Tom Harrell – Light on

Tom Harrell - Light on

High Note – B000QEILNS – 2007



Tom Harrell: tromba, flicorno

Wayne Escoffery: sax tenore

Danny Grissett: pianoforte, Fender Rhodes

Ugonna Okegwo: contrabbasso

Johnathan Blake: batteria







D’accordo, d’accordo: basta col mainstream, col nu bop, col post bop, col post-motown bop, col post-stax bop e quello che volete voi. Ma se un vecchio leone della tromba, cresciuto alla scuola di grandi maestri del jazz (Horace Silver e Phil Woods su tutti) se ne esce con un gran disco, anche se non aggiunge (se fa ‘ppe ‘ddì) nulla all’evoluzione del verbo idiomatico, che fa, si butta?


E’ il caso di questo Light On di Tom Harrell, divino trombettista che riesce a fondere rarefazione bakeriana e fuoco morganiano, che qui si presenta con un quintetto nuovo di zecca che annovera al sax tenore Wayne Escoffery, al pianoforte acustico ed elettrico Danny Grissett, il famoso Ugonna Okegwo al contrabbasso e Johnathan Blake alla batteria. Suono da (ci credereste?) modernissimo Blue Note Flavor, dove per modernissimo si intende un uso creativo dei ritmi binari e di certa blackness ad essa naturalmente associata, ma senza l’ossessività aritmetica che aveva contraddistinto il loro uso da parte di certo Steve Coleman. Qui è il feeling a farla da padroni, con rimandi evidenti a capolavori di genere quali l’hubbardiano Red Clay, ma con un ‘sentire’ più gustoso ed alquanto aggiornato. Gli street beat di riferimento non sono più, e non solo, quelli di matrice jamesbrowniana, ma quelli di un hip-hop e di un jungle davvero permeati di feeling jazzistico. Come dire: great black music (AEOC dixerunt).


Great Black Music fatta da un gruppo di all-blacks, con l’eccezione proprio del leader ed unico compositore dei dieci brani (in effetti nove. Uno è presente in due versioni).


Si parte con Va (che verrà ripreso alla fine del disco), pseudo-boogaloo dalle tinte rock e latine, dove ad un perentorio tema esposto collettivamente fa seguito un immaginifico assolo del leader, seguito da un Coffrey assai devoto al verbo hendersoniano, ma capace anche di prendere le distanze dalla sua musa per graffiare con frasi decisamente personali; segue assolo di Grissett, stilisticamente tra Hancock e Barron. Come prologo (e come omega) non c’è male.


Sky Life è invece un ‘funkone’ vario e groovoso, scrigno di un’ariosa e danzante melodia, perfetta colonna sonora di pomeriggi fatti di dubbio e di fioco spleen. L’assolo di Grissett al fender rhodes, che segue quelli di Coffrey e Harrell, è attualizzazione di tutto il funky-jazz che abbiamo assimilato per decenni. M-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-o.


Analogo mood è presente in Contrary Mary, delicato brano guidato da un agile piano elettrico e con un Coffrey quasi shorteriano che si erge sulle (micro)variazioni ritmiche per niente banali di Blake e Okegwo.


Delicatissima ballata in 6/8, Fountain si dischiude con il poetico flicorno del leader, ispirato e lieve sul tappeto acustico elegantemente evanescente del piano.


Il tema soave di Nights at Catalonia (c’entra qualcosa Gaudì?), perentoria beguine di modale ispanicità disegnata da una figura cartesianamente regolare del basso, è altro veicolo che rivela nella sua interezza l’assoluta capacità improvvisativa di Harrell, contornata da un intervento di Coffrey, coltraniano come da copione, ma soffuso e sornione; Grissett chiude, prima della ripresa del tema, con tynerismi altrettanto tenui.


Un preludio furbamente astratto che rimanda ad un funeral party di New Orleans, bruscamente interrotto dopo mezzo minuto scarso, apre la bossanova gioiosamente jazzata di The Gronk, pretesto per le vivaci improvvisazioni di tromba, tenore e piano.


Architect of time (è mia impressione o si sentono di nuovo essoterici riferimenti a Gaudì?), ci riporta in territori di modale ‘sketches of Spain style’, ma in un’ottica molto ‘blue note sound’. Bello il solo di Okegwo, essenziale e meditativo. Il resto è un ricamare finissimo da parte di tutto il gruppo (col leader in testa).


Il finale del disco è lasciato a due episodi di grande fascino: Bad Stuff e Blue Caribe. Il primo un hard bop up-to-date che rimanda alle atmosfere di certi dischi CTI, ma con una verve di Harrell assai memore di Tony Fruscella e Idrees Sulieman. Il secondo è una parafrasi dei migliori calypso rollinsiani, ma con eloqui solistici che riprendono dal Gillespie più rilassato e dall’Hancock moderatamente elettrico del periodo Mwandishi.


P.S.: Il disco è stato registrato il 5 ed il 7 dicembre del 2006, presso i Rudy Van Gelder Recording Studios di Englewood Cliffs. Questa location vi dice niente?