Dodicilune Koiné KNE 017 – 2013
Letizia Magnani: voce
Michele Francescani: pianoforte
Gabriele Zanchini: fisarmonica
Roberto Rossi: batteria, percussioni
Ennesima incursione, ma più propriamente piena immersione, nell’anima e nelle articolate gamme di colore della musicalità brasiliana, più particolarmente nel suo “naturale” spirito danzante, che nella presente incisione focalizza la “cosiddetta epoca dei Festival” con tutto il suo corollario di determinanti autori che la distanza di tempo intercorso, oltre al massiccio consumo di cui comunque tale musica ha goduto, oggi forse non consente di captare appieno nel valore innovativo e di sintesi.
Certo è che il programma e le sue alterne gamme emotive appaiono rappresentare la lunga linea trasversale dell’ispirazione su cui convergono le varie anime etniche nonché la contraddittorie e spesso violente istanze che continuano a connotarne l’identità, optando stilisticamente per un’esposizione che senza eccessi né forzature libera un virtuosismo misurato e rispettoso.
Gli zampilli e i tonfi lievi delle percussioni, le movenze rotanti del piano, le guizzanti figurazioni dei tasti e del mantice s’industriano ad imbastire un fitto e stratificato tappeto mobile per la prestante vocalist, che in libertà reinfonde luce e presenza ad un repertorio esemplare ed articolato. Senza azzardare rivoluzioni dell’arcinota Aquarela do Brazil, riesposta con dinamica giustezza (ma opportunamente ricollocata in scaletta per meglio riapprezzarne i valori di qualità), il quartetto avvicenda pathos, sensualità e metafisica del quotidiano, toccando uno spiccato grado di perizia e prodezza con i funambolismi di Agarra Cinco e Corrida de la jangada, il cui turbine danzante apparentemente cessa sul finale recuperando, con relativa sorpresa, una composizione originale di Salvatore Bonafede, La grande Ilusión, extra-track non così aliena, mutuata nel suo ritmo cullante, dal linguaggio arabo-andaluso, e che delle distanti ma non opposte sponde mediterranee e medio-orientali recupera il carattere arcano e un’anima magica che s’infiamma nel il tocco stregonesco liberato nella seconda parte.
Nel «viaggio musicale che segue le rotte dell’Atlantico dei navigatori portoghesi muovendo dalle fumose cantine del Fado per approdare a Rio de Janeiro, nel denominatore comune della lingua e della cultura lusitana», senza voler disconoscere l’apporto dalla controparte hispanica, tra cui le forti e sentimentali visioni del grande antecesór Piazzolla, il giovane gruppo a piene bracciate fa propria e rielabora una musicalità evidentemente non scontata né passivamente riproposta, anzi «fatta propria con quella sorta di affettuosa incoscienza che è la più bella e peculiare delle qualità del vero jazzista» secondo le parole dell’ispirato “padrino” Gabriele Mirabassi, e che grazie al partecipativo impegno dell’assortito quartetto esita in un’esperienza di tono fantasioso, energico e aggraziato.