Inner Circle – 2013
Simona Premazzi: pianoforte
Greg Osby: sax soprano, sax alto
Melissa Aldana: sax tenore
Ameen Saleem: contrabbasso
Jochen Rueckert: batteria
Simona Premazzi innesca, in The Lucid Dreamer, un ragionamento sulle possibilità espressive del pianoforte nelle varie combinazioni offerte nelle undici tracce: piano solo, piano trio, l’unione di questo con i sassofoni e con la voce “recitata”. Ragionamento che, in realtà, era già stato avviato dai precedenti Inside in, del 2010, e Looking for an exit, del 2006, dove la pianista italiana, residente da diverso tempo ormai a New York, aveva proposto una musica rigorosa ed essenziale, capace di attingere al linguaggio del mainstream e, forse ancor più, del modern mainstream senza però rinunciare alle “reazioni chimiche” provocate da altri generi musicali.
Alla base di questa nuova prova troviamo il dialogo con un riferimento preciso, vale a dire Thelonious Monk, presente in varie maniere. Una versione in solo di Trinkle Tinkle; alcune suggestioni nei titoli, mood e atmosfere, sonorità e indirizzi espressivi; lo sviluppo di frasi e temi provenienti dal repertorio monkiano e rivisitate dalla pianista secondo un gioco di riflessioni e rimandi tra l’originale e la sua reinterpretazione, tra le composizioni di Premazzi e gli approdi possibili di queste sulle atmosfere del pianista statunitense. Ma sin dall’apertura di Love is not all, dove voce recitante, pianoforte, contrabbasso e batteria “leggono” all’unisono il testo dell’omonima poesia di Edna St. Vincent Millay, le carte vengono messe in tavola subito in una accoglienza gestita con equilibrio e gusto straniante, allo stesso tempo.
La musica di Thelonious Monk, come quella di alcuni altri grandi della storia del novecento, contiene ancora materiale da esplorare e digerire. Il lavoro sulle sue composizioni di jazzisti diversi per intenzione e approccio stilistico testimonia come questo “campo di gioco” si possa adattare a manipolazioni disparate pur rimanendo sempre riconoscibile ed estremamente caratterizzato. La firma del lucido sognatore di Rocky Mount si staglia sempre presente e, per quanto l’intervento voglia essere profondo, se si entra in un mood monkiano si finisce in ogni caso – credo anche con grande rispetto e piacere da parte dei musicisti – per rendere omaggio alla sua figura di artista e alle sue concezioni musicali.
In The Lucid Dreamer prende corpo un ragionamento essenziale e pulito. La definizione di una musica vitale e sempre propositiva passa attraverso la ripresa del materiale di Monk e l’utilizzo di “monkismi” che arricchiscono temi e assolo, visioni personali e composizioni. Un disco senza fronzoli che utilizza la varietà della formazione – piano trio, quartetto con sax, il soprano o l’alto di Greg Osby e il tenore di Melissa Aldana, piano trio con la voce nell’apertura di Love is not all – per colorare “vicende” musicali differenti. Anche in questa varietà si può leggere un proseguimento dello sguardo al compositore di In walked Bud: la spinta personale conduce, però, Simona Premazzi e i suoi musicisti ad una sintesi tra stagioni diverse e linguaggi jazzistici, al tratteggio di una visione del jazz ben precisa, dove convergono una dimensione rigorosa del gesto e delle intenzioni portate in musica e la tendenza, sempre razionale e lucida, a tenere spazio disponibile per suggestioni differenti, una visione che mantiene scrittura e gestione dei momenti in primo piano e difficilmente si rifugia in slanci melodici o aperture libere e, quando questo avviene, viene sempre ad avere un ruolo collocato nel discorso complessivo.
In pratica, si torna a quanto si diceva a proposito del brano di apertura. Equilibrio e gusto per soluzioni non scontate – o comunque tutt’altro che accondiscendenti – in una visione musicale diretta, pensata per far incontrare riferimenti diversi secondo un filo – logico e narrativo – personale e coerente per tutto il corso del disco.