisti che vocalist. Mi piace Nina Simone, ovviamente Ella Fitzgerald e Sarah Vaughan, Chaka Khan e Carmen Mc Rae anche se forse ho ascoltato Frank Sinatra più di tutti, ma anche Chet Baker…
JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
LG: 20 Dicembre 2013. New York. Sul palco di un famoso Jazz Club accompagnata da Ron Carter, Lenny White e Patrice Rushen! È stato un grande successo, il pubblico entusiasta e io emozionatissima. Sapere che musicisti che hanno fatto la storia del Jazz mi stimano abbastanza da voler dividere il palco con me è la soddisfazione più grande che potessi mai avere.
JC: Altri momenti importanti?
LG: Ce ne sono due che non dimenticherò mai: quando Sting mi ha fatto i complimenti e ha rilasciato una dichiarazione ufficiale di elogio su di me (dopo aver persino acquistato il mio cd!!!). Oppure quando il sito ufficiale di Miles Davis ha consigliato il mio disco nella pagina delle “news”: vedere la faccia di Miles in alto alla pagina vicina al mio “faccione” sulla cover del mio cd mi ha fatto impressione!
JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?
LG: A parte Lenny White, ho trovato bellissimo lavorare con Gil Goldstein, con Ron Carter, Patrice Rushen, Jisoo Ok (una fantastica violoncellista), l’arrangiatore argentino Carlos Franzetti e il grande chitarrista Nick Moroch, il bassista John Benitez e il pianista Jon Cowherd, ma sono tanti i musicisti che mi fanno sentire bene, sia musicalmente che umanamente: e questa è la cosa più importante.
JC: E tra i jazzmen tricolori?
LG: In Italia non posso non menzionare il carissimo Max Ionata – che ha suonato con me, nel gennaio 2014, a New York con la mia band americana) e Dario Rosciglione che sono tra l’altro presenti sul cd nell’unico pezzo registrato in Italia insieme al bravissimo pianista Antonio Faraò, ma l’elenco sarebbe molto più lungo…
JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?
LG: Non bene… La musica perde sempre più valore. Viene svilita e sprecata ovunque. E troppo spesso di bassa qualità. Non è giusto avere musica diffusa 24 ore su 24 in ogni negozio, bar, toilette, ristorante, treno e ascensore perché se non ci sono momenti di silenzio non si possono apprezzare i momenti di musica. Mi ha fatto questo interessantissimo discorso Sting che ho incontrato quando è stato in Italia per il lancio del suo nuovo disco. E ho trovato che avesse proprio ragione.
JC: Non è sempre così, però…
LG: Ovviamente qualcuno si salva, ma non basta a far salire la media. Io stessa in Italia mi sono sentita dire più di una volta che il mio disco è troppo di qualità per passare in radio. È troppo sofisticato, è stata la risposta, quando per me non lo è affatto, anche se il mio parere non può essere valido. La gente è abituata ad un livello talmente elementare di musica, ad una povertà di armonie e una monotonia di intervalli e ritmi che quando si trova ad ascoltare qualcosa di interessante e cerebralmente stimolante non è in grado di coglierne la bellezza.
JC: Colpa delle grandi case discografiche?
LG: Mi spiace infatti vedere che la tendenza delle major è sempre più quella di cercare di creare la versione italiana di un’artista straniero che ha momentaneamente fatto successo: è triste per un paese che ha visto nascere Puccini, Verdi, Vivaldi, Dante, Michelangelo, Leonardo, Donatello, è come se non ci fosse più creatività da cui attingere in un Paese che è stato la culla della moda, dell’arte, della cucina per secoli.
JC: E più in generale come vedi lo stato della cultura in Italia?
LG: Secondo me manca l’educazione alla cultura. Anzi manca proprio l’educazione. Non si può pretendere nulla da un paese dove nelle scuole non si sensibilizza all’arte, ma non si insegna nemmeno l’educazione civica e quindi il rispetto. Intendo “educazione civica” per davvero. Non come l’ho fatta io a scuola quando era quasi considerata un’ora-buco. Educazione ambientale, etica, educazione alimentare, educazione sanitaria, rispetto degli altri cittadini e dei luoghi pubblici. E poi musica, arte, strumenti musicali e storia della musica non solo in scuole private speciali.
JC: Sei spesso all’estero: da quell’osservatorio come vedi la salute dello Stivale?
LG: Viaggiando tanto mi rendo conto di quanto l’Italia sia carente e, di conseguenza, non dando le basi ai bambini da piccoli, si crescono adolescenti e poi adulti che non sanno rispettare le regole (e non sono interessati a farlo), che non sanno rispettare il prossimo e la società in cui viviamo. Non c’è coscienza del valore della cultura e i media aiutano solo a peggiorare la situazione: se poi consideri la dipendenza da social network ed il tempo che fanno perdere resta ben poco spazio per la cultura. Non vale proprio per tutti ovviamente, ma per molti.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
LG: Nell’immediato futuro il 21 febbraio sarò in concerto al Festival Jazz di Chiasso. Nel frattempo, io e Lenny White stiamo scrivendo i brani per il prossimo album, a breve tornerò a New York per iniziare la pre-produzione dei primi pezzi e poi vorrei solo portare la mia musica in giro il più possibile.