Foto: Fabio Ciminiera
MiFaJazz Big Band Festival 2009.
Matera – 31.8/3.9.2009.
Big Band, Jazz for Kids, spazi aperti alla discussione e attenzione ai teatri naturali offerti dal panorama urbano: la prima edizione del MiFaJazz Big Band Festival, organizzato a Matera dall’omonima associazione, ha cercato una lettura particolare del festival jazz, aperto al pubblico in maniere anche diverse tra loro, non solo attraverso i concerti.
Le formazioni prima di tutto. Big Band dalla line up canonica, ma dalle divergenti intenzioni stilistiche e sonore, a seconda del repertorio e della presenza di ospiti: un passaggio continuo tra volumi, intensità e dinamiche, tra riletture profonde o lineari, il condito dalla capacità di integrare solisti affermati e giovani emergenti, dal disegno delle sezioni e da combinazioni sonore canoniche o sorprendenti.
Il cartellone della manifestazione ha proposto la Ambassador Marching Band, la LJP Big Band, formazione diretta da Dino Plasmati e padrona di casa, la UniBigBand, big band dell’Università di Innsbruck condotta da Martin Ohrwalder, la Colours Jazz Orchestra, diretta da Massimo Morganti, la Perugia Jazz Orchestra, guidata da Mario Raja e Rossano Emili, e la Rolli’s Tones Big Band, capitanata da Maurizio Rolli. In pratica, dal dixieland al rock, passando per molte delle possibili declinazioni del jazz.
La rilettura del dixieland della Ambassodor, fatta attraverso i suoni e gli abiti di scena, ha aperto la prima serata, svoltasi all’insegna della tradizione ariosa della big band. La LJP Big Band hanno puntato al repertorio del jazz anni 50 e ’60, in una visione melodica ben evidenziata dagli arrangiamenti di Luigi Giannatempo: la presenza della voce di Paola Arnesano e dei sassofoni di Michael Rosen, straordinario in Nuovo Cinema Paradiso, ha dato maggior respiro alle dinamiche di un organico relativamente giovane ma che può già vantare alcune collaborazioni importanti. La formazione austriaca ha proposto versione fresca e lineare di un repertorio duplice, lirico nella prima parte e dai ritmi funky nella seconda. La Colours Jazz Orchestra ha portato nel cortile de Le Monacelle il repertorio acquisito nelle sue varie collaborazioni: brani scritti o arrangiati con Ayn Inserto, standard nella rilettura che ne ha dato con Kenny Wheeler, interpretati con grande forza espressiva dai solisti e gestiti con profondità e maturità dall’orchestra e dal suo direttore.
La Perugia Jazz Orchestra hanno proposto al pubblico di Piazza San Biagio i brani di Charles Mingus, Bill Evans e Duke Ellington: la scelta di non riprendere necessariamente i brani più celebri e la ritmica ampia, con la presenza di chitarra, pianoforte e vibrafono, danno alla formazione un accento particolare, all’interno di una visione stilistica attenta ai canoni della tradizione. Maurizio Rolli ha riletto in chiave jazz, approfittando dei volumi e delle sezioni della big band, alcune delle canzoni più celebri del rock. Da Hendrix all’hard rock, dai Rush agli Yes, Rolli traghetta i brani senza snaturarne il senso e porge ai solisti lo spazio per improvvisare senza disperdere l’impatto emotivo delle canzoni. Il concerto della Rolli’s Tones è stato l’unico a tenersi al coperto, all’interno dell’Auditorium del Sedile.
Grandi orchestre, animate da solisti affermati e giovai emergenti. La capacità di modulare in maniera efficace intenzioni e capacità ha reso convincente ogni lettura e trascinato il pubblico. E’ proprio l’ampio spettro delle proposte che rende l’essenza del festival. In primo luogo la dimostrazione, se ce ne fosse stato bisogno, di quanto sia versatile uno strumento come la big band. La varietà di approcci, la scelta degli ospiti, la presenza, o meno, della voce: la big band permette ai musicisti di avvicinarsi in maniera profonda a repertori differenti e differenti anche dalle proprie eventuali inclinazioni personali, è una palestra forte per lo sviluppo del linguaggio e dello stile. Dall’altra parte la crescita del livello medio dei musicisti jazz in Italia – la scolarizzazione, la capacità di leggere la musica, il numero enorme di musicisti – mettono a disposizione di chi decide di arrangiare musica per un organico simile un materiale vasto e di grande qualità: sarebbe stato più o meno impensabile
I movimenti e le dinamiche delle big band inoltre sono un grosso catalizzatore per il pubblico. Un palco pieno di musicisti, di strumenti, di suoni è un richiamo fortissimo e tanto è stato: piazze piene, moltissime persone a seguire l’Ambassador Marching Band che ha aperto il festival attraversando le vie del centro di Matera e conducendole fino in fondo ai Sassi, nella piazza di San Pietro Caveoso, dove era posto il palco la prima sera.
La città di Matera con i suoi splendidi scenari ha offerto ambientazioni incredibili alle diverse serate del festival. Piazze, cortili, strade: non per niente, Matera è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco e ogni scorcio è uno spettacolo in sé, la musica aggiunge una valenza maggiore e viene gustata con maggiore predisposizione all’ascolto.
Il contatto con il pubblico – soprattutto con quello da incuriosire e da portare, magari per la prima volta, alle prese con il jazz e con la musica – è stato un punto saliente della manifestazione sul quale punteremo di nuovo l’attenzione. Va detto, senz’altro, che è necessaria una riflessione sul modo di far uscire la musica dalla crisi: la strada scelta dal festival e, se andiamo indietro negli anni, il percorso musicale seguito dalla città di Matera si segnalano senza dubbio come interessanti e – soprattutto, mutatis mutandis – ripercorribili per trovare soluzioni positive al momento attraversato dalla cultura in Italia.